Il premio Nobel per la Pace, l’argentino Adolfo Pérez Esquivel, a “Radio U”, non usa mezzi termini per definire la situazione che sta attraversando il continente latino-americano, parlando apertamente di “Piano Condor II”, che lo ha fatto precipitare in una situazione simile agli anni Settanta.
Usa l’espressione “lawfare”, cioè “guerra a bassa intensità” ed è difficile smentirlo tenendo presente ciò che sta avvenendo ora in Bolivia ed in Cile.
Pillar Sanmartin, ricercatrice ad Amnesty International, non è da meno quando dichiara a Le Monde che “c’è uno schema di violenta repressione che si ripete da più settimane e si riproduce attraverso tutto il Cile”.
Amnesty ha effettuato una missione d’osservazione in Cile dal 28 all’11 novembre, e renderà pubbliche per la prossima settimana le conclusioni preliminari, per poi preparare successivamente un rapporto concreto e dettagliato dei fatti.
Dall’intervista che la ricercatrice ha rilasciato a Le Monde traspare una situazione inedita anche agli occhi di una osservatrice “navigata”: “Noi non avremmo mai pensato che la situazione prendesse una piega così estrema”, dichiara in una intervista di sabato 16 novembre al corrispondente del quotidiano francese, preoccupata anche di come un tal livello di violenza possa arrecare traumi indelebili nella società cilena ed allontanare l’uscita dalla crisi.
Sanmartin non potrebbe essere più esplicita quando dichiara:
«Siamo di fronte a delle forze dell’ordine che non sanno come controllare una manifestazione. Invece di proteggere le persone che manifestano per i loro diritti sociali, i poliziotti li attaccano, li violentano, li maltrattano…»
Proprio in Cile, venerdì, a qualche ora dall’accordo tra maggioranza ed una parte dell’opposizione per una uscita concertata dall’impasse politico, si è consumata l’ennesima tragedia, la morte del 29enne Abel Acuña.
Proprio a piazza Italia a Santiago del Cile, rinominata “Placa Dignidad”, con tanto di targa alle persone che hanno subito “traumi oculari” a causa dei “proiettili di gomma” sparati dalle forze dell’ordine lì ed in altri luoghi – son più di duecento, a questo punto –, è avvenuto l’ennesimo decesso.
Polizia e carabineros avevano cercato venerdì di impedire l’accesso ai manifestanti in marcia da diversi punti per raggiungere la piazza simbolo della protesta cilena. Numerose testimonianze, tra cui il personale della sanità (SAMU e Colegio Médico), smentitiscono la versione dei media mainstream, che attribuiscono il decesso adArànguiz una caduta dalla statua al centro della piazza, mentre le “forze dell’ordine” impedivano ai soccorritori professionali e “ausiliari volontari” di prestare aiuto al manifestante colpito da arresto cardiaco; sono arrivate addirittura ad aggredire i soccorritori con tutti i mezzi a disposizione – sparando altre “pallottole di gomma” – e rendendosi di fatto responsabili del decesso.
Un fatto gravissimo ed inedito che costituisce un “precedente” pesantissimo per le mobilitazioni a venire.
Il bilancio repressivo di cui abbiamo parlato in un contributo precedente è pesantissimo. In un articolo pubblicato sul sito di Telesur, del 15 novembre, basandosi sui dati forniti dalla magistratura cilena, viene riferito che ben 26.000 persone sono state detenute dal 18 di ottobre – giorno di inizio del movimento con le mobilitazioni contro il rincaro del biglietto della metropolitana nella capitale – fino all’11 novembre, di cui 8.664 nella regione metropolitana di Santiago.
Le persone messe in detenzione preventiva sono state 1.396, ma ben 1.108 arresti sono stati dichiarati illegali dal tribunale.
Con l’omicidio di Abel Acuña, salgono a 23 il numero dei morti in poco meno di un mese di mobilitazione, mentre sono più di 2.000 i feriti.
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La società cilena tutta – tranne che l’élite politica espressione dell’oligarchia – sostiene le mobilitazioni, anche le figure più rappresentative del mondo sportivo o dello spettacolo, il che dà la cifra dell’estensione della protesta e della mutata sensibilità di una intera popolazione.
La compagine nazionale di calcio (la Roja) ha imposto di non giocare alla ANFP l’amichevole che doveva svolgersi il 19 novembre con il Perù, con Charles Arànguiz – uno dei giocatori più rappresentativi, centrocampista del Bayer Leverkusen – che ha dichiarato espressamente che avrebbe parlato con altri giocatori per recarsi in Piazza Italia invece di giocare, chiarendo che: “Anche noialtri siamo il Popolo.
Differenti gruppi del tifo organizzato di diverse squadre cilene hanno organicamente preso parte a queste settimane di mobilitazione – non è raro vedere le bandiere delle squadre, come quella del Colo Colo che prende il nome da un celebre capo Mapuche, celebrandolo anche nel simbolo – ed hanno chiesto che sia sospeso il campionato di calcio.
È il caso dei “Los Panzers”, barra dei Santiago Wanderes de Valparaíso, specificando che “con la classe lavoratrice non si scherza”. Ricordano che in questa occasione l’inizio del campionato potrebbe diventare una pericolosa arma di distrazione di massa per distogliere l’attenzione dalle mobilitazioni.
Dello stesso avviso “Los del Cerro”, dell’Everton de Viña de Mar, pronti a “boicottare qualsiasi partita di calcio professionista che si giochi a El Sausalito”, mentre la “Garra Blanca” del Colo Colo dice espressamente che “nel contesto che stiamo vivendo nel Paese, il calcio passa in secondo piano, perché stiamo lottando per cose più importanti”. Anche “Los de Abajo”, della Universidad del Cile, e “los Cruzados” della Universidad Católica, si sono espressi contro l’apertura del campionato fino a che l e domande sociali non saranno soddisfatte.
Una dinamica molto simile a quella avvenuta nel 2013 per Gezi Park e Piazza Taksim, ad Istanbul, in Turchia, che portò alla convergenza delle tifoserie storicamente rivali della capitale; o più a lungo e più organicamente con ciò che avviene da febbraio in Algeria, in maniera simile a ciò che da anni succede in tutto il Maghreb, dalla Tunisia durante la “Rivoluzione dei Gelsomini” o in quella polveriera sociale che è il Marocco.
Che il calcio si fermi in Cile sarebbe una netta inversione di tendenza rispetto al principio the show must go on che ha caratterizzato storicamente questo sport, vanificandone il ruolo di controllo sociale. Ma non è solo “il gioco del pallone” ad esserne investito.
Un campione di Ju Jitsu, il 24enne Rogers Rogerio, salito sul podio dell’Open in Argentina – secondo per un punto, in finale – decide di mostrare la bandiera nazionale con su scritto: “Nos Matan Volan y tortura igual que en dictatura”. Cioè “Ci uccidono, ci stuprano, ci torturano come durante la dittatura”. Una presa di posizione comune a tutti gli altri atleti e che dimostra come, nonostante il pervicace tentativo di stimolare l’oblio e la rimozione, nel Cile post-dittatoriale quegli anni rimangono un patrimonio della memoria collettiva anche tra i giovanissimi, di fatto annullando uno dei dispositivi culturali approntati dalla classe politica dalla “transizione” ad oggi.
In maniera diversa, ma non meno efficace, parole simili sono state utilizzate da Mon Laferte, cantante cilena che di fronte a una platea composta da un centinaio di giornalisti internazionali, durante la sfilata del Grammy Latinos, si è mostrata a petto nudo con la scritta “En Chile toruran, violan y Matan”, indossando un pañuelo verde, simbolo della lotta per la legalizzazione dell’aborto.
L’artista, che insieme a Guaynaa è autrice di uno dei più bei brani ispirati alla rivolta cilena, “Plata ta tá” – un altro bellissimo brano divenuto virale è “#Cacerolaco” di Anita Tijoux – duraante la premiazione ha letto un messaggio della cantante folk cilena Chinganera, che denuncia poeticamente ciò che sta succedendo a livello repressivo, un pezzo che termina dicendo “Non porremo fine alla nostra lotta, fino a che non sarà realizzata la giustizia”.
Anche il cantante pop cileno Alex Anwandter – autore del brano “Paco Vampiro”, cioè “sbirro vampiro” – presente al Grammy, ha preso posizione.
Come nel mondo del calcio, anche nell’universo musicale ha fatto breccia una “nuova coscienza”, che di fatto vanifica quella che è la “fabrica del tontismo” (definizione storica dell’industria musicale), uno dei maggiori vettori in America Latina dell’ideologia borghese e dei suoi corollari, funzionali alle oligarchie continentale ed al loro alleato statunitense.
L’informazione mainstream, come quella italiana, morbosamente attenta a tutto ciò che avviene attorno al mondo del calcio e dello spettacolo, ha di fatto ignorato queste prese di posizione, così come tutto ciò che sta avvenendo nel paese sud-americano.
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Una lunga serie di eventi che, come in Bolivia, mettono in discussione non solo gli ultimi 30 anni di neo-liberismo, ma la dominazione neo-coloniale sui popoli indigeni, interrogando tutta la storia del continente, le sue “vene aperte”, per citare Galeano.
Uno slogan efficace che circola dall’inizio delle mobilitazioni recita: “Non sono trenta anni, sono 500 anni”, per sottolineare l’ampiezza temporale che un determinato tipo di dominio, iniziato con i conquistadores europei, ha caratterizzato una parte importante della popolazione cilena, cioè la Nazione Mapuche.
Questo popolo, che ha conosciuto il tentativo di sterminio anche in età contemporanea – rimando volentieri al bellissimo documentario di Patricio Guzmán, “La memoria dell’acqua” – partecipa attivamente alle mobilitazioni, tra l’altro abbattendo le statue che celebrano illustri massacratori del loro popolo. Il modello di repressione oggi generalizzato è stato infatti sperimentato sulla loro pelle, così come il modello neo-liberale di “appropriazione per espropriazione” a favore di una oligarchia è mutuato di fatto dalle pratiche coloniali, di cui hanno fatto le spese i popoli nativi.
È chiaro che ora un popolo tenda ad “identificarsi” con coloro che per primi hanno sofferto le stesse politiche, poi diventate una precisa tecnica di governance.
Questa vicinanza e comprensione è stata palpabile con la partecipazione alle numerosissime manifestazioni per l’anniversari dall’omicidio di Camillo Catrillanca, il 14 novembre, mapuche ucciso dai reparti speciali dei carabineros, i famigerati GOPE.
Una morte impunita, cui solo la pressione popolare per il caso di Camillo e di tutti coloro che sono stati repressi in queste settimane potrà dare giustizia, come si legge nel comunicato delle mobilitazioni:
«invitiamo il Paese a protestare contro la politica di criminalizzazione, torture e morti che iniziò a Temucuicui, e che oggi è applicata sistematicamente alla popolazione cilena».
La Nazione Mapuche è la memoria viva della resistenza del Cile, di fronte ad una repressione che affonda le sue radici molto prima degli anni neri della dittatura di Pinochet.
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Veniamo ora all’accordo siglato tra 11 formazioni politiche, nella notte tra giovedì e venerdì, per una uscita pactada dalla crisi, le reazioni e lo scenario che apre, tenendo presente quelli che sono i precedenti storici di questa strategia politica.
Il movimento cileno sin quasi dai suoi primordi coniuga precise rivendicazioni sociali con richieste propriamente politiche – la formulazione di una Nuova Costituzione attraverso un’Assemblea Costituente – che sono di fatto intrecciate.
L’inversione di tendenza rispetto alle politiche neo-liberiste degli ultimi trent’anni, almeno, può darsi solo con un radicale cambiamento del “patto costituzionale” uscito dal periodo dittatoriale, perché la Costituzione del 1980 mina formalmente alla base l’attuazione di una serie di riforme politiche, ed è una cristallizzazione dei rapporti di forza instaurati attraverso il golpe che ha destituito Salvador Allende e le successive acquisizioni regressive per mano dei “Chicago boys”.
Il “programma shock” annunciato il 24 aprile del 1977 dal ministro delle Finanze Jorge Cauas – ex-funzionario della banca mondiale – e la Riforma Fiscale varata nel marzo precedente, sono stati poi integrate nel 1979 con il Plan Laboral, con la cancellazione delle conquiste dalla riforma del codice del lavoro degli Anni Trenta in poi. E infine “completata” dalla Riforma Previdenziale nel 1980 e la dollarizzazione di fatto, con l’introduzione del tasso di cambio fisso. Tutti questi passi sono stati di fatto “sussunti” nella cornice costituzionale, che non ha subito variazioni sostanziali con la “transizione democratica” e nemmeno negli anni successivi.
In questo caso, quindi, la forma si rivela sostanza per almeno due ordini di ragioni. La prima è di merito: cioè i contenuti di tale patto. La seconda è di metodo: la modalità che ha garantito, dalla dittatura alla “democradura”, la continuità dei rapporti sociali soggiacenti a determinati poteri che hanno fatto del Cile un fedele alleato di Washington e garantito la prosperità di una sempre più stretta fascia di oligarchi.
L’accordo intercorso tra i partiti della maggioranza governativa e l’opposizione – tranne il Partito Comunista – ha visto successivamente importanti defezioni nelle organizzazioni firmatarie; è stato ribattezzato “accordo per la pace e la nuova costituzione”, e prevede l’organizzazione di un referendum l’aprile dell’anno prossimo con due importanti quesiti.
Il primo è sulla revisione o meno dell’attuale Costituzione, mentre l’altro riguarda le modalità con cui verrà riscritta.
Il secondo quesito dovrà stabilire la tipologia dell’organo incaricato di redigerla. Ossia un “Congresso amisto” – opzione sostenuta dalla coalizione di governo – composta in parti uguali di membri eletti a tali fini e di parlamentari in esercizio; oppure una assemblea costituente, composta integralmente da membri eletti a questo scopo, come sostiene l’opposizione.
Se il primo quesito incontrerà una risposta positiva, e quindi il progetto di revisione verrà validato con il referendum, l’elezione dei membri dell’una o dell’altra istanza (Congresso o Assemblea Costituente) si farà nell’ottobre del 2020 con il suffragio elettorale, in contemporanea con le elezioni municipali e regionali.
La ratifica della Nuova Costituzione, che dovrà essere discussa entro 9 mesi (con al massimo 3 mesi di proroga) ed ottenere una maggioranza dei 2/3 dei membri dell’istanza, avverrà con un referendum con voto obbligatorio.
La Costituzione attuale è stata approvata l’11 settembre del 1980. Sgnificativamente nell’anniversario del Golpe contro Salvador Allende, in piena dittatura di Augusto Pinochet, il quale ha lasciato la vita politica solo 10 anni dopo la fine “formale” del regime militare, restando comandante in capo delle forze armate fino al 1998 e senatore fino al 2001!
La legge fondamentale del 1980 è frutto di uno degli ideologhi della dittatura, Jaime Guzman dell’UDI (il partito pinochettista), un membro dell’oligarchia industriale, integralista cattolico, fervente anticomunista e sostenitore della tortura, giustiziato nel 1991 dal FPMR, una delle formazioni comuniste che avevano continuato la lotta anche durante la dittatura e che andarono vicinissime dal liquidare lo stesso Pinochet con l’Operazione Patria Nueva, del 7 settembre 1986.
Il patto costituzionale ha conosciuto una decina di parziali modifiche dal 1990, come nel 2005, ma non ha conosciuto una dinamica di “svuotamento dall’interno”. Anzi, proprio l’attuale presidente Piñera, eletto nel 2018 dopo la presidenza di Michelle Bachelet, aveva scartato ogni ipotesi di revisione costituzionale.
Il Partito Comunista, attraverso il suo presidente, il deputato Guillermo Teillier, ha criticato nel metodo e nel merito l’ipotesi di quest’accordo (da cui è stato estromesso e cui è stato presentato a cose fatte); non condivide il principio dei 2/3, che di fatto ne limita ulteriormente la possibilità di revisione.
Jorge Sharp, sindaco di Valparaíso, membro di “Convergencia Social”, parte integrante del Frente Amplio, con un documento in cui dichiara l’opposizione nel metodo e nel merito, lascia la formazione insieme ad altri 73 dirigenti e denuncia l’accordo come contrario “all’essenza delle richieste che le differenti e diverse manifestazioni hanno fatto scaturire” e “non rappresenta la volontà maggioritaria della mobilitazione”.
Per il sindaco e gli altri firmatari del documento quest’ultima decisione presa dalla direzione di CS “ci indica che non costituisce lo spazio che permette di portare avanti in forma adeguata la politica di trasformazioni democratica che richiede il momento attuale”.
Di fatto un terremoto politico dentro il FA, cui si somma la denuncia circostanziata e la presa di posizione della deputata del Partito Humanista, Pamela Jiles, che senza giri di parole afferma: “tutto ciò che è stato raggiunto grazie al Movimento Sociale, lo hanno fatto arretrare in un secondo, con la firma delle forze politiche” del Patto…
Anche il professore di storia e noto accademico Gabriel Salazar ha espresso critiche feroci all’accordo attraverso una intervista a Nuestra República, denunciando la marginalizzazione di fatto anche in questo caso della “sovranità popolare”. Anzi, lo ha definito uno “schiaffo” in faccia alla cittadinanza, che non accetterà supinamente questo accordo rinunciando alla mobilitazione, visto che tale ipotesi non contempla le domande urgenti della piazza di riforma sociale, come la ri-pubblicizzazione dell’acqua o la riforma del sistema pensionistico, attualmente in mano ai privati…
Per l’intellettuale occorre: “un assemblea cittadina, una Assemblea Costituente propriamente detta, e non un trattativa con la vecchia classe politica”.
Ma forse la critica più incisiva l’ha data la piazza e uno dei settori maggiormente coinvolti nelle mobilitazioni, tra i promotori dell’ultimo sciopero generale che ha paralizzato il Paese martedì 12 novembre, quello dei lavoratori portuali dell’Uníon Portuaria. I quali rigettano l’accordo e mantengono lo “stato di mobilitazione permanente”, senza scartare l’ipotesi di un nuovo sciopero generale.
L’accordo è in sintesi, per la UP, un risultato della “vecchia politica” che ha caratterizzato il periodo di transizione, non accoglie le domande sociali e non fa accenno alla fine del regime repressivo e all’impunità con cui viene condotta tale azione; non garantisce inoltre il desiderio di cambiamento politico espresso in queste settimane, di fatto rimarcando il vuoto di rappresentanza politica dei settori subalterni.
L’articolata presa di posizione pubblica dell’UP si conclude così:
“Il nostro compito immediato è rafforzare la storica spinta all’unità sindacale che si è generata in questa mobilitazione e dare continuità alla sua forza trasformatrice”.
Amulepe Taiñ Wichan, come esclamano i Mapuche, cioè che la lotta continui. Affinché il Cile sia la tomba del neo-liberismo, come recitava uno degli striscioni principali della manifestazione di questo venerdì a Santiago.
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nino
io voglio sperare che il Cile sia la miccia a fare esplodere la protesta, L’Europa in primis e a ruota tutti gli altri paesi dove alberga il NEOLIBERISMO.