Sarà certamente un caso, ma l’incremento di tensione in politica internazionale – e gli Usa sono protagonisti in tutti i teatri operativi “caldi” del mondo – è direttamente proporzionale al procedere ed al crescere di intensità dell’inchiesta Russiagate.
Forse perchè siamo inguaribilmente portati ad osservare le questioni in modo complesso, o forse per una tendenza al complottismo, chissa: eppure non sono in molti ad osservare questo curioso rapporto.
Tanto più si stringe la morsa del procuratore Muller intorno a Donald Trump, altrettanto drasticamente esplodono o si riaccendono crisi e tensioni a livello internazionale.
Coincidenze? Chissà. Resta il fatto che, praticamente in concomitanza con l’aggravarsi della crisi con l’Iran arriva una importante novità che riguarda proprio l’inchiesta portata avanti caparbiamente dal procuratore Robert Mueller: esiste la possibilità che il presidente Trump possa essere convocato davanti ad un grand jury.
Lo racconta il Washington Post, che riporta i seguenti fatti: a marzo ci sarebbe stato un incontro tra i legali di Trump e lo staff di Mueller, che avrebbe posto la questione della necessità di un confronto con lo stesso presidente.
La riposta degli avvocati sarebbe stata netta: non esiste nessun obbligo per “The Donald” di rispondere alle domande degli investigatori federali rispetto alla questione delle possibili interferenze russe nelle presidenziali del 2016.
Muller, che pare essere un osso veramente duro da masticare, ha rilanciato: in caso di rifiuto, l’opzione sarebbe quella di emettere un mandato di convocazione di fronte, appunto, ad un grand jury.
Il grand jury è – in poche parole – una istituzione che negli Stati Uniti interviene ormai solo per alcuni reati di natura federale: si tratta di una giuria allargata che analizza preliminarmente le accuse e valuta la sussitenza o meno del reato. Una sorta di passaggio preliminare ad un eventuale procedimento vero e proprio.
Un eventuale passaggio formale che applicato ad un presidente in carica rappresenterebbe un salto di qualità evidente per Russiagate.
Addirittura si conoscono anche le domande che Muller vorrebbe rivolgere a Trump: le ha pubblicate il New York Times, beccandosi la censura via Twitter dello stesso presidente (“articolo vergognoso”), mentre nei confronti del procuratore Mueller è arrivato l’aspro commento da parte di un ex membro dello staff legale di Trump: “Questo non è un gioco. Stai facendo perdere tempo al presidente”.
Al netto di commenti e tweet, mettendo in fila i diversi passaggi di questa inchiesta, appare evidente come Mueller stia avvicinandosi sempre più a Trump: era partito dai collaboratori, poi le indagini si sono spostate a figure più vicine – familiari compresi – fino ad arrivare all’ipotesi di un confronto diretto.
L’entourage del presidente continua a minimizzare, lo stesso Trump parla poco di Russiagate, ma intanto le indagini vanno avanti.
Ora, è chiaro che l’aggressiva politica estera che caratterizza questa amministrazione è perfettamente coerente con quanto promesso in campagna elettorale, con le caratteristiche politiche ed umane del personaggio, con la storia delle lobby e del pezzo di società che lo sostiene, sostanzialmente con l’atteggiamento degli Stati Uniti nei confronti del resto del mondo, e probabilmente sarebbe stata la stessa anche in assenza di questa inchiesta.
L’impressione e la conseguente ipotesi che avanziamo – che poi è abbastanza banale – è che, a fronte di una vicenda tenuta sempre più faticosamente sotto traccia e che comunque come conseguenza estrema avrebbe l’impeachement, spostare l’attenzione su altre questioni è sempre una buona strategia. Una bella guerra, ad esempio, che risolve spesso un sacco di problemi nell’immediato (per crearne esponenzialmente di più sul medio termine, ma di questo poi si occuperà qualcun’altro!- ndr).
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