La candidatura di Manuel Valls a sindaco di Barcellona, annunciata martedì 25 settembre ma attesa da tempo, è un avvenimento politico rilevante.
La sua scommessa politica indica la capacità del ceto politico europeista, in crisi di rappresentatività, di adattarsi alle sfide che pone l’attuale fase, di cui il camaleontismo dell’ormai ex deputato di LREM è una conseguenza.
Allo stesso tempo evidenzia come la borghesia catalana e l’establishment, orfani di un proprio referente politico preciso in grado di ingaggiare la battaglia elettorale, voglia determinare un piano politico con la potenza di fuoco propagandista di cui dispone.
Le amministrative catalane si svolgeranno il 26 maggio 2019, solo qualche giorno prima delle elezioni europee, ed insieme alle elezioni locali madrilene saranno un importante banco di prova e di verifica della tenuta della sfida “municipalista” di Ada Colau a Barcellona e di Manuela Carmena nella capitale spagnola.
Valls ha dichiarato durante il suo annuncio che “venire a Barcellona non è una rottura ma un prolungamento del medesimo cammino, quello dell’Europa”.
La sua candidatura corona un protagonismo che l’ha visto essere una delle figure di spicco nelle mobilitazioni anti-indipendentiste dell’autunno scorso.
L’entusiasmo che ha suscitato presso i manifestanti che si auto-definiscono “costituzionalisti” è stato uno dei fattori per cui l’allora forza ascendente della destra iberica, Ciudadanos, quarta forza del Parlamento spagnolo, in mancanza di altre figure carismatiche, ha deciso di puntare su di lui.
L’ex candidato alle primarie del Partito Socialista in Francia per le presidenziali del 2017, sconfitto da Hamon, si è però smarcato dal partito guidato da Inès Arrimbas in regione, costituendo una piattaforma civica, comunque sostenuta dal partito che alle ultime elezioni “regionali” ha totalizzato il 25% dei voti, facendo di Ciudadanos il primo partito politico catalano, ma all’interno di una rappresentanza politica in cui “gli indipendentisti” hanno la maggioranza.
Valls può contare strettissimi legami con la SCC (Societat Civil Catalana), un influente raggruppamento che va dai conservatori moderati a figure contigue all’estrema destra – come Josef Ramon Bosch, fondatore del gruppo – tutti accomunati dal livore anti-indipendentista e con il gruppo Twenty50, così come con importanti circoli economici catalani di cui gode di ottime entrature anche grazie alla sua compagna, esponente di spicco dell’élite economica barcellonese, Susana Gallardo.
Valls, l’autunno scorso si è espresso chiaramente contro la lotta per l’indipendenza, giudicandola “una follia” che minaccia “la costruzione europea”, ponendosi all’altezza della sfida catalana che non si giocava semplicemente entro i confini iberici, ma investiva direttamente l’Unione Europea.
In questa elezione Valls sembra svolgere la funzione di “commesso viaggiatore” della UE, incoronato dalla borghesia catalana come asso nella manica per battere la sindaca uscente Ada Colau e il suo “sfidante” più accreditato, Ernest Maragall di Esquerra Republicana.
Certamente da alcuni mesi il quadro è cambiato, con la fine del governo Rajoy e l’inizio di quello di Sánchez, che sembra volere superare la strategia del “muro contro muro” ingaggiata dal precedente governo contro il movimento indipendentista, e la definizione di una strategia più “salviniana” da parte del giovane Pablo Casado, succeduto a Rojoy alla testa del Partito Popolare; una strategia tesa a contendere lo spazio politico a destra che la formazione di Albert Rivera sembrava avere definitivamente monopolizzato, anche rispetto alla tematica anti-indipendentista e ostile all’immigrazione.
L’ex primo ministro del quinquennio di Hollande alla presidenza della Francia, dal 2012 all’anno scorso, è nato nella capitale catalana ed è stato “naturalizzato” nell’Esagono all’età di vent’anni.
Valls è un uomo politico di lungo corso, che inizia la sua attività ad inizio anni Ottanta, sostenendo Rocard contro Mitterand, e continuando la sua battaglia fondando i clubs Forum.
Si distingue dentro il Partito Socialista per la sue posizioni che lo fanno assomigliare ad una sorta di Tony Blair d’Oltralpe.
Esterna le sue posizioni securitarie di uomo “d’ordine”, è uno dei primi a criticare le 35 ore durante l’era Jospin e l’unico socialista a votare per la legge che proibisce il velo integrale.
Alle presidenziali vinte da Sarkozy sostiene Ségolene Royal e poi, cinque anni dopo Hollande.
Dopo avere perso le primarie del PS per le elezioni presidenziali dello scorso anno contro Hamon, sostiene Macron, candidandosi con LREM a Evry, dove vince per una manciata di voti contro la candidata di France Insoumise.
Il leader di En Marche non gli affida però alcun ruolo di rilievo, così inizia a “smarcarsi” sempre più dalle dinamiche politiche francesi e diventa un primo attore delle mobilitazioni contro l’indipendentismo catalano.
Ma Valls nella sua candidatura catalana sembra in qualche modo rifarsi all’esperienza di LREM.
Come dice Fernando Vallespin, professore di scienze politiche intervistato da Libération martedì 25 settembre, riferendosi a Valls: “Costruisce una candidatura traversale, attorno alla sua persona, sul modello d’Emmanuel Macron. (…) La chiamo leadership senza partito”.
Inoltre, l’asse LREM e Ciudadanos in vista delle prossime europee, attraverso cui queste formazioni stanno tentando di “scompaginare” le carte della rappresentanza politica europeista sia di destra che di sinistra, è un altro elemento da tenere in considerazione e che fa dell’ex deputato dell’Essonne una pedina importante di giochi che escono dai perimetri della sfida cittadina.
Nell’articolo che gli dedica “Le Monde”, giovedì 27 settembre, sono riportate le varie reazioni che la sua candidatura “cosmopolita” ha suscitato.
Nonostante Valls abbia affermato: “io sono barcellonese. È prima di tutto una opzione personale, una scelta di vita personale”, le critiche che gli vengono mosse riguardano la sua scarsa conoscenza della città, in cui fino ad ora non ha mai abitato, e la scarsa conoscenza che gli abitanti di Barcellona hanno di lui, come ha sintetizzato Puigdemont dal suo esilio belga, o come ha dichiarato Maragall: “per il momento sembra che Valls sia soprattutto interessato al finanziamento della sua campagna e pensa di potere acquistare la città”.
L’accusa di essere stato “paracadutato” e di cercare di rimediare a “una carriera politica frustrata”, come ha dichiarato Collboni, del Partito Socialista Catalano (PSC), sono altre osservazioni che gli vengono mosse.
Valls è stato di fatto “trollato” durante una trasmissione radiofonica, in cui non ha saputo rispondere alle domande rispetto a quanti fossero i quartieri a Barcellona e quali fossero i più poveri!
In un’altra trasmissione satirica che “ironizza” sulla sua scarsa conoscenza della città, un attore che lo interpreta in viaggio in auto con un’altra persona nella capitale catalana, si sorprende che a Barcellona ci sia il mare…
Anche, se ha scelto un profilo più basso rispetto all’attacco frontale all’indipendentismo per riuscire tatticamente a conquistare fette di consenso in una parte della sinistra moderata meno intransigente in questo senso, non è oggi dato sapere quanto la sua idea di “Barcellona globale aperta al mondo” contro “la capitale immaginaria della Repubblica” voluta dagli indipendentisti, seguendo le sue parole, farà breccia tra i cuori degli abitanti della capitale catalana.
Per capire le capacità plastiche della borghesia catalana occorre rileggersi La Sfida Catalana di Marco Santopadre, che è stata in grado di creare “in laboratorio” quella Podemos de derecha suggerita da Josep Oliu, presidente del Banc Sabadell, capace di occupare un importante spazio politico di cui Valls sembra essere, nonostante le molte incognite, il degno erede.
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