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Turchia. Il fuoco come arma contro i curdi

In Kurdistan bruciano i boschi. Secondo i politici curdi l’obiettivo è quello di scacciare la popolazione.

Il Kurdistan brucia. Nelle zone di insediamento curde in Turchia, ma anche nel cantone di Afrin in Siria del nord occupato dalla Turchia e nella regione autonoma Kurdistan-Iraq, da settimane ardono incendi boschivi. Migliaia di ettari di boschi e superfici coltivabili sono già caduti vittima delle fiamme. Si tratta di incendi dolosi appiccati in modo mirato dall’esercito.

Con il pretesto di »operazioni militari« o »zone interdette«, i soldati appiccano il fuoco in modo sistematico, ha dichiarato Dersim Dag, deputata del Partito Democratico dei Popoli (HDP) di sinistra, alla fine di agosto all’agenzia Firat. Obiettivo dello Stato sarebbe lo spopolamento della regione attraverso la distruzione della natura. Nell’est della Turchia sono colpite la regione intorno al capoluogo Lice, la provincia di Tunceli e il territorio montuoso al confine turco-iracheno.

Né l’ente forestale né le amministrazioni comunali nominate dopo la deposizione dei sindaci di sinistra sotto l’amministrazione forzata statale, fanno qualcosa per la protezione dei boschi. La popolazione quindi cerca di combattere gli incendi con mezzi semplici – in alcuni casi già con successo. Ma i volontari vengono sempre ostacolati dalla gendarmeria paramilitare. Alcuni giorni fa dei soldati hanno negato a una delegazione di dieci deputati che volevano farsi un proprio quadro della situazione nella provincia di Tunceli, di recarsi nella zona dell’incendio.

Incendi boschivi a seguito di attacchi di artiglieria turchi si verificano anche nella regione autonoma curda nel nord dell’Iraq. Incendi infuriano in diversi punti delle cosiddette zone di difesa si Medya che vengono utilizzate dalla guerriglia del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) per la ritirata. Obiettivo è quello di scacciare la popolazione prevalentemente agricola, attraverso la distruzione della sua base di sussistenza. In questo modo si vuole togliere il sostegno al PKK. Per impedire agli abitanti lo spegnimento, aerei da combattimento turchi all’inizio della settimana hanno bombardato una zona boschiva nei pressi della città di Amediye, in fiamme dalla scorsa settimana. Il governo del Presidente del Consiglio dei Ministri Nechirwan Barzani a Erbil non fa niente contro gli incendi e tace sugli attacchi oltre confine da parte di Ankara.

Anche nel cantone occupato di Afrin nel nord della Siria, le truppe di occupazione puntano sulla terra bruciata per togliere alle Unità di Difesa del Popolo curde YPG passate alla guerriglia, la possibilità di rifugiarsi e spingere alla fuga la popolazione rimasta. Numerosi ulivi, campi, giardini e vigne sono diventati preda delle fiamme.

Il Consiglio Esecutivo della confederazione nata dal PKK, l’Unione delle Comunità del Kurdistan (KCK), il 1 settembre ha fatto appello alla popolazione per la mobilitazione contro la politica di annientamento dello Stato [turco]. »Gli incendi boschivi sono considerati da anni strumento della ›politica di sicurezza‹, in questo anno tuttavia hanno raggiunto una misura senza precedenti«, si dice nell’appello. »I polmoni del Kurdistan e del Medio Oriente si carbonizzano nel fumo. Con la distruzione degli spazi vitali di esseri umani e animali si intende spopolare il Kurdistan.«

La KCK richiama alla corresponsabilità dell’occidente. Sarebbero jet da combattimento e elicotteri [NdT:  di produzione dell’azienda italiana Agusta Westland, del Gruppo Leonardo, ex Finmeccanica e dunque sotto controllo statale], attraverso il cui impiego vengono generati gli incendi boschivi. »Altrove la Comunità Internazionale si sarebbe già ripetutamente sollevata contro incendi del genere. Perché si tace sulla distruzione del Kurdistan?« chiede la KCK.

Gli incendi boschivi sono stati utilizzati dallo Stato [turco] già nell’anno 1925 per combattere la rivolta curda dello sceicco Said. Nel 1938 è stato fatto nuovamente ricorso a questo metodo durante i massacri su ampia scala e l’espulsione dei curdi aleviti di Dersim, l’odierna provincia di Tunceli. Anche durante la guerra contro il PKK negli anni ’90, Ankara oltre alla distruzione sistematica di oltre 4.000 villaggi, ha puntato sulla distruzione della natura per scacciare la popolazione civile.

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1 Commento


  • Gianni Sartori

    E’ ARRIVATO IL MOMENTO:
    LIBERTA’ PER OCALAN! PACE IN KURDISTAN!
    (Gianni Sartori)

    Alla conferenza stampa del 5 settembre (nell’ambito della Campagna Mondiale per la Libertà di Öcalan: “E’ arrivato il momento!”) presso il Club della Stampa di Bruxelles, è intervenuto anche Arnaldo Otegi, noto esponente abertzale (sinistra indipendentista basca).
    Otegi, a sua volta rinchiuso per anni nelle carceri spagnole, ha definito Öcalan “un esempio non solamente per il popolo curdo, ma un compagno e amico fonte di ispirazione per tutti coloro che operano per migliorare il mondo”.
    Il coordinatore della coalizione indipendentista basca Euskal Herria Bildu, ha dichiarato: “Oggi mi trovo qui per esprimere il mio sostegno e quello delle donne e degli uomini del movimento indipendentista basco al compagno Abdullah Öcalan. Intendo approfittare di questa occasione per ribadire il nostro impegno a lavorare per la sua liberazione. Oggi siamo qui a Bruxelles per denunciare la repressione subita dal popolo curdo e la situazione del compagno Abdullah Öcalan. Io stesso ho trascorso più di 14 anni della mia vita in prigione per aver guidato la componente di sinistra e indipendentista del mio paese. E in base alla mia esperienza voglio esprimere pubblicamente la mia solidarietà e il mio sostegno a Abdullah Öcalan. Sappiamo bene che l’isolamento a cui lo sottopongono non rappresenta soltanto una punizione per lui, ma è anche un modo per punire il popolo curdo, per tentare di azzittirlo. Rappresenta anche con tutta evidenza una dimostrazione del livello repressivo esercitato dallo stato turco contro il popolo curdo per nascondere e schiacciare un conflitto che è essenzialmente politico e che esige una soluzione politica e democratica. In questo contesto vogliamo rinnovare il nostro appello a favore dei negoziati, dell’accordo e ci appelliamo ancora una volta alla comunità internazionale affinché si impegni nel promuovere una soluzione della questione curda”.
    Nella medesima conferenza stampa anche Having Gunesersi si è pronunciato con determinazione a favore della immediata scarcerazione del leader curdo ricordando che ormai “da oltre sette anni Abdullah Ocalan non ha avuto alcun contatto con i suoi avvocati”.
    Ha poi sottolineato come si siano raccolte oltre dieci (10!) milioni di firme per la sua libertà, probabilmente “la più vasta campagna mai realizzata per un prigioniero politico”.
    Come è noto, alla campagna internazionale per la liberazione di Öcalan hanno aderito numerosi esponenti della cultura e della politica.
    Tra questi Noam Chomsky, José Ramos-Horta, Gerry Adams, Desmond Tutu, Leyla Zana e Angela Davis. Osservo – di passaggio – che la lista in parte coincide con quella di qualche anno fa a favore della scarcerazione di Arnaldo Otegi, la Campagna “Free Otegi”.

    “E appunto – aveva continuato Otegi – anche a nome di tutti loro e di tutte loro intendo rinnovare ogni sforzo per far pressione sullo Stato turco affinché rispetti i diritti individuali e collettivi del popolo curdo. La liberazione di Abdullah Öcalan – un leader che può fare affidamento sulla piena solidarietà del suo popolo (nel 2005-2006, 3.5 milioni di curdi hanno firmato una petizione su di lui come loro rappresentante politico nda) – rappresenta un momento essenziale: contribuirà alla distensione in Kurdistan, ponendo le basi per indirizzare il conflitto in un percorso di soluzione reale. Inoltre contribuirebbe in modo significativo alla stabilità del contesto regionale. Non solo della Turchia, ma anche di Siria, Iraq e Iran.”.

    Ovviamente possiamo ampiamente sottoscrivere quanto detto da Otegi ricordando come Öcalan sia legittimamente diventato un simbolo di speranza per la pace e la democrazia in questa tormentata regione.
    Il “Mandela curdo” ha il merito non indifferente di aver saputo trasformare la società curda – in parte almeno – indirizzandola al superamento di una visione statalista e in direzione di quella del Confederalismo democratico, individuando i principi teorici e pratici che stanno alla base della rivoluzione in Rojava, della liberazione dei curdi yazidi a Shengal e al progetto politici dell’HDP.
    In particolare, tra il 2012 e il 2015 (per ben due anni e mezzo), si sono svolti dei negoziati tra Ocalan e il governo turco dell’AKP.
    Öcalan aveva proposto un piano graduale per far tacere le armi sotto supervisione internazionale. Al fine di promuovere una “soluzione politica permanente della questione curda”. Colloqui che sono cessati nell’aprile 2015 per decisione unilaterale del governo turco.
    E questo – ricordo – dopo la sua cattura, nelle difficili condizioni della detenzione.

    Gianni Sartori

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