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La Cina controcorrente, grazie ai salari alti

Lo avevamo scritto due anni fa. Ieri lo ha certificato addirittura il Fondo Monetario Internazionale.

Il surplus delle partite correnti cinesi in 11 anni si è azzerato, dal 10% allo 0.1%.

Non ha contribuito, precisa il Fmi, Trump e la sua guerra dei dazi, ma al contrario la reflazione salariale cinese (fortissimo aumento dei salari, anno dopo anno), politiche fiscali fortemente espansive e l’apprezzamento dello yuan.

In tal modo la Cina ha sorretto il mercato mondiale non sottraendo risorse, ma anzi aprendo agli esportatori esteri il suo mercato, costituito oggi al 76% dai consumi  interni.

Attenzione dunque a seguire la vulgata dei media e degli economisti occidentali. Quella cinese non è affatto un’economia mercantilista (ossia trainata dalle esportazioni e dalla costante riduzione dei salari, sul “modello” della Germania e dunque dell’intera Unione Europea), ma predilige l’equilibrio nello scambio con l’estero.

Al contrario, nota il Fmi, il surplus delle partite correnti tedesche raggiunge il 7,3% del pil, a cui fa da contraltare il deficit delle partite correnti americano pari al 2,3%, con il debito federale cresciuto sotto Trump del 10,1%, raggiungendo il 101% del pil. In totale i debiti americani raggiungono 70 mila miliardi di dollari.

Ma il debito americano deve fronteggiare un tasso di risparmio appena al 4% del Pil, mentre quello cinese è al 50.1% del pil, con il risparmio cresciuto – negli ultimi 7 anni – del 423%!

Nota il Fmi, anche la Cina deve rientrare dai debiti delle imprese, ma queste le hanno fatto per investimenti nell’economia reale, non certo attraverso riacquisto delle azioni.

Insomma, compagni, sarebbe ora di ragionare seriamente sulla Cina.

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