Venerdì 28 giugno, tre rappresentanti europei – rispettivamente (Francia, Germania e Gran Bretagna) al fianco di un rappresentante russo, cinese e iraniano – si incontreranno a Vienna, dove venne siglato l’accordo sul nucleare iraniano nel luglio del 2015, con la mission di salvare il trattato e cercare di avviare una de-escalation tra USA (usciti unilateralmente dall’accordo nel maggio dello scorso anno) e la Repubblica Islamica.
Il cerchiobottismo dell’uscente Federica Mogherini, alla sua ultima missione importante come alta rappresentante della UE, è il risultato di una evidente “sconfitta diplomatica” dell’Unione: “Noi non abbiamo mai fatto mistero che salvaguardare l’accordo non è un esercizio facile. Ma il nostro fine non è cercare i responsabili di un possibile fallimento”, ha dichiarato la crepuscolare leader europea.
In realtà l’accordo è stato fatto saltare da USA, Israele e petromonarchie del Golfo, nonostante la maturità diplomatica dell’Iran nel rispettarlo accettando a suo tempo un accordo sulla base di una precisa equazione politica: l’abbandono del programma nucleare iraniano in cambio della fine delle sanzioni, traducendosi in un beneficio economico che avrebbe portato l’Iran a giocarsi le sue potenzialità su scala regionale e possibili fiorenti relazioni con il Vecchio Continente, dopo otto anni di un sanguinoso conflitto con l’Iraq (1980-88, poco dopo il successo della rivoluzione del ‘79) e il suo ruolo di prim’ordine giocato nella sconfitta dello Stato Islamico (Daesh) in Iraq, Siria e nei confini con il Libano, insieme a tutta la “MezzaLuna sciita”…
Con la sconfitta dell’Isis, l’Iran ha conquistato la sua prima vittoria fuori confine della storia moderna, con l’intervento diretto dei Guardiani della Rivoluzione.
Il 21 novembre del 2017, il presidente Hassan Rohani ha proclamato la fine di Daesh, mentre Ghassem Soleimani, comandante delle forze speciali di Al-Qods, si felicitava per la “vittoria determinante” contro gli jihadisti,.
Questa vittoria militare è stato il completamento sul piano militare del successo diplomatico del 14 luglio 2015.
Ai distratti opinion-maker occidentali, bisogna ricordare che la profondità strategica dell’Iran è data dall’arcipelago islamico sciita e “persianofono”, con cui intrattiene rapporti di varia natura in un arco geografico che – da Ovest a Est – va linea quasi retta dal Libano fino a Tagikistan, Afghanistan e Pakistan, mentre a Sud arriva allo Yemen.
Bisogna ricordare che membri delle comunità sciite afghana, pakistana hanno fornito combattenti alla lotta contro il jihadismo in Siria; le forze “straniere” di questa “internazionale sciita” sono stimate attorno ai diecimila uomini, di cui due-tremila iraniani delle brigate Al-Qods; mentre in Yemen l’appoggio ai ribelli Houti (zayditi) contro la coalizione a guida saudita è la “spina nel fianco” – insieme alla rivoluzione sudanese – dei progetti delle petromonarchie del golfo, nell’area strategica tra Mar Rosso e Golfo di Aden.
L’Iran ha rafforzato i propri legami commerciali con l’Iraq post-baathista, consolidato le proprie relazioni con la Siria, gioca indirettamente un peso rilevante nella politica libanese attraverso il suo alleato Hezbollah – anch’esso determinante nel conflitto contro gli jihadisti in Siria e contro i tentativi di destabilizzazione del “Paese dei Cedri” – tra l’altro uno dei maggiori sostenitori della causa palestinese nell’area.
In poche parole l’Iran ha rotto “l’accerchiamento” cui era stato costretto per anni, e si è presentato all’attuale fase di sfida del mondo multipolare come un attore paritetico e rispettato, forte delle sue risorse naturali, demografiche (è un paese “giovane” e altamente “istruito”), di coesione sociale – le sue contraddizioni sociali non sono risultate sfruttabili per una “rivoluzione colorata”, peraltro fallita – nonché una rete di rapporti che ne fanno uno “stato cerniera” fondamentale, centro di un mondo che se prospera e fa crescere le isole del suo “arcipelago”. E questo impensierisce non poco i suoi avversari…
L’UE gli ha semplicemente girato le spalle, usiamo pure la parola “tradito”, ribadendo la sua fedeltà atlantica e la subordinazione effettiva al nuovo inquilino della Casa Bianca che a pochi mesi dalla vittoria militare contro l’ISIS è uscito dal trattato sul nucleare iraniano ed iniziato una escalation ancora non terminata.
Un anonimo diplomatico a Bruxelles ha dichiarato a “Le Monde” che: “Alla fine, il nostro unico successo degno di nota sarebbe stato di preservare la nostra unità di fronte a Trump, considerato che ha fatto di tutto per distruggerla”
Se in effetti l’UE non si è allineata a Trump e i suoi alleati d’area (tranne la Gran Bretagna, e più discretamente la Germania, sull’attribuzione all’Iran degli “atti di sabotaggio” di maggio e giugno) – in un vertice a metà febbraio a Varsavia il presidente Usa avevano spronato i paesi dell’Unione ad allearsi con una sorta di “NATO Araba” mobilitabile contro Teheran – non si è però mai realmente aperta una sfida commerciale alle sanzioni extra-territoriali imposte all’Iran, attraverso l’Instex (una sorta di mercato di scambi con un sistemi di pagamento alternativi lanciato a fine gennaio di quest’anno da UK, Francia e Germania) che non ha portato ad alcun risultato tangibile.
Gli scambi hanno riguardato solo alimenti e materiale medico prodotto da piccole e medie imprese, in quantità peraltro molto insufficiente. Gli scambi sono “affondati”, tranne che per qualche impresa francese e tedesca, e sono pochi coloro che hanno osato sfidare Washington, nonostante le roboanti dichiarazioni fatte lo scorso febbraio; e il suo “attuale” rilancio che è tutto da verificare: “credo che sia pronto per essere operativo”, ha dichiarato ancora il 26 giugno la Mogherini…
L’11 febbraio 2019, il Ministro degli Esteri Russo, Sergey Ryabkov, ha dichiarato che la Russia avrebbe cercato di partecipare a questo “strumento di scambio” – in inglese Special Purpose Vehicle (Spv) – mentre in una intervista al Financial Times l’ambasciatore cinese nella UE, Zhang Ming, ha spiegato che anche le aziende cinesi potrebbero ricorrere a questo strumento, dichiarato dal ministro dell’economia francese Bruno La Maire “un’istituzione europea, totalmente indipendente, che non avrà conti in dollari e nessun legame con la moneta statunitense”.
Ali Rabiei, in una conferenza stampa del 16 giugno, dopo l’incontro con il premier giapponese Shinzo Abe, desideroso di aumentare i rapporti economici bilateriali con la Repubblica Islamica, ha annunciato che Turchia, Cina e Russia vorrebbero unirsi all’INSTEX e si è augurato che altri paesi lo faranno.
Questa è la posta in gioco: sganciarsi da dllaro e USA e ridefinire nel mondo multipolare una modalità di scambio paritetica, che tagli fuori gli States, i loro alleati d’area, dopo avere ridefinito un equilibro regionale che in parte ha mandato all’aria in piani di Washington.
Il mondo è cambiato, e bisogna essere all’altezza delle sfide, sta a noi identificare la “prospettiva strategica” in cui inserirci, oltre la gabbia mentale imposta dalle oligarchie europee e della mediocrità del ceto politico del “governo del cambiamento”, ristabilendo con i popoli una relazione di rispetto e di scambio paritetico, che comici con l’impedire qualsiasi tentazione di escalation bellica, isolamento economico, marginalizzazione politica, e “razzismo culturale”.
Da qui si comincia, se vogliamo “sganciarci” dalla nostra tradizione eurocentrica e da una prospettiva neo-coloniale, apertamente “suprematista bianca”…
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