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Mustafa Barghouti: “Unità e mobilitazione popolare”

Esponente di spicco della società civile palestinese e storico sostenitore della resistenza ‎popolare contro l’occupazione, Mustafa Baghouti vede nella massiccia partecipazione a ‎Gaza alla Grande Marcia del Ritorno il nuovo orizzonte al quale la popolazione e le forze ‎politiche palestinesi dovranno guardare da oggi in poi. Lo abbiamo intervistato mentre da ‎Gaza giungevano continue notizie di morti e feriti.‎

Sangue e politica, Gaza dimostra ancora una volta la sua centralità nella questione ‎palestinese.

Non è stato solo un giorno di morte e dolore di cui è responsabile esclusivamente Israele. Ci sono due ‎punti molto importanti emersi dalla Grande Marcia del Ritorno. Il primo è che oggi ‎‎(ieri,ndr) abbiamo visto sul terreno una manifestazione concreta dell’unità palestinese. ‎Uomini , donne, ragazzi, bambini hanno partecipato a un’iniziativa che per giorni gli ‎israeliani hanno etichettato come violenta, aggressiva, minacciosa e che invece voleva solo ‎commemorare la Nakba e il Giorno della terra e ribadire che i palestinesi non ‎dimenticheranno mai i loro diritti. L’unica aggressione è arrivata da Israele che ha schierato ‎carri armati, blindati e tiratori scelti contro civili disarmati che manifestavano per i loro ‎diritti e per difendere la loro memoria storica. Il secondo è che tutte le formazioni politiche ‎palestinesi, incluso Hamas, hanno adottato la resistenza popolare non violenta. Il ‎movimento islamico al di là dei suoi proclami e delle sue manifestazioni di forza, in realtà ‎ora comprende che solo la mobilitazione popolare, non violenta, può raggiungere gli ‎obiettivi che sono di tutti i palestinesi. A cominciare dalla fine dell’assedio di Gaza. Sono ‎sicuro che vedremo sempre di più (nei Territori palestinesi occupati) manifestazioni con ‎migliaia e migliaia di persone.‎

Chiedete alla comunità internazionale di intervenire?

Condannare Israele è il minimo che è chiamata a fare ciò che definiamo come la comunità ‎internazionale. L’Europa, ad esempio, a parole difende diritti e democrazia e poi resta in ‎silenzio davant ai crimini e agli abusi che commette Israele. Non fiata e quando lo fa è solo ‎per ripetere slogan e formule sterili che non servono a nulla in una situazione regionale e ‎internazionale profondamente mutata in cui, peraltro, gli Stati Uniti hanno adottato ‎apertamente la politica (del premier israeliano) Netanyahu proclamando Gerusalemme ‎capitale di Israele e disconoscendo la storia della città e le rivendicazioni palestinesi.

Donald Trump probabilmente sarà di nuovo a Gerusalemme a metà maggio, per ‎partecipare all’apertura dell’ambasciata Usa nella città.‎

E quando sarà qui si renderà conto che i palestinesi non si arrendono e continuano la lotta ‎per i loro diritti malgrado debbano fare i conti con un Paese molto potente come Israele e ‎con la superpotenza mondiale, l’America. Sono certo che la resistenza popolare vista a Gaza ‎e in Cisgiordania in queste ore non solo andrà avanti fino al 15 maggio, quando Trump ‎dovrebbe essere qui, ma proseguirà dopo quella data. Si trasformerà in un movimento di ‎massa, pacifico ma molto determinato contro l’occupazione. Questa è l’unica strada che ‎abbiamo per resistere all’oppressione israeliana e per liberarci di essa. Il resto si è dimostrato ‎fallimentare.

Ritiene l’Autorità nazionale palestinese ai margini, non importante per la lotta ‎popolare che lei si aspetta nelle prossime settimane?

Non dico questo ma certo l’Anp dovrà cambiare radicalmente la sua strategia e rinunciare al ‎suo attaccamento agli Accordi di Oslo del 1993 e alla formula negoziale degli ultimi venti ‎anni. Non ci crede più nessuno e il governo Netanyahu utilizza quelle vecchie intese per ‎proseguire indisturbato le sue politiche di occupazione e colonizzazione. La prima cosa che ‎l’Anp dovrà fare è mettere fine alla frattura (con Hamas, ndr) perché nessun palestinese la ‎vuole e può ancora tollerarla.

da Il Manifesto

 

 

 

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