Mentre Trump continua a prendere di petto mezzo mondo, trovando nuovi alleati e perdendone di vecchi, continuano ad emergere indiscrezioni a mezzo stampa che di certo non contribuiscono a migliorare l’immagine del personaggio.
E’ un po’ la storia di questa amministrazione, in fondo: grande aggressività, dichiarazioni roboanti, minacce a destra e manca che spesso servono più che altro a bilanciare una “offensiva interna” che si fa sempre più pesante.
Parliamo del Russiagate, certo, ma anche delle continue news che arrivano dalla Casa Bianca diffuse non certo da fonti ufficiali dell’amministrazione.
Se poi ci si mettono anche i giornalisti – categoria particolarmente detestata da Trump – allora la situazione si fa delicata.
Andiamo con ordine, e parliamo di “Fear”, libro in uscita a firma di Bob Woodward. Per chi non lo sapesse, Woodward è l’autore, insieme al collega Carl Bernstein, di una delle più grandi inchieste giornalistiche sulla politica americana, che svelò all’opinione pubblica lo scandalo Watergate.
Una vicenda che portò alle dimissioni dell’allora presidente Richard Nixon.
Insomma, parliamo di un pezzo grossissimo del giornalismo statunitense, la cui credibilità è, diciamo così, molto difficile da mettere in discussione.
Nel suo libro, ancora non uscito ma di cui il Washington Post ha pubblicato alcuni passaggi, emerge una immagine di Trump imbarazzante e pericolosa per gli Stati Uniti e per il mondo.
Sulla base di interviste con fonti dirette – parliamo di consiglieri, funzionari ed ex funzionari della Casa Bianca – Woodward riporta storie ed aneddoti che a volte hanno dell’incredibile: Trump totalmente all’oscuro di come funzioni un governo, realmente disinteressato alle dinamiche di politica estera, preda della sua impulsività, della sua arroganza ma anche della sua incapacità a svolgere le mansioni di un presidente degli Stati Uniti.
Di contro, nel libro viene descritto uno staff presidenziale in perenne emergenza nel porre rimedio ai danni creati od in procinto di essere creati da Trump.
Si parla di Russiagate, e dei motivi che portarono John Dowd, uno degli avvocati, a dimettersi di fronte all’incapacità del presidente di comprendere i rischi a cui realmente stava andando incontro.
Vengono spiegate alcune delle clamorose dimissioni, o degli allontanamenti forzati, di molti membri dello staff presidenziale, di fatto impossibilitati a proseguire nel loro lavoro dagli atteggiamenti a volte incomprensibili del loro capo.
Colpisce molto, ad esempio, il racconto – tra quelli riportati – della vicenda di Gary Cohn, ex consigliere economico di Trump che con disarmante sincerità racconta di aver fisicamente sfilato dal tavolo di Trump due documenti importanti che avrebbero condizionato di molto le scelte dell’amministrazione (si parlava, ad esempio, di NAFTA, il trattato nordamericano di libero scambio): il presidente non se ne sarebbe nemmeno accorto.
Un interessante anteprima dei contenuti del libro è riportato in un articolo del Post (leggi qui).
Naturalmente la reazione di Trump è stata forte, furiosa, sia nei confronti di Woodward che del suo staff di comunicazione.
Furia che di certo non si è attenuata leggendo l’editoriale di ieri del New York Times, firmato anonimamente da un funzionario della Casa Bianca.
L’articolo conferma di fatto quello che il libro di Woodward, esprimendo in modo chiaro che all’interno dello staff presidenziale l’attività principale sia quella di contenere e limitare le intemperanze di Trump, e che i buoni risultati raggiunti (quali è ancora da capire) sono arrivati a prescindere dalla volontà del capo.
Siamo molto interessati a leggere quel libro, perché al momento quello che ci appare è l’immagine di un leader di fatto commissariato, una sorta di testa di legno che va in giro a dire le sue cose mentre chi lavora intorno a lui fa di tutto per limitarlo ed eterodirigerlo.
Che sia un bene, viste le caratteristiche del personaggio, viene da pensarlo. Stiamo – o staremmo – parlando comunque di una situazione politicamente abnorme, perché l’oggetto della discussione è l’amministrazione di una delle più grandi potenze mondiali dal punto di vista militare ed economico.
Al momento, è chiaro che i nemici più pericolosi per Trump sono quelli a lui più vicini. Ma pare che in politica funzioni anche così.
Per la cronaca, Trump ha chiesto al New York Times di “consegnargli” la sua fonte anonima.
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