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Kurdistan. “Non arrendersi, continuare a lottare!”

28 giugno 2018 Lower Class Magazine 

Hubert Maulhofer ha parlato con Emily Laquer, della Interventionistische Linke (IL) [Sinistra Interventista], che ha accompagnato criticamente le elezioni dello scorso fine settimana in Turchia come parte della delegazione di osservatori elettorali. Un colloquio su guerra, repressione, resistenza e speranza in una dittatura.

Lo scorso fine settimana hai fatto parte dei e delle partecipanti a una delegazione di osservatori per le elezioni nella regione del sudest della Turchia a maggioranza curda. Per iniziare, puoi dirci brevemente dove di preciso sei stata?

Ero a Amed (Diyarbarkir), nel sudest della Turchia. Nel giorno delle elezioni siamo andati a Bismil, una cittadina distante appena 50 chilometri da Amed, e in villaggi più piccoli. L’amministrazione curda eletta è stata destituita circa due anni fa dal regime dell’AKP. I villaggi sono in una zona di sicurezza militare, quindi sono sotto il controllo dell’esercito.

Quali sono state le cose che hai osservato direttamente sul posto? Come si sono svolte le elezioni?

Complessivamente abbiamo potuto mettere piede solo nella metà dei seggi ai quali ci siamo recati. Negli altri siamo stati mandati via in modo più o meno aggressivo. In ciascuna di queste piccole scuole c’erano fino a due dozzine di poliziotti pesantemente armati o soldati in mimetica. Con equipaggiamento completo e con fucili da assalto. Se si è abituati a andare a votare in Germania, si nota immediatamente che queste non sono condizioni per elezioni libere e eque. Diverse persone sul posto si sono rivolte a noi e hanno detto di avere paura della massiccia presenza militare.

Hai già accennato al fatto che la situazione faceva paura alla gente. Ma cosa vi hanno raccontato le persone che avete incontrato? Qual è l’umore della popolazione?

Andare a votare in queste condizioni, per me è un atto impressionante di ribellione e resistente. Sono rimasta sorpresa di quanto le persone fossero piene di speranza. Ci hanno raccontato del loro sogno di svegliarsi nel giorno delle elezioni in una Turchia libera senza dittatura. Domenica notte eravamo davanti all’ufficio dell’HDP a Amed, la festa elettorale di un partito – lì – dell’80%, che era circondata da idranti su ogni lato. Era come in una vittoria ai mondiali: migliaia di persone che cantano e sventolano bandiere, accendono fuochi di artificio e con le loro sfilate di macchine strombazzanti producono lunghe code nella città con milioni di abitanti. Avevo l’impressione che non festeggiassero solo l’ingresso dell’HDP in Parlamento, ma soprattutto la loro capacità di resistenza sotto l’occupazione da parte di una dittatura. Questo mi ha molto colpita.

Ci sono state sollecitazioni o richieste concrete nei confronti delle forze di sinistra in Germania o in Europa?

La delegazione stessa era risultato di un appello dell’HDP e era percepibile che per loro il fatto che fossimo venuti significava qualcosa. Non c’è stato tempo per colloqui strategici prolungati perché tutti erano molto occupati perché i loro voti non venissero rubati tramite brogli. Secondo me le forze di sinistra dovrebbero cercare punti di contatto con le curde e i curdi che vivono in Germania, perché sono uno dei gruppi di migranti più grandi che vivono in Germania e vengono costantemente criminalizzati – anche per via dello sporco accordo UE-Turchia e degli interessi strategici della RFT in Turchia. Le nostre utopie radicali hanno nomi diversi, e non è necessario condividere tutto o aver letto Öcalan. Ma sono sicura che le cose che ci accomunano siano più di quelle che ci dividono. Arricchirebbe la varietà della sinistra radicale in Germania se nonostante l’estraneità culturale ci annusassimo e lavorassimo insieme in modo più stretto. In molte città ci sono già esperienze politiche comuni, non solo nelle azioni contro la guerra a Afrin, ma per esempio anche in coalizioni femministe per l’8 marzo.

Secondo te quali effetti avranno le elezioni sulle persone in Turchia e in Kurdistan?

La strada verso la dittatura andrà avanti e al potere di Erdogan come regnante unico dopo le elezioni non ci sono quasi più ostacoli. Per oppositori e minoranze probabilmente andrà ancora peggio. Per loro si prospetta un periodo buio. La guerra contro la popolazione curda continuerà e anche i piani espansionistici di Erdogan e la sua guerra di aggressione contro il Rojava entreranno in una nuova ripresa. Ma le persone indomite che ho potuto conoscere questo fine settimana mostrano che la resistenza è possibile anche nello stato di emergenza. Non si arrenderanno, ma continueranno a lottare – questo lo hanno sottolineato ripetutamente. Per loro, per tutti noi, del resto non c’è altra scelta.

Cosa possiamo imparare noi della sinistra extraparlamentare da queste elezioni? Quanta speranza è ancora possibile riporre nel parlamentarismo? E in assoluto, quali sono ancora le prospettive?

Questa è una domanda avvincente, sulla quale sicuramente possiamo litigare a lungo. Voi siete noti per il fatto che criticate tra l’altro il partito Die Linke in modo molto esplicito. Da un lato sono contenta che ci sia Die Linke e che sia in Parlamento. In molte iniziative e campagne inoltre è un alleato importante. Ma: riforme di questo sistema non sono abbastanza e possibili solo in modo limitato. È necessaria una rottura rivoluzionaria con le condizioni. Per questo faccio parte di IL.

Progetti di partiti sono interessanti quando non sono solo di sinistra ma dissidenti, quando pensano più in grande, organizzano e radicalizzano. L’HDP ha condotto una campagna elettorale nonostante l’incarcerazione del suo candidato presidente e di migliaia di iscritti, durante la quale le sue iniziative elettorali sono state continuamente attaccate dai nazionalisti. Questo non può essere semplicemente liquidato come riformista. Ma nel movimento curdo „il partito“, l’HDP, il PKK, le YPG/YPJ, ecc. sono comunque inscindibilmente legati al movimento.

Voglio dire ancora una cosa, posso?

Sì, certo.

Lo sviluppo autoritario di destra non c’è solo in Turchia, c’è ovunque. Le proteste del G20 dello scorso anno sono state le prime proteste di massa che noi in Germania abbiamo portato in strada nelle condizioni di stato di emergenza. Gli idranti a Amburgo solo per un fine settimana stavano in ogni angolo, a Amed sono la quotidianità. Ma anche nella RFT c’è la tendenza alla militarizzazione strisciante e alla sospensione dei diritti fondamentali come a Amburgo o l’inasprimento delle leggi penali e di polizia. Queste con l’AfD nel Bundestag [Parlamento tedesco] e uno Horst [Seehofer] come Ministro degli Interni in un lasso di tempo prevedibile saranno anche le nostre condizioni di lotta. Alcuni tedeschi pensano che la repressione se ne vada se noi non ci muoviamo – o ci muoviamo di meno. Ritengo che questa sia una tesi pericolosa.

A Bismil ho pranzato con un Imam che celebra funerali per i caduti del PKK, anche se sa che questo ogni volta lo porta in carcere da una a due settimane. Mi ha detto: “Importante è solo che sai di fare la cosa giusta“. Nessuno ha detto che è facile lottare con un mondo che diventa più autoritario. Dobbiamo farlo lo stesso.

# Hubert Maulhofer

http://lowerclassmag.com/2018/

Traduzione di Sveva Haertter

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