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Libia, la nuova barriera per respingere il flusso dei profughi

Sono felice e ringrazio chi mi ha salvato la vita, poi per quello che accadrà vedremo, ma almeno sono vivo e sono scappato dalla Libia” queste sono le parole di Lamine, gambiano di 22 anni, uno dei migranti che hanno raggiunto il nostro paese nel 2017 e sono ospitati nei CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria) in tutta Italia. Il 20 giugno c’è stata la giornata del rifugiato, una festa dell’UNHCR per ricordare tutte quelle persone – oltre 68 milioni nel 2017 di cui oltre la metà minori – che hanno dovuto abbandonare la propria terra a causa di un conflitto, di persecuzioni o di condizioni di vita insostenibili.

Sono circa 13.000 gli sbarchi nel 2018 – in confronto ai 100mila del 2016 e 2017 – con profughi e migranti provenienti prevalentemente dall’Africa subsahariana (Mali, Burkina Faso, Gambia, Senegal, Niger, Nigeria, Guinea e Sudan). Tecnicamente vengono classificati come migranti “economici” e non veri e propri richiedenti asilo come i siriani, gli afgani o i somali. C’è anche da comprendere quale sia la differenza tra chi scappa da un paese in guerra e chi proviene da stati come la regione meridionale del Senegal (Casamance), del Burkina Faso, del Niger dove lo stato è inesistente e vige “la legge del più forte”, come il nord della Nigeria, del Ciad, del Camerun o del Mali, flagellati dai massacri dei gruppi jihadisti come Boko Haram o Al Qaida nel Maghreb (AQMI), o come il Sudan dove le milizie degli Janjawid continuano ad imperversare e mietere vittime nel Darfur.

Tutte le storie ed i racconti dei migranti, qualsiasi sia la provenienza, hanno però, un preciso denominatore comune: la Libia. Nell’immaginario e nei sogni di tutti i migranti il paese libico ha rappresentato una nazione dai soldi facili, fino alla caduta del dittatore Gheddafi, mentre adesso è diventato un paese senza legge e senza regole, diviso tra clan, milizie e terroristi jihadisti (Daesh) che gestiscono il traffico di migranti. La Libia di oggi è amministrata, se così si può dire, da due governi paralleli, senza apparati di polizia e pubblica sicurezza, con una situazione molto analoga a quella del 2003 in Iraq dopo l’intervento americano.

Nonostante questa situazione di instabilità e insicurezza, il paese libico continua a mantenere un forte potere attrattivo nei confronti dei migranti africani perché rappresenta la porta verso un continente considerato “civile ed accogliente”.

Tutti raccontano di essere arrivati in Libia dai confini meridionali, Niger e Ciad in prevalenza, nelle oasi di Al Qatrun e Sabha nel sud-ovest e Kufra nel sud-est: cittadine diventate tristemente famose perché in quelle zone sono stati creati numerosi “campi di prigionia” e “di smistamento” per gli africani che arrivano in Libia e dove centinaia di migranti subiscono torture e violenze per indurre i prigionieri a chiedere alle famiglie soldi per la loro liberazione.

In Libia, a Sabha come a Tripoli, esistono zone dove i migranti che arrivano vengono presi dai diversi caporali e cominciano a lavorare, in prevalenza nel settore edile, come muratori, o nei servizi “come schiavi nelle residenze dei ricchi”. Tutti vivono reclusi dove lavorano, visto che uscire è pericoloso perché– come racconta Suleyman, sudanese di 23 anni – “se va bene ti derubano o ti portano nei campi di prigionia, se va male ti ammazzano per strada”.

Una totale negazione dei più basilari diritti umani da indurre, oltre alle numerose dichiarazioni e proteste di ONG e dell’OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni), lo stesso Commissario per i diritti umani, il giordano Zeid Raad al Hussein, a definire la collaborazione tra UE e Libia come “disumana” e “strumentale al respingimento dei migranti senza alcun rispetto della dignità di uomini torturati, donne violentate o minori” .

Ci troviamo in un momento decisivo dove la risposta adeguata a queste migrazioni” – ha affermato Filippo Grandi, commissario ONU per i rifugiati – “richiede un approccio globale e solidale per accogliere meglio i rifugiati ed equilibrare la loro ripartizione”. Parole che mettono in evidenza – dopo la vicenda Aquarius ed il rifiuto degli accordi di Dublino da parte del blocco di Visegrad insieme al governo italiano- le difficoltà dell’UE nell’affrontare il tema dell’immigrazione in Europa. Un rischio di deriva xenofoba da parte di molti stati dell’Unione nelle sue politiche di respingimento visto che la maggior parte di essi è favorevole “ad un blocco del flusso migratorio al di fuori delle frontiere europee in paesi come la Libia o la Turchia, senza il rispetto e la tutela dei diritti umani” come ribadito da Grandi.

La comunità internazionale si riunirà il prossimo 10 dicembre in Marocco per ratificare un nuovo “Patto mondiale sui Rifugiati” visto che, secondo l’UNHCR ”nel 2017 non ci sono mai state così tante persone profughe dalla seconda guerra mondiale”. Il presidente americano Trump ha già annunciato che non lo firmerà ed il governo Conte-Salvini-Di Maio, quasi certamente, neanche.

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