Sono passati sette anni dalla guerra in Siria e tre dalla brutale aggressione militare di una ventina di paesi allo Yemen, e ancora non c’è stata una sola manifestazione degna di nota per chiedere la loro fine. Gli USA e i loro soci pianificano nuovi attacchi militari contro varie nazioni, mentre mantengono aperte le guerre in Irak, Afganistan (la più lunga della NATO), Libia, Sudan e Somalia, che distruggono le vite di milioni di persone ogni giorno.
La guerra non è più “l’ ultima risorsa per risolvere i conflitti tra gli stati”, ma un altro affare d’oro del capitalismo, venduto dai mercanti di armi e i saccheggiatori delle risorse naturali altrui come panacea per salvare l’ umanità dai mostri che loro stessi fabbricano, facendo i “pompieri incendiari”.
Dalla Seconda Guerra Mondiale ci sono stati solo due grandi movimenti per la pace: contro le guerre del Vietnam e dell’Irak.
Il Vietnam: le caratteristiche di proteste storiche
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Cominciarono dopo l’ inizio dell’ invasione: la guerra fu trasmessa per televisione e tutti negli USA poterono vedere come i loro 500.000 soldati radevano al suolo coltivazioni e villaggi e massacravano i civili. Le immagini sconvolsero il mondo intero.
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L’arrivo dei cadaveri dei soldati USA nella loro terra: un totale di 58.000 giovani afroamericani e della classe operaia, reclutati con la forza: un certo George Bush -bianco e ricco-, sfuggirà al “servizio della patria” e sarà presidente degli USA più tardi.
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Il Movimento per i Diritti Civili degli afroamericani degli USA si fonde con il movimento contro la guerra, creando un’impressionante forza.
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Non convince il pretesto di “Eliminare i comunisti del Vietcong”: il piccolo paese del sudest asiatico era davvero una minaccia per la superpotenza in America?
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La resistenza vietnamita è progressista e le forze di sinistra di tutto il mondo si fanno in quattro nella solidarietà con i loro compagni diretti da Ho Chi Minh. L’ appoggio dei paesi socialisti è stato determinante nella vittoria del Vietnam.
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Artisti come John Lennon con la sua “Imagine”, o Joan Baez che viaggia con la sua chitarra fino al Vietnam, diventano la voce di questo movimento.
L’Irak: un’altra esperienza di successo, sebbene a metà
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Il “No” alla guerra comincia prima del suo inizio. L’ ONU e i grandi mezzi di comunicazione legati al Partito Democratico rivelano le menzogne del regime di Bush, mentre puntano sulla “sindrome del Vietnam”. Il senatore Barack Obama si fa notare e vede la sua opportunità: prometterà di uscire dall’ Irak (e dall’ Afganistan), ma non lo farà mai.
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La Francia e la Germania si oppongono agli USA con il fine di salvare i loro investimenti in Irak e la loro posizione nella regione; il Comitato del Nobel svedese consegna a Barack Obama, il gattopardo, un dissuasorio, “preventivo” e inutile premio per la Pace. L’aggressione contro la Libia avrà il suo particolare marchio: lanciare guerre senza essere visibile.
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Il movimento antiglobalizzazione fornisce al movimento pacifista la sua logistica e a milioni di attivisti, le sue organizzazioni e le sue reti.
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Che l’Irak sia una delle principali riserve mondiali di petrolio aumenta i sospetti (l’ invasione in Afganistan non lo fa). In realtà, l’obiettivo degli USA è stato colonizzare l’ Irak e installare le truppe della NATO nel cuore del Vicino Oriente.
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In Spagna, e nonostante l’ intenzione degli autori intellettuali dell’ attentato dell’ 11 marzo fosse di convincere i cittadini della “necessità di schiacciare i terroristi” e mantenere l’ Irak occupato, la parola d’ordine del popolo si incentrò sul togliere le LORO truppe da quel paese (non più “la fine della guerra”). Una volta che il presidente Zapatero ha soddisfatto quest’ esigenza, la guerra, che continua ancora oggi, è caduta nell’ oblio.
Non abbiamo potuto fermare la guerra: parte della popolazione irachena (gli arabi sciiti e i kurdi sunniti) è stata ingannata e ha appoggiato l’ invasione.
Il movimento per la pace scompare
Mentre le forze di destra lanciavano il “Dialogo di civiltà/religioni” come palliativo delle conseguenze delle guerre, la sinistra quasi scomparve dalle forze in campo, ed ecco alcuni motivi:
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La frustrazione generata dal “non poter fare nulla” davanti al dominio del militarismo.
13. I promotori delle guerre, imparando dall’ esperienza dell’ Irak, hanno cominciato a venderle come “umanitarie” (Libia), “contro il terrorismo”, servendosi dell’ 11 settembre (Afganistan, Mali), e addirittura le hanno semplicemente nascoste, come quella dello Yemen.
14. Utilizzare mercenari, alias “contractors”, di diversi paesi invece di mandare i propri soldati. Così, non ci sarà una “valanga di feretri” e quindi, neanche proteste di familiari. Di solito la Spagna assume sudamericani: tra il 2007 e il 2016, dodici di loro sono morti vestendo la divisa dell’ esercito spagnolo nelle missioni internazionali. Secondo il giornalista Miguel González, nel 2012 c’erano 3.591 sudamericani nelle caserme spagnole. Qualche migliaio di euro e i documenti precedentemente trattenuti sono una grandissima tentazione per i giovani che fuggono dalla povertà, anch’essa organizzata in precedenza.
15. La privatizzazione degli eserciti e il boom delle imprese che reclutano Lumpenproletariat disposto ad uccidere e morire per denaro, come la Contra nicaraguense, Al Qaeda (e le sue filiali, “Stato Islamico”, “Mujaheddin”, “Ribelli”, ecc.), Blackwater (ora Xe Services), ecc. In Siria, i gruppi jihadisti sunniti e le loro fazioni difendono gli interessi della Turchia, degli USA, di Israele, dell’ Arabia Saudita, degli Emirati Arabi, del Qatar; il gruppo sciita Fatemiyun è assunto dall’ Iran, e Wagner dalla Russia.
16. I grandi mezzi di comunicazione ormai censurano le immagini della sofferenza dei civili nelle guerre con il pretesto di “non ferire la sensibilità del pubblico”, e invece trasmettono video di militari che distribuiscono caramelle ai bambini, non che abusano di loro. Hanno “disumanizzato” le vittime, chiamandole “danni collaterali”. Sotto lo slogan di “appoggiare le truppe”, hanno imbavagliato perfino alcuni leader della sinistra, che sono arrivati a mandare auguri di Natale per videoconferenza a compatrioti armati fino ai denti che si sono impadroniti della terra di altre nazioni.
17. Presentare la “resistenza” nei paesi aggrediti, come i Talebani, il “Jihadismo”, ecc., impedendo di suscitare simpatia per la nazione attaccata e la vera resistenza.
18. Il fatto che la Russia e la Cina -considerati da un settore della sinistra “paesi nemici degli USA”- non abbiano messo il veto all’ aggressione della NATO alla Libia, o che la Russia abbia partecipato alla guerra in Siria.
19. La confusione nei teatri di guerra, non sapendo chi è “il buono” e chi “il cattivo”: gli USA armano i kurdi perché lottino contro il Daesh, mentre armano Daesh perché smantelli lo Stato siriano e, giacché c’è, violenti le donne kurde, arabe, turcomanne, ecc. Poi si premierà con un Nobel per la pace una di loro per essere sopravvissuta allo stupro e alla schiavitù, questo sì!
20. Esiste un settore del progressismo che è convinto di poter trasformare una guerra in una rivoluzione sociale, facendo l’ esempio della Rivoluzione d’ Ottobre del 1917 in Russia. Questo è impossibile oggi, tenendo in conto il predominio militare devastante dei paesi imperialisti. Intervenire in una guerra in nome del progresso oggi non è una stupidaggine, ma un imbroglio.
21. Concentrarsi sulle manifestazioni e le denunce, trascurando un lavoro continuato per far prendere coscienza ai cittadini e mostrare i motivi e le conseguenze delle guerre contro altri esseri umani. Si può chiedere cosa fa la Spagna in Mali, per esempio, o in Afganistan e in Libano. Fino a che punto è implicata nella morte di decine di migliaia di siriani e yemeniti? si può chiedere, tra l’altro.
22. L’ errore di trasformare in feticcio l’ imperialismo, come fonte di tutte le guerre del mondo, mantenendo il vecchio approccio del “Nord contro il Sud” e perdendo di vista la “visione di classe”. La guerra in Siria, per esempio, è principalmente un conflitto tra le potenze della regione.
Cosa possiamo fare
Dato che la pacchia dell’ interminabile “guerra contro il terrore” e della lotta contro gli “Stati canaglia” spera di raggiungere nuove nazioni e un’ altra decade, è fondamentale creare un ampio movimento antimilitarista:
23. Rendere il “No alla guerra, sotto nessuna bandiera, denominazione o punto di vista” un principio inamovibile, come il “no alla tortura”.
24. Mettere in rapporto il livello locale e quello globale: ricordare alla popolazione che è impossibile costruire una società giusta partecipando alla strage di altri popoli e chiudendo gli occhi ai delitti compiuti in nostro nome.
25. Segnalare che l’ obiettivo delle attuali guerre non è un “cambio di regime” (potrebbero farlo come una volta, con colpi di Stato o omicidi eccellenti), eliminando Bin Laden, Assad, Saddam o Gheddafi, ma colonizzare paesi strategici.
26. Smettere di chiamare “democratico” uno Stato che partecipa al massacro di milioni di persone “straniere”. Martin Luther King ha accusato il governo degli USA di essere “il maggior fornitore di violenza nel mondo“.
27. Rivelare che con il milione di euro che costa un missile Tomahawk si potrebbe evitare la morte di alcuni dei 100.000 bambini che moriranno di fame oggi. Donald Trump, che ha creato un gabinetto per nuove guerre, cerca di fare in modo che i suoi soci della NATO paghino di più e forniscano più carne da cannone. La spesa militare degli USA, circa 603 miliardi di dollari nel 2018, è equivalente alla somma di quella delle altre 14 potenze che li seguono; ha avuto un aumento di 25 miliardi rispetto al 2017, e ne avrà un altro di 16 miliardi per il 2019, tagliando così i fondi per gli alloggi garantiti dallo Stato, l’assistenza medica, l’istruzione, l’ ambiente, ecc.
Nel 2018 la Spagna ha destinato 32 miliardi di euro alla spesa militare e al controllo sociale, secondo il Gruppo Antimilitarista Tortuga, il che significa un incremento del 10,7% rispetto all’ anno precedente (circa 80 milioni al giorno), mentre 10,2 milioni di persone (il 22,3% della popolazione) vivono sotto la soglia di povertà.
28. Educazione alla pace nelle scuole, perché in futuro nessuno sia capace di manipolare le persone mandandole a mettere bombe o a lanciare missili per eliminare altri esseri umani.
29. Invitare il movimento ecologista come parte di questa lotta: la grande quantità di bombe scaricate sull’ Irak dal 1991, e sull’ Afganistan dal 1980 ad ora, non solo ha sepolto centinaia di migliaia di persone, ma ha inquinato la terra, l’ acqua e l’ aria, e prodotto danni ambientali di gravi conseguenze per il pianeta. Questi paesi sono stati cimiteri di uranio impoverito e terreni per provare nuovi ordigni bellici.
30. Lavorare con gli immigrati, dato che un importante numero è fuggito da guerre e conflitti armati.
31. Integrare il potente movimento femminista: le dappertutto le donne sono tra le principali danneggiate dal militarismo.
32. Coinvolgere gli organismi mondiali già esistenti per un cambiamento positivo basato sulla cooperazione e la responsabilità tra gli Stati.
33. Insistere sul consumismo etico: no al petrolio di altre nazioni, né al suo coltan, ad ogni costo.
*Professoressa iraniana di scienze politiche, rifugiata in Spagna dal 1983. Ha pubblicato, tra l’altro, Rubaiyyat de Omar Jayyam, Kurdistán, el país inexistente, Irak, Afganistán e Irán, 40 respuestas al conflicto de Oriente Próximo e El Islam sin velo.
Traduzione di Irene Starace
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