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“Atto Quarto” della Protesta: l’Ancien Régime ha i giorni contati?

Oggi 8 dicembre sarà per la Francia una giornata epocale ed il punto di svolta del movimento iniziato il 17 novembre.

Oltre alla manifestazione a Parigi, in realtà molte manifestazioni,  sono previste iniziative in tutte la Francia in un clima di militarizzazione del conflitto sociale e di evidente difficoltà dell’esecutivo.

È il Quarto Atto della protesta, dopo i blocchi su tutto il territorio metropolitano dell’Esagono e dell’isola della Reunion del 17 novembre, ed i due sabati successivi: l’ultimo di novembre e il primo di dicembre che hanno visto le manifestazioni nel centro parigino, così come differenti iniziative sparso per tutto il territorio d’Oltralpe.

In realtà, oltre a questi momenti topici che hanno catalizzato l’attenzione, nel corso di queste tre settimane si sono susseguite  costanti iniziative di blocchi e rallentamenti dalle piattaforme logistiche, ai depositi di carburanti, dai porti ai centri commerciali, oltre alle azioni che hanno reso gratuito il pedaggio autostradale.

I presidi sono diventati sempre più vere e proprie stabili comunità di lotta e punti di riferimento, luoghi di discussione e di decisione.

Yohann Petiot, direttore generale della Alliance du Commerce, ha dichiarato a “Le Monde”: Negli sbarramenti, di fronte ai nostri esercizi commerciali, il primo week-end, era tutto tranquillo. Oggi, ci sono delle rotonde con degli accampamenti, dove i manifestanti sono 24 ore su 24. È un po’ come Notre Dame-des-Landes, riferendosi al territorio teatro di una delle più importanti lotte ecologiste contro il progetto di ampliamento aereo-portuale a Nantes, universalmente conosciuto come ZAD, ovvero Zone à Defendre.

Ancora il 5 dicembre il ministro dell’interno ha contato 6.740 giltes jaunes, che occupavano essenzialmente rotonde, luoghi di pagamento dei pedaggi autostradali e zone commerciali.

Senza questo stabile retroterra organizzativo è impossibile comprendere il successo del lancio delle mobilitazioni parigine e nelle varie città di queste settimane.

Se esiste una “piazza virtuale” che è stata il volano dell’organizzazione, vi sono quelle reali sulla strada, che hanno permesso un consolidamento ed un rilancio costante.

Se rimane difficile avere un quadro macro-economico di riferimento attraverso cui contabilizzare l’impatto reale sull’economia, le varie associazioni padronali, a cominciare dal Medef – la Confindustria transalpina -, hanno denunciato serie disfunzioni economiche, incoraggiando l’esecutivo a mettere mano repressiva alla situazione.

E infatti la mano pesante dell’esecutivo è dovuta anche alle pressioni dell’establishment economico per far cessare le attuali mobilitazioni.

Tra le più feroci associazioni di categoria c’è il principale sindacato padronale dei trasporti e della logistica, Union TLF, che senza mezzi termini ha parlato di disordine criminale chiamando lo Stato ad azioni forti contro coloro che, irresponsabilmente, seminano il disordine e minacciano il comando padronale.

Il potere economico questa settimana ha continuamente richiamato l’esecutivo alle proprie responsabilità, in particolare la grande distribuzione ha sciorinato i dati dei propri cali di vendita: 35% il primo giorno della protesta, 18% il sabato successivo, dentro comunque una pregressa congiuntura negativa  dei onsumi…

Curioso il fatto che Richard Girardot, presidente dell’associazione nazionale industrie alimentari, che ha lamentato perdite per 13,5 miliardi di euro dovute alla “disorganizzazione totale nelle relazioni con la grande distribuzione (ordini annullati, rotture nella catena dell’approvvigionamento, ritardi nella consegna) che mette in pericolo l’esistenza di alcune piccole e medie imprese”, sottolinei il fatto che un cambiamento di abitudini da parte dei consumatori in queste settimane, che li ha riportati a “rifornirsi nel commercio di prossimità”.

Discorso a parte va fatta per l’industria turistica parigina, che si sta connotando sempre più per la “fascia alta” dei turisti internazionali, che lamenta un calo dovuto alle due manifestazioni consecutive, tanto che Christophe Laure dell’UMIH Prestige, ha dichiarato: “se la manifestazione dell’8 dicembre è pacifica, si va verso una risoluzione. Al contrario, se si svolge come sabato scorso, noi rischiamo una fine dell’anno catastrofica” che potrebbe “portare le agenzie del turismo a non raccomandare Parigi come destinazione del Week End”.

E in effetti un popolo in rivolta non risulta una attrazione per il turismo di fascia alta, di cui ormai Parigi è uno dei centri mondiali.

Lasciando da parte queste preoccupazioni, per cui non proviamo una particolare una particolare empatia, affrontiamo il movimento degli studenti delle medie superiori e universitari che, insieme ad un parziale ma significativo coinvolgimento del corpo sindacale più combattivo, dell’attivismo dei quartieri popolari e delle annunciate prossime mobilitazioni degli agricoltori – tra cui spicca una presa di posizione molto netta in favore dei GJ da parte della Confédération Paysanne (terzo sindacato degli agricoltori in Francia) – sono state le componenti che hanno fatto “cambiare pelle” alla mobilitazione.

Soffermiamoci sugli studenti medi, citando l’efficace titolo di “Libération” che, con un gioco di parole, apriva il quotidiano con l’immagine di un adolescente con il volto parzialmente coperto da un GJ usato come sciarpa: des gilets jaunes aux gilets jeunes? Ovvero: Dai gilets gialli ai gilets giovani…

Appaiono subito due dati rilevanti.

Marsiglia, stamattina…

Primo: le mobilitazioni non hanno seguito le scadenze di mobilitazione indicate dall’Union National Lycéenne (UNL), che aveva promosso la giornata della “collera studentesca” di venerdì scorso, quella di questo lunedì e la giornata della “vendetta studentesca” di ieri.

I blocchi, parziali o totali, si sono susseguiti per tutte le settimane, ed in alcune realtà come Marsiglia o Tolosa sono stati massicci.

In questo senso, il movimento ha travalicato l’unico corpo intermedio che aveva lanciato la mobilitazione.

Un secondo dato è il relativo coinvolgimento degli istituti classicamente al centro delle mobilitazioni studentesche, mentre molto maggiore è la partecipazione degli istituti più periferici o delle zone della “Francia Profonda”, quasi sovrapponendosi, nel secondo caso, alla geografia – almeno a livello tipologico – della protesta dei gilets jaune: zone peri-urbane, rurali e de-industrializzate.

Come ha detto Louis Boyard, presidente dell’UNL: “ci sono molti istituti che non si mobilitano mai in tempi normali, e che sono oggi molto motivati, in particolare gli istituti rurali e professionali”.

Questo è un dato rilevato anche da Le Monde nella sua inchiesta di venerdì, che prende in considerazione il contesto dell’Esagono e fa un focus su Lione in cui afferma che “la geografia delle rivolte è marcata: la periferia lionese”.

Perimetrando il fenomeno, lo studioso Robi Morder, intervistato dal quotidiano francese,  rivela che a livello nazionale “sono gli istituti dove si possono ritrovare dei giovani colpiti dalla difficoltà ad arrivare alla fine del mese, ‘figli dei gilets jaunes’, insomma”.

Certamente questo dato spiega, senza esaurirlo, la maggiore radicalità di comportamento vista nei blocchi e nelle manifestazioni, e un comportamento delle forze dell’ordine più incline al “trattamento” in genere riservato agli abitanti dei quartieri popolari.

Come hanno rilevato altri studi sociologici precedenti sulla “radicalizzazione” degli studenti medi, condotti da Anne Muxel e Olivier Galland, uno studente medio su due ritiene “accettabile” la forma del blocco come strumento per opporsi ad una riforma, mentre tra il 10% e il 20% ritiene che sia accettabile un passaggio ad atti violenti, a delle minacce fisiche o a danni materiali come forma di protesta.

Insieme agli universitari, che si sono mobilitati questa settimana in differenti facoltà, anche gli studenti medi scenderanno in piazza domani – ed i gilet gialli indossati in maniera vistosa da una parte di loro, nei giorni scorsi, sono la rappresentazione plastica dell’influenza che i Gilets Jaunes hanno determinato sul clima sociale complessivo.

Un altro importante di questo sabato sono le manifestazioni sul cambiamento climatico, che si svolgeranno sia nella capitale francese che in oltre 140 città, oltre che in altri 17 Paesi.

Gli organizzatori hanno rifiutato l’invito del Ministro dell’Interno – che in realtà è suonato più come una minaccia –  a rinunciare alla marcia; sollecitazione che invece era stata accolta positivamente, guarda un po’, dall’ex ministro dell’ambiente dimissionario Nicolas Hulot, figura di riferimento dell’ecologismo francese.

Gli organizzatori hanno detto di voler coniugare la questione sociale con quella della transizione ecologica, come ha affermato Cyril Dion: “i problemi della fine del mese e della fine del mondo non sono differenti, pongono la questione del modello economico”, e Aurélie Trouvé, di Attac, ha rincarato la dose affermando che “il governo non risponde né alla collera sociale né all’urgenza climatica”.

In differenti città, GJ e gli ambientalisti marceranno insieme o organizzeranno azioni comuni come ad Amiens, Aix-en-Province, Lille, Clermot-Ferrand, Bayonne, Marsiglia.

Un segnale di unità molto importante.

Sembra ironico che un Presidente che si era presentato come “non fatto per le acque calme, ma per le tempeste”, come aveva detto di sé in una celebre intervista a un giornale anglosassone, ora si trovi a navigare a vista e senza bussola in mari piuttosto burrascosi, senza peraltro sembrare affatto a suo agio.

Ha accentrato su di sé, attraverso “la verticale del potere” da lui stesso teorizzata, tutte le funzioni fondamentali che l’hanno reso perno “insostituibile” nel laboratorio politico-istituzionale che contraddistingue la sua forma di governance, non permettendo di sacrificare alcuna figura del suo stretto entourage come “fusibile” di un circuito ormai in corto.

Lui stesso, presidente “juppiteriano” e monarca repubblicano, ha così canalizzato su di sé quello sciame d’odio e di desiderio di “vendetta” che contraddistingue  porzioni sempre più ampie del blocco sociale, per cui Macron non è un problema, ma “il problema”.

D’altro canto non c’è all’orizzonte alcun piano B da parte dell’establishment politico-economico, che è costretto a puntare su di lui, nonostante le crepe vistose che si stanno aprendo all’interno della sua maggioranza: salvate il soldato Macron titolava l’Obs, un celebre settimanale francese.

Per parafrasare Tagore: l’arco del tiranno si è spezzato a terra, con i suoi frammenti i bambini ci costruiscono case per giocare…

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