Crisi politica, stato di polizia e movimento politico in Francia. Nel mentre scriviamo, dall’alba sono in corso i blocchi degli istituti superiori, per la terza giornata di mobilitazione promossa da l’UNL, che per alcune realtà territoriali non sono che la continuazione di una ininterrotta settimana di lotta, come a Marsiglia e a Tolosa.
L’hashtag delle mobilitazioni è – tradotto letteralmente – “vendetta studentesca”, una parola d’ordine azzeccata come non mai visto l’inedita, per tutta la storia della Quinta Repubblica, repressione esercitata sugli studenti medi che si sono mobilitati da venerdì scorso e la miglior risposta all’azione repressiva delle forze dell’ordine a Mants-La-Jolie, dove 151 sono stati “umiliati”, messi in fila sulle ginocchia e le mani dietro il capo, in massa.
Una immagine che ha suscitato sdegno e rabbia da ieri sera, dopo i ferimenti e le misure di limitazione della libertà viste tutta la settimana, nei confronti delle leve più giovani che dimostrano contro Macron: i 151 “interrogati” ieri in una modalità che ricorda direttamente le tragiche immagini delle dittature latino-americane sono tutti ragazzi nati tra il 1998 e il 2006.
Scene che si sommano a quelle dei “processi esemplari” celebratisi questa settimana a Parigi contro i dimostranti del manifestazione di sabato scorso, il primo dicembre, nella capitale. “Processi” in cui la vera imputazione era quella di aver partecipato alla mobilitazione, in una sorta di “concorso psichico” con le violenze senza che potessero essere formulate accuse per atti specifici.
L’intento è chiarissimo: disincentivare la partecipazione alle prossime manifestazioni.
Uno dei parenti, padre di un condannato, ha dichiarato ad un giornalista di Reporterre che dovevano condannare suo figlio così come hanno condannato i primi “disertori” durante la Prima Guerra Mondiale.
Il dispositivo di sicurezza che si prepara per sabato, non solo a Parigi, è impressionante: blindati anti-barricata della Gendarmerie, militari a presidiare monumenti e punti sensibili, tutte le forze dell’ordine mobilitate, un apparato giudiziario “precettato” in massa, pronto a gestire un flusso massiccio di fermi.
Al “bastone” repressivo fa da contraltare una magrissima “carota”, fatta di parzialissime concessioni (“mesurettes“) e la riapertura del “dialogo sociale” con i quadri dirigenti delle organizzazioni sindacali che ieri si sono incontrate, facendo un comunicato congiunto – tutte tranne Solidaires – che denuncia “tutte le forme di violenza nell’espressione delle rivendicazioni”, Senza però scrivere un singolo rigo sulle violenze poliziesche che hanno causato per esempio la morte di una ottantenne algerina, deceduta in ospedale, in seguito al lancio di una munizione esplosiva sabato scorso a Marsiglia; né i numerosi feriti, anche gravi, con amputazioni di arti, perdita della vista e sfiguramenti del volto.
In un comunicato Solidaire, denuncia la mancata presa in considerazione all’incontro intersindacale – a cui hanno partecipato CGT, FO, CFDT, CFTC, UNSA, CFE-CGC – dell’ipotesi di uno sciopero generale e la mancata denuncia delle violenze poliziesche.
La dichiarazione congiunta ha suscitato lo sdegno della base, in specie della CGT, che ha partecipato o co-organizzato sempre più iniziative con i Giltes Jaunes, e a cui alcuni membri hanno aderito individualmente ai blocchi dal 17 novembre. Basta leggere qualcuno dei numerosi reportages che la stampa francese ha dedicato alla vicenda per capire che una parte consistente dei Gilets Jaunes attivi ai presidi e nei blocchi, e nelle varie azioni, è parte di un classe operaia variegata che, anche se ridimensionata, è tutt’altro che scomparsa. Qui, insieme a disoccupati e precari (undici milioni di persone), c’è una porzione di classe operaia “tradizionale” che rientra sempre più negli standard dei working poor, in una situazione dove la de-industrializzazione che ha colpito duro Oltralpe, è uno spettro che incombe sui salariati.
Basterebbe vedere En Guerre, ora nelle sale cinematografiche italiane, per rendersi conto di ciò di cui stiamo parlando. “L’ascolto e il dialogo“, che sarebbe la nuova strategia di comunincazione intrapresa da Macron, e a cui CFDT e FO nelle rispettive dirigenze hanno teso vistosamente un braccio già subito dopo il 17 novembre, non può che risolversi nella cooptazione della regressione sociale e nella politica di austerity, targata UE, delle rappresentanze sindacali. E probabilmente in una rottura tra la dirigenza della CGT, alla cui testa c’è Philippe Martinez, e una base sempre più impegnata nell’organizzazione diretta di un composito blocco sociale che trova in questo movimento l’opposizione popolare più efficace alla Macronie.
Vedremo se ci sarà una vera “svolta concertativa” nei confronti della miseria sociale crescente e cosa sarà in grado di produrre, come reazione nel corpo del maggiore sindacato francese. Una cosa è però chiara: già da tempo le organizzazioni politiche non sono più i centri di gravitazione permanente della politica; così come si è notevolmente ridotta la capacità di incidere dei corpi intermedi, fino ad ora bypassati dalla strategia di governance macroniana.
La fortuna, o la caduta in disgrazia, degli uni e degli altri si gioca sulla capacità di capire, intercettare, co-adiuvare ed orientare, fornendo un output adeguato alla propria azione, rispetto a ciò che attraversa il corpo sociale e che questo movimento sta facendo emergere.
Concludiamo con il profilo politico di questa crisi che sta esautorando sia la destra del RN di Marine Le Pen, sia il partito di Macron (La Republique en Marche!), mentre sta dando molta visibilità alle forze che – come la France Insoiumise e il PCF – stanno fungendo, con una propria prospettiva, da “delegato politico” del movimento.
In questo momento entrambe fanno da cuneo di questo movimento dentro le istituzioni rappresentative repubblicane. Sono forze che propugnano, specie la FI, un superamento dell’attuale assetto di rappresentanza politica della Quinta Repubblica, come del resto rivendicano i GJ.
Mentre Marine Le Pen, dopo avere esortato sabato, attraverso un tweet, i manifestanti a lasciare i luoghi degli scontri a Parigi “per lasciare mano libera ai CRS contro i casseurs”, ha ribadito in settimana di essere contro l’innalzamento del salario minimo intercategoriale – lo SMiC – al centro delle rivendicazioni dei GJ.
Il leader dell’altro partito di ultradestra – Laurent Wasquiez, LR – ha chiesto a Macron, allineandosi ad alcuni sindacati di polizia, di dichiarare per alcuni giorni, in occasione delle mobilitazioni di sabato, “l’etat d’urgence”.
Lunedì mattina, invece, verrà depositata la “mozione di sfiducia” propugnata da FI e PCF, a cui si è associato il PS, raccogliendo le firme necessari tra i propri eletti, che dovrà essere discussa entro 48 ore dalla sua consegna.
L’opposizione “a sinistra” ha tradotto la rivendicazione più sentita dal movimento politico sociale ed il coro che accompagna ogni mobilitazione: “Macron Dimissioni”. La precondizione per la soddisfazione, anche parziale, delle rivendicazioni espresse dai GJ, dagli studenti medi, a quelli universitari, dai settori più militanti del sindacalismo e agli attivisti dei quartieri popolari, è la caduta di questo governo.
Se viviamo, diceva il poeta, è per camminare sulle teste dei re.
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