Il mondo si divide in due, magari pure in tre o quattro parti in competizione tra loro e la remota provincia italica, ambita solo da rifugiati e migranti, litiga per capire dove sta, spaventata di diventare la nuova Cuba del Mediterraneo. Ci manca solo la battuta di Tony Montana-Al Pacino in Scarface «Io un comunista lo ammazzo anche gratis» e poi le abbiamo sentite tutte in questi giorni di G-7 su Putin, la Nato e l’Italia.Sembrava, a leggere i nostri giornali dove milita una bella fetta di tremebondi ex comunisti, che fossimo in procinto di abbandonare l’Alleanza, chiudere la basi e sequestrare 120 testate nucleari agli americani: all’armi, il fantasma di Ghino di Tacco è tornato a Sigonella.
E invece a Trump il premier Conte, un devoto di padre Pio, piace così tanto da invitarlo subito alla Casa bianca: il nostro debuttante è stato l’unico ad abboccare al tweet di The Donald per far rientrare la Russia nel summit, espulsa dopo l’annessione della Crimea nel 2014. Invito che ha irritato gli altri partner europei ed è stato respinto al mittente da Mosca: «Siamo interessati ad altri formati».
Cina e Russia hanno tenuto un altro vertice, là dove si muove l’economia-mondo, quella che fa veramente paura a Washington. A Qingdao, città costiera cinese, si è riunito l’anti G-7, l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (Sco), con Cina e Russia come Paesi capofila. In un vertice di due giorni i capi degli Stati membri dell’orbita russo-cinese hanno proposto progetti di crescente integrazione per la nuova Via della Seta (One Belt One Road) mentre il G7 è alle prese con tensioni e divisioni. E tanto per gradire la Banca di sviluppo cinese fornirà una linea di credito da 65 miliardi di yuan, 10 miliardi di dollari, alla Veb Bank russa. All’incontro era presente il presidente iraniano Hassan Rohani che non fidandosi del fronte europeo anti-sanzioni guarda decisamente a Oriente.
The Donald in Canada ha invece gettato le sue esche per dividere quanto è possibile il campo europeo: vuole riscuotere i dazi come fossero u pizzu sul surplus commerciale dei tedeschi (un posto di lavoro su due in Germania dipende dall’export) e i pesciolini dell’Unione, in fibrillazione, si sono raggrumati come un branco d’acciughe. Si tratta di rapporti di forza e in Canada, nella finzione di Chalevoix, si scherza ma fino a un certo punto.
Cosa ci possiamo aspettare dal G-7 in Canada lo esemplifica molto bene l’ultima copertina dell’Economist. Donald Trump è raffigurato a cavalcioni di una palla per la demolizione degli edifici: l’obiettivo è frantumare le istituzioni internazionali, il multilateralismo e le vecchie regole per costruire al loro posto una nuova geopolitica dove l’America rimane vincitrice. L’idea del presidente americano è quella di trascinare i suoi partner in negoziati bilaterali sempre più vantaggiosi per gli Stati Uniti.
Una strategia che nei suoi intenti potrebbe dividere ancora di più l’Unione europea, da anni sempre meno incline a obbedire ai diktat americani. Agli Usa piacciono i Baltici e i Paesi dell’Est, che nella loro deriva proto-fascista sono la nuova frontiera anti-Putin. A questo serviva la rivolta dell’Ucraina e adesso, ancora di più, è utile l’Est europeo: la Russia è in Siria, manovra con l’Iran e la Turchia, membro storico della Nato sempre più riottoso, e l’America vuole far pagare a Mosca la sua intrusione infilandosi nel cortile di casa dei russi. Per questo gli strateghi della Casa Bianca trovano così irritanti gli europei dell’Ovest che vanno da Putin a San Pietroburgo come Macron e firmano con la Merkel il raddoppio del gasdotto Nordstream.
Come farglielo capire che devono stare al loro posto?
Il disordine pilotato è una teoria che gli Stati uniti – dopo averla applicata malamente con altre amministrazioni repubblicane, in particolare in Medio Oriente – sperano adesso di utilizzare per ricavare un nuovo posizionamento globale.
Non è necessariamente una dimostrazione di forza imperiale da parte della superpotenza americana come dimostra la sprezzante risposta russa alla proposta di Trump di tornare al tavolo del G-8. Tentare di abbattere le strutture multilaterali create dopo la Seconda guerra mondiale – inclusa l’Unione europea – è di fatto l’ammissione che non le governano più come vorrebbero.
Ma forse, dopo i successi iniziali, questa strategia di The Donald si potrebbe risolvere in una pericolosa illusione: alleati e avversari, nel medio e lungo termine, saranno sempre meno inclini a riconoscere la leadership Usa e la sfideranno economicamente e militarmente dove sarà loro possibile.
Si prepara il nuovo disordine mondiale, che la Russia e la Cina hanno ben compreso.
È l’ultima fase dell’età della destabilizzazione che dovranno affrontare in futuro l’Europa e l’Italia: questo è il messaggio che proviene del G-7 in Canada. Forse il prossimo sarà un G-4: Usa, Russia, Cina e Ue, posto che ci sia ancora un’Unione europea da rappresentare.
- l’articolo di Alberto Negri è comparso come editoriale anche su Il manifesto del 10/6/2018
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