La riforma delle pensioni che dovrebbe caratterizzare la seconda parte del quinquennio di Macron rischia di coagulare una collera sociale montante da parte di uno spettro ampio di settori sociali – personale ospedaliero, vigili del fuoco, ferrovieri, personale scolastico, tra gli altri – che per differenti ragioni specifiche da mesi sono in agitazione. Segno di come la condizione generale del mondo del lavoro nella seconda potenza dell’Unione Europea si stia velocemente deteriorando, non senza incontrare una forte resistenza.
La discussione parlamentare sul progetto di riforma dovrebbe tenersi all’inizio del prossimo anno, dopo essere stato dibattuto dal consiglio dei ministri, prima o dopo le elezioni municipali del 2020.
Le premesse della mobilitazione di dicembre
21 settembre, la direttrice di una scuola materna della regione parigina si toglie la vita. Christine Renon, spiega il suo gesto in numerose lettere scritte a mano, ritrovate nel luogo in si è tolta la vita nel suo stabilimento scolastico.
Le sue parole sono un pesante atto d’accusa sullo stato dell’arte della scuola in Francia, e sulla difficile condizione dell’insegnante in questo contesto, nonostante la passione profusa.
Molti si ritrovano in ciò che descrive, una denuncia che sindacati e Stylos Rouges avevano portato avanti da tempo, inascoltati. In qualche ora una petizione lanciata dai sindacati, il mercoledì successivo, oltrepassa già i 73.000 firmatari, che chiamano a scioperi e manifestazioni di fronte ai rettorati, mentre il 24 settembre si svolge lo sciopero generale della scuola contro le riforme Blanquer e la distruzione del sistema pensionistico del mondo dell’istruzione.
Martedì 15 ottobre migliaia di vigili del fuoco (tra i 5 e i 10 mila secondo i sindacati), insieme al personale del pronto soccorso, manifestavano per le vie di Parigi in una mobilitazione nazionale pacifica che ha incontrato la feroce repressione delle forze dell’ordine con idranti, lancio delle famigerate “pallottole di gomma” (LBD) e l’abbondante uso di lacrimogeni.
Il settore era in agitazione da mesi per le scarse risorse, la carenza d’organico, i bassi benefit salariali in caso d’intervento e la possibilità di innalzamento dell’età pensionabile prevista dalla nuova riforma. Tutti i livelli della politica, dal nazionale al locale si sono “passati la palla” senza che una soluzione venisse trovata.
Mercoledì 16 ottobre avviene un incidente ferroviario nella regione delle Ardenne su un treno che viaggiava con il dispositivo EAS (équipement agent seuel), che significa che il macchinista è la sola persona della SNCF a bordo.
Il sistema interfono per parlare con i passeggeri e gli strumenti di comunicazione che permetterebbero al macchinista di parlare con i macchinisti degli altri treni, a causa del deragliamento, sono fuori uso. Il macchinista ferito è costretto a parlare direttamente con i passeggeri (una settantina di cui una parte anch’essi feriti) e ad usare sistemi “analogici” (torce e quant’altro) per impedire un ulteriore disastro, fino a fare un chilometro e mezzo a piedi per azionare i dispositivi di sicurezza in grado di prevenire una eventuale collisione con altri treni.
Molti macchinisti, paralizzando di fatto il traffico ferroviario per il fine settimana del 19-20 ottobre fino al lunedì, decidono di esercitare il proprio “droit à la retraite” che permette di astenersi dal lavoro in caso di persistenza di un grave pericolo come prevede l’articolo L 4 131 – 1 del “codice del Lavoro” francese.
La reazione della direzione del SNCF e del governo, che accusano i ferrovieri di avere abusato di tale diritto, facendo di fatto “sciopero selvaggio” e quindi rischiando di incorrere in sanzioni disciplinari, è piuttosto scomposta considerate le puntuali denunce di cui era stato già oggetto questo sistema. L’azione dei lavoratori, nonostante i disagi creati, sembra avere avuto un buon impatto sull’opinione pubblica proprio a causa di quelle ragioni, e di fatto azzerano sia le maldestre giustificazioni della dirigenza ferroviaria che i tentativi di rappresaglia di parte governativa.
Il quotidiano comunista L’Humanité, nel suo titolo di copertina di lunedì 21 ottobre – con l’immagine della testa del treno gravemente danneggiata dall’impatto – sintetizzava bene la situazione: “ferrovieri: il potere preferisce la repressione alla sicurezza”.
Il 14 novembre ci sarà una giornata di mobilitazione di tutto il personale ospedaliero dopo la “marcia funebre” del 28 ottobre verso Bercy. La protesta, che ha investito per sette mesi il personale del pronto soccorso, si è estesa a tutto il personale ospedaliero, a causa della cronica mancanza di fondi destinati dal governo al settore (con gravi ripercussioni sui cittadini) e della sordità dimostrata nell’accogliere le richieste del coordinamento inter-ospedaliero formatosi nel corso della lotta. Un movimento che basandosi sugli scioperi in differenti stabilimenti ospedalieri vuole far crescere la protesta fino alla data di metà ottobre.
5 dicembre
Il 5 dicembre è prevista una “prima giornata di sciopero interprofessionale” che mette insieme CGT, FO, FSU e Solidaires (si è defilata la CFDT da tempo fedele alleata di Macron), oltre a numerose organizzazioni giovanili, nonché il primo giorno di sciopero “ad oltranza” dei conducenti della metro parigina la Rapt – in grado di paralizzare la capitale e buona parte della regione parigina in cui vivono all’incirca un quarto degli abitanti dell’Esagono – e di alcuni sindacati dei ferrovieri (UNSA e Sud Rail a cui si è unita il 19 ottobre la “maggioritaria” CGT Cheminots).
Nell’ultima “assemblea delle assemblee” dei Gilets Jaunes – la quarta – composta da 500 persone in rappresentanza di 200 delegazioni, tenutasi questo fine settimana a Montpellier, è stata approvata una mozione per unirsi a questa giornata di lotta, dopo vivaci discussioni su come relazionarsi alle organizzazioni dei lavoratori e agli altri movimenti, come ha ben riportato il giornale indipendente “Reporterre”.
E proprio Philippe Martinez, segretario generale della CGT, lunedì 4 novembre, si è rallegrato della scelta delle giacche gialle, ricordando ai microfoni di BFM-TV che condividono le “stesse preoccupazioni” su tutta una serie di questioni.
Martinez ha fatto appello a “generalizzare lo sciopero in tutte le aziende”, ricordando che “questo governo, come molti governi nel mondo, non comprende altro che le mobilitazioni”. Ha rigettato in toto la “riforma” pensionistica, e anche l’ipotesi di “modifica” paventata dal governo come exit strategy per cercare di spezzare il fronte che si sta creando. Un “ritocco” che contrapporrebbe le nuove generazioni alle più anziane, che verrebbero risparmiate dai provvedimenti: “Perché si sacrificherebbero le nuove generazioni? Perché le nuove generazioni dovrebbero essere condannate a lavorare fino a 70 anni?”.
Già il 18 ottobre ai microfoni di “Europe 1”, sempre Martinez, parlando delle ragioni dello sciopero del 5 dicembre, aveva dichiarato: ”il governo non ascolta minimamente, perciò bisogna passare ad una velocità maggiore”.
Il manifesto della CGT della regione delle Bocche del Rodano – quella marsigliese per intenderci – non potrebbe essere più chiaro: “Governo e Padroni distruggono le nostre pensioni, i nostri posti di lavoro, le nostre imprese, i nostri servizi pubblici, la nostra sicurezza sociale, fermiamoli! Tutti in sciopero, blocchiamo l’economia a partire dal 5 dicembre”. Segnaliamo “dal”…
La contro-riforma di Macron
In sostanza, la riforma pensionistica consiste in un livellamento verso il basso degli attuali 42 regimi pensionistici esistenti, ma travestito da “universalismo”, innalzando di fatto l’età pensionabile, introducendo un sistema a punti che de-connette i versamenti effettuati da un valore fisso. Come ha giustamente scritto l’economista Henri Stedyniak:
“il vero obiettivo della riforma pensionistica che Emmanuel Macron e il suo governo vogliono imporre è quello di assicurare stabilità (verso il basso) della quota delle pensioni pubbliche sul Pil, per passare dall’attuale sistema che fornisce garanzie certe per i dipendenti, in termini di tassi di sostituzione e di età pensionabile, ad un sistema flessibile che consente di utilizzare le pensioni come variabile per l’aggiustamento delle finanze pubbliche”.
Macron vuole azzerare di fatto sia le conquiste delle varie categorie che lo status dovuto al compromesso sociale avanzato raggiunto in Francia per alcuni settori sociali come il pubblico impiego.
Il 18 luglio, dopo 18 mesi di “concertazione” con le parti sociali, Jean-Paul Delevoye – alto commissario responsabile del dossier – ha svelato le sue raccomandazioni sul sistema universale promesso da Macron, che dovrebbe entrare in vigore nel 2025.
Alcune linee guida erano già state rese pubbliche il 10 ottobre del 2018.
Un sistema “a punti” calcolato su tutta la vita lavorativa, che continuerà con un regime in cui i lavoratori attivi finanzieranno le pensioni dei lavoratori in pensione, che mantiene teoricamente l’età pensionabile a 62 anni ma che di fatto costringerà le persone ad andarci più tardi, se vogliono mantenere un livello pensionistico congruo, proponendo una età “pivot” a 64 anni ed un forte incentivo di fatto verso i fondi pensionistici.
Le trasformazioni prefigurate porteranno di fatto: “ad una riduzione delle pensioni, in particolare per le carriere precarie e duramente colpite, con le donne in testa”, come aveva scritto Rachael Knaebel in un articolo di “Bastamag” da noi tradotto.
Conclusione
Il conflitto sociale si riaccende in Francia; anzi non si è mai spento, nonostante il cono dei luce dei media mainstream l’abbia di fatto ignorato. La vera “ripresa” del movimento dei GJ a metà novembre (il 16 e 17 per la precisione), ad un anno dal suo inizio, sarà un buon banco di prova per capire cosa ci aspetta nei prossimi mesi.
L’editoriale di Le Monde di questo lunedì lasciava trapelare una certa preoccupazione nei confronti del possibile crescere della protesta del 5 dicembre, contro una riforma comunque difesa a spada tratta dal quotidiano; di fatto, un suggerimento interessato a Macron che, nel suo solito stile da rullo compressore, aveva annunciato che non avrebbe fatto “passi indietro”.
All’Eliseo non devono proprio dormire proprio sonni tranquilli da quando il Presidente dei Ricchi, all’isola della Reunion – Territorio Francese d’OltreMare – è stato accolto dallo sciopero generale e dalle proteste fin da subito, appena fuori dall’aereoporto.
Forse non devono avere proprio gradito l’invio dell’esercito, lo scorso anno, nel picco del movimento dei Gilets Gialli, che aveva paralizzato l’isola dell’Oceano indiano per giorni…
Speriamo che la calda accoglienza ricevuta da Macron, sia un buon auspicio per il movimento a venire.
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