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USA-Cina-Russia: sfide marine planetarie

Vario naviglio militare sta incrociando in questi giorni in diversi bacini marini. La politica ha indossato il “giubbetto di navigazione”.

Seguendo il copione della messinscena ucraina del novembre scorso nello stretto di Kerč, il cacciatorpediniere lanciamissili USA McCampbell” (DDG85; classe “Arleigh Burke”/II) ha solcato le acque attorno alle isole Paracel (Xīshā Qúndǎo, per la Cina) nel mar Cinese meridionale. Secondo la portavoce della Flotta del Pacifico, Rachel McMarr, l’unità sarebbe transitata 12 miglia al largo dell’arcipelago che, insieme alle Nánshā Qúndǎo (Isole Spratly) e all’atollo Huanyang (Scarborough), è conteso tra Cina, Viet Nam, Brunej, Malesia e Filippine. McMarr ha ostentatamente aggiunto che, scopo della missione, è quello di “assicurare la libertà di navigazione” e “sfidare le eccessive pretese marittime”. Un chiaro riferimento alla Cina, che attribuisce le Paracel alla provincia di Hainan e che ha dunque immediatamente inviato nell’area proprio naviglio e ha invitato la Casa Bianca ad astenersi da ulteriori provocazioni.

Non a caso, Washington, che non riconosce la giurisdizione di Pechino sulle isole, incrementa da tempo i contatti e le forniture di armi al Viet Nam – che rivendica la sovranità sull’arcipelago – e intensifica i movimenti della Flotta del Pacifico che, con le Flotte VII e III, copre quasi interamente oceani Pacifico e Indiano, dalla West Coast USA alle coste orientali dell’Artico.

Appena un mese fa, sempre il “McCampbell” era transitato in prossimità del Golfo di Pietro il Grande, nel settore nordoccidentale del mar del Giappone, con un’ampiezza di oltre 24 miglia marine, che Mosca considera come proprie acque territoriali, di fronte a città quali Vladivostok, Nakhodka, Bolšoj Kamen e Vostočnyj. Anche in quell’occasione, McMarr aveva parlato di una sfida yankee alle “eccessive pretese marittime” russe nel mar del Giappone.

A fine ottobre, altri vascelli della Flotta USA del Pacifico, il cacciatorpediniere “Curtis Wilbur” e l’incrociatore lanciamissili “Antietam”, avevano attraversato lo stretto di Taiwan e ugualmente Pechino aveva accusato Washington di aver violato le acque territoriali cinesi; a maggio, il caccia “Higgings” e ancora l’incrociatore “Antietam” erano passati 12 miglia a largo delle Paracel.

Un’altra “sfida” della US Navy, più a occidente, è stata quella della nave da sbarco “Fort McHenry”, del 22° Gruppo di spedizione della VI Flotta, penetrata il 6 gennaio nel mar Nero attraverso i Dardanelli e approdata al porto rumeno di Costanza. Immediatamente, ha preso il largo il vascello da pattugliamento costiero russo “Pytlivyj” della Flotta del mar Nero, per tenere sotto controllo la nave USA. Alla vigilia, il rappresentante speciale nordamericano per l’Ucraina, Kurt Volker, aveva ribadito la volontà USA di rafforzare il proprio appoggio a Kiev e di intensificare le forniture di armamenti, anche letali. Dopo le raccomandazioni del Senato americano a Donald Trump, di accrescere la presenza USA nel mar Nero, anche Kiev ha più volte dichiarato di voler ripetere in quel bacino quanto tentato lo scorso novembre. L’arrivo nel mar Nero della nave statunitense segue di pochissimo la conclusione delle esercitazioni dei reparti missilistici russi in Crimea – con l’uso soltanto elettronico, senza proiettili, dei complessi costieri “Bal” – e anticipa le manovre congiunte russo-iraniane nel mar Caspio, previste a breve scadenza e che sembrano ripetersi a cadenza biennale.

Il 7 gennaio, poi, un drone da ricognizione strategica RQ-4B-30 “Global Hawk” del US Air Force ha sorvolato le coste della Crimea. Partito, come di consueto, dalla base di Sigonella, si è dapprima diretto sopra la linea di demarcazione nel Donbass e nel pomeriggio ha compiuto voli di ricognizione lungo la costa russa del mar Nero, avvicinandosi ad appena 33 km all’area di Sebastopoli. Nelle stesse ore, riferisce RIA Novosti, al largo delle coste della Crimea è stato avvistato un pattugliatore antisommergibile della marina USA, P-8A “Poseidon”.

Un altro settore marino la cui questione è balzata nuovamente in primo piano – per ora, senza interventi navali – soprattutto dopo la conferenza stampa di Vladimir Putin di fine anno, è quello delle isole Kurily, che Tokyo e in particolare il primo ministro Shinzo Abe sembrano dare sempre più spesso come acquisite al Giappone. Lo scorso dicembre, Putin aveva sollevato ancora la questione del trattato di pace (mai concluso tra Mosca e Tokyo dopo la Seconda guerra mondiale) invitando il Giappone a non legarne la firma alla cosiddetta “restituzione dei territori settentrionali”. Ma Tokyo insiste nel rifiutare tale offerta e anzi vede già le Kurily meridionali come parte integrante del proprio territorio, come “compensazione” alla firma del trattato di pace. A quanto pare, nessun sembra per ora tener conto dell’opinione degli abitanti delle quattro isole, scesi ripetutamente in piazza negli ultimi tempi, temendo un accordo russo-giapponese, in particolare, dopo vari accenni, quantomeno di non univoca interpretazione, fatti sia da Putin, sia dal Ministro degli esteri Sergej Lavrov. Mosca, che mantiene nell’area delle quattro isole basi aeree e navali, teme, non senza fondamento, che una volta ceduti i territori al Giappone, la presenza militare USA si faccia permanente, anche con l’installazione di basi americane.

Per completare il quadro, dal 7 al 10 gennaio il leader nordcoreano Kim Jong Un è per la quarta volta a Pechino, in meno di un anno, per incontrare Xi Jinping. Facile ricordare come ogni precedente incontro tra Xi e Kim sia stato in qualche modo collegato ai colloqui di Kim con Donald Trump o il leader sudcoreano di Moon Jae In: non sembra dunque lontano un secondo vertice Kim-Trump dopo quello di Singapore. E non è certo casuale che, sempre il 7 gennaio, anche l’ambasciatore russo a Pyongyang, Alexandr Matsegora, sia stato ricevuto dalla vice Ministro degli esteri della RDPC, Choi Son-hee, con cui ha discusso le possibili soluzioni della questione nucleare nella penisola coreana.

Dunque, ancora una volta, la cosiddetta “questione nucleare” della RPDC, sembra apparire come merce di scambio nel confronto USA-Cina e USA-Russia, con la vecchia “politica delle cannoniere” yankee che contorna il confronto commerciale globale: nel caso specifico, soprattutto quello sino-statunitense. In questo quadro, osserva Vladimir Pavlenko su iarex.ru, Pechino cerca di “scambiare” la denuclearizzazione della Corea del Nord con lo status “di nazione più favorita con gli Stati Uniti. Il programma nucleare della RPDC non è solo nordcoreano, ma è progettato per tenere Washington “al guinzaglio corto” e correggere la bilancia commerciale bilaterale”.

A perdere, in questo gioco, sembra essere il Giappone ed è forse per questo che il premier Shinzo Abe, di fronte alla prospettiva di un “allentamento dell’ombrello di sicurezza” USA e un inasprimento del confronto con la Cina, chiede a Washington di intervenire quantomeno nella questione del trattato di pace con la Russia, per cercare di “contrastare congiuntamente la minaccia proveniente dalla Cina”, come ha dichiarato Katsuyuki Kawai, consigliere speciale di Abe.

Il 2019 inizia nello stesso segno della fine del 2018: le sfide militari transoceaniche nella cornice degli interessi commerciali tra potenze in ascesa ed economie in crisi.

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