In base ai sondaggi del Centro Levada, il 54% dei russi vedrebbe bene Vladimir Putin sulla poltrona presidenziale anche dopo il 2024, limite costituzionale (per ora) dei mandati possibili. Due anni fa, erano il 67%; nel 2013, erano meno del 40%. La percentuale di coloro che la pensano al contrario è oggi del 38%, mentre era del 27% nel 2018 e del 45% nel 2013.
E’ risaputo che tali sondaggi siano spesso come le previsioni atmosferiche: affidabili da un giorno all’altro; di più, no. L’unica cosa su cui gli osservatori sembrano più o meno concordare, è che, a tutt’oggi, agli occhi della maggioranza dei russi, Putin rappresenti la “stabilità”, nonostante i problemi dell’economia, le controriforme pensionistiche, gli aumenti vertiginosi delle tariffe comunali, la politica liberal-oligarchica del governo Medvedev.
Per limitarsi ad alcuni dati, secondo il Rosstat (Comitato statale di statistica) il numero di russi con redditi inferiori al minimo di sussistenza è salito a 20,9 milioni (14,3% della popolazione) nel primo trimestre del 2019, contro il 13,9% del primo trimestre del 2018. Allo stesso tempo, l’utile netto della capogruppo di “Gazprom” nella prima metà del 2019 è aumentato del 31%, attestandosi a 371 miliardi di rubli.
Questo, sostiene il PCFR di Gennadij Zjuganov, mentre diventa più chiaro il senso della riforma pensionistica: Putin taglia la spesa sociale di 20,14 miliardi di rubli nel 2019; la cifra include tagli alle pensioni per 16,27 miliardi e alla sicurezza sociale per 4,82 miliardi; ma si assegnano al contempo 7,02 miliardi al Ministero degli interni, 3,7 alla Procura generale, 2,82 al Comitato di indagine, 2,16 alla Guardia nazionale.
Lo stesso ex Ministro delle finanze (dal 2000 al 2011) e attuale Presidente della Corte dei conti, Aleksej Kudrin, una delle principali figure che i comunisti includono tra i “ministri liberali”, teme “esplosioni sociali” a causa del basso livello di vita in cui si trova una così alta percentuale di popolazione.
Ma Putin significa, appunto, “stabilità” agli occhi della maggioranza dei russi. Basti guardare al tipo di opposizione dello stesso PCFR che, nonostante i biasimi sugli aspetti più eclatanti della politica liberale antipopolare, somiglia a una costante preghiera a Vladimir Putin perché, continuando a fare il Presidente, si decida perlomeno a cambiare la politica del governo.
E’ su questo sfondo che si sono svolte le manifestazioni del 27 luglio a Mosca, dopo le quali la Procura generale ha dato indicazioni a tutte le procure perché rispondano energicamente (cosa che la polizia non ha mancato di fare già il 27 luglio, fermando un migliaio di persone) ai meeting non autorizzati, soprattutto ora che mancano una quarantina di giorni alle elezioni regionali e municipali (oltre che per alcuni seggi suppletivi alla Duma federale) del 8 settembre.
Al tempo stesso, Svobodnaja Pressa ipotizza che il Governo, forse preoccupato da un’ipotetica “majdan” russa, tenti di andare incontro all’opposizione cosiddetta “antisistema” (Navalnyj e compagnia liberale varia, per intendersi): tutte le candidature cosiddette indipendenti per la Duma municipale di Mosca, respinte dalla Commissione elettorale municipale col pretesto della falsificazione delle firme raccolte – tema al centro delle proteste – potrebbero essere ripescate dalla Commissione elettorale centrale. E nonostante che, come scrive iarex.ru, sia ormai quasi impossibile nascondere il carattere antiputniano delle proteste, la municipalità di Mosca ha prontamente concesso gli spazi per le nuove manifestazioni di sabato 3 agosto.
Come che sia, a parere della politologa Anastasija Udaltsova – moglie del leader del Fronte di Sinistra, Sergej Udaltsov e lei stessa candidata alla Duma di Mosca – con l’atteggiamento di sabato scorso, il governo ha fatto un grosso regalo all’opposizione tutta: finora non c’era grande entusiasmo attorno al voto, ma i manifestanti che sabato scorso sono stati presi a manganellate, potrebbero decidere di andare in massa ai seggi e dare il voto al primo candidato dell’opposizione presente sulla scheda, liberale o comunista che sia.
Secondo lo scrittore Eduard Limonov, alle proteste del 27 luglio, hanno preso parte non solo “teste rasate, skineader, o figli di mamma borghesi”, sostenuti dall’opposizione liberale – attiva in patria o comodamente insediata all’estero a là Khodorkovskij – ma persone di varia estrazione sociale.
Chi si è unito alle proteste di sabato scorso, sa benissimo chi siano i liberali, sa benissimo che i “neo-liberali” di oggi insorgono contro i liberali di ieri: i figli della borghesia contro i padri borghesi; ma è evidente che, oggi, tutti gli scontenti, per qualsiasi motivo, sono pronti a marciare sotto qualunque bandiera.
Indicativo il fatto, aggiunge Limonov, che del migliaio di fermati (quasi tutti subito rilasciati) oltre la metà venisse da fuori Mosca, nonostante la protesta riguardasse, formalmente, il rifiuto a registrare candidati alla Duma di Mosca.
In segno di solidarietà contro la mancata registrazione dei candidati, anche il Fronte di Sinistra, afferma Sergej Udaltsov, ha partecipato ad esempio alle manifestazioni organizzate dai liberali nella regione di Leningrado; mentre i liberali di Mosca marciano esclusivamente per proprio conto.
Diversa la visione di ROTFront: “Lotta di rospi e vipere”, ha definito le manifestazioni moscovite Aleksandr Batov. Vi ha partecipato essenzialmente la cosiddetta “intellighenzija liberale”, che si concentra soprattutto a Mosca, dove affluiscono le risorse fondamentali del paese; vi hanno preso parte anche altri strati di popolazione, anche lavoratori, ma l’indirizzo delle proteste è dettato dai liberali. Si tratta, in fin dei conti, di una parte molto piccola della società, ma, per serie trasformazioni sociali, dice Batov, non è affatto necessario “avere con sé la maggioranza aritmetica della popolazione. È sufficiente avere una maggioranza politica – un gruppo compatto e ben organizzato, che, con la lealtà passiva della maggioranza, può imporre la propria volontà alla società”.
D’altra parte, la maggioranza delle persone non è oggi disposta a seguire i liberali, o a esser presa a manganellate, o a star dietro ai problemi dei candidati. E’ vero che lo stesso 27 luglio, oltre mezzo milione di persone erano al Park Gorkij ad ascoltare un concerto, ma “ciò non significa che stiano tutti dalla parte del potere. Oggi, quelle persone vanno ad ascoltare musica e domani possono offrire la stessa lealtà passiva a un qualche colpo di stato”. Molti di coloro che hanno manifestato il 27 luglio sono probabilmente partigiani di “majdan”; ma, il sostegno comunicativo è loro assicurato da emittenti come “Ekho Moskvy”, controllata pienamente dal governo.
In sostanza, opinione abbastanza diffusa a sinistra è che le proteste siano vantaggiose anche per il governo, per aumentare l’affluenza alle urne, che altrimenti sarebbe scarsa, e dare così legittimazione alla vittoria dei candidati governativi. La stragrande maggioranza dei cittadini è preoccupata di ben altri problemi: bassi salari, prezzi crescenti, arbitrii burocratici.
Quegli stessi arbitrii messi in luce dai liberali e prontamente ripresi dai media occidentali. L’opposizione liberale, scrive ancora ROTFront, smaschera gli esempi più eclatanti di corruzione dell’élite al potere e scredita il governo agli occhi della società: “questo obiettivo ci agevola, perché l’attuale regime persegue una politica estranea agli interessi dei lavoratori e conduce il Paese alla catastrofe. Ma, sia liberali che potere sono alieni e ostili ai lavoratori, entrambi temono e odiano il popolo; entrambi sono strettamente legati tra loro e con l’Occidente. Entrambi questi gruppi si uniranno indubbiamente se avvertono il pericolo dei lavoratori. E’ disastroso marciare sotto la bandiera altrui; non si possono cavare castagne dal fuoco per questo o quel gruppo oligarchico; non si può partecipare alla lotta del rospo e della vipera”.
E mentre il PCFR ha indetto proprie manifestazioni per il 17 agosto, con lo slogan “Per elezioni oneste e limpide”, il politologo del partito, Sergej Obukhov, premettendo che il PCFR si esprime contro il rifiuto delle Commissioni elettorali a registrare un qualsiasi candidato (tanto più, che qua e là, destino simile tocca anche a candidati comunisti) giudica eccessivo paragonare (lo ha fatto Maksim Ševčenko, del Fronte di Sinistra) la situazione attuale al febbraio 1917, nonostante l’analogia tra Putin che scende in batiscafo sul fondo (in russo: dno) del mare e l’abdicazione di Nikola II in transito alla stazione di Dno.
Di certo, scrive Obukhov, si può “pronosticare una escalation delle proteste a Mosca. Per il momento, i pubblicisti patrioti hanno subito ripreso il mantra “C’è Putin – c’è la Russia, non c’è Putin – non c’è la Russia”, mentre sia i liberali, sia il PCFR scandiscono slogan contro le politiche del presidente, anche se bisogna ammettere che se Putin scompare all’istante, inizierà il caos, dato che altre istituzioni o stabilizzatori diversi da quello presidenziale sono puramente decorativi”.
Non a caso il PCFR, conferma Obukhov, continua a chiedere al “Presidente di cambiare corso e nominare un governo di fiducia popolare, responsabile verso il Parlamento e verso il potere presidenziale”, ricordando che soltanto il PCFR e le forze “popolari-patriottiche” sue alleate possono costituire quella forza in grado di contrapporsi a una “majdan” liberale.
Ovvio che quei “pubblicisti patrioti”, vedono quale alternativa a Putin solo nuovi liberali a là Eltsin e una “perestrojka-2”. Ma, c’è poi davvero tutta questa differenza, come sembra sostenere il PCFR, tra il corso sociale interno eltsiniano e quello attuale putiniano?
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