Le proteste mettono sotto pressione l’impopolare presidente Ivàn Duque, ancora impegnato nel “confronto nazionale” con gli organizzatori dello sciopero.
Il popolo colombiano si è preso di nuovo le strade del proprio paese per il terzo sciopero nazionale in due settimane, aumentando la pressione nei confronti dell’impopolare presidente conservatore Ivàn Duque e dei suoi propositi di riforma delle tasse.
In migliaia si sono riversati per le strade della capitale, Bogotà, affollandola all’inverosimile, bloccando la maggior parte del centro storico per sottolineare che l’agitazione continuerà, anche durante gli incontri per il così detto “confronto nazionale” che il premier Duque intratterrà con gli organizzatori della protesta.
“Saremo in piazza finché Duque non ci ascolterà” dichiara Andres Lòpez uno dei partecipanti all’assemblea che si sta svolgendo in una delle vie commerciali più importanti di Bogotà. “Non abbiamo paura del governo”
Il primo sciopero nazionale, del 21 novembre scorso, scatenato dai proposti tagli alle pensioni, e a cui hanno partecipato centinaia di migliaia di persone, si è subito tramutato in una serie di manifestazioni quotidiane.
Sebbene la riforma non fosse mai stata annunciata in via ufficiale, è diventata ben presto di parafulmine, una sorta di capro espiatorio sul quale concentrare tutto il malcontento diffuso nei confronti del governo Duque, il cui indice di gradimento, dall’agosto del 2018 data del suo insediamento, è sceso ad appena il 26%
La rabbia dei manifestanti è indirizzata anche nei confronti del fallimento dello storico accordo di pace del 2016 con le Farc (le Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane), che avrebbe ufficialmente concluso una guerra civile che durava da mezzo secolo e che aveva lasciato sul terreno circa 260.000 morti e costretto più di 7 milioni di persone ad abbandonare le proprie abitazioni.
Molti protestano in difesa delle popolazioni indigene e degli attivisti ambientalisti che continuano ad essere uccisi ad un livello allarmante. Un recente attacco aereo scatenato contro un accampamento di trafficanti di droga, ribelli dissidenti, ha lasciato sul terreno sette bambini, facendo accrescere ulteriormente la rabbia dei dimostranti.
Sebbene la maggior parte delle proteste siano state pacifiche, alcune proprietà sono state danneggiate seriamente quando sono cominciate le mobilitazioni. La polizia ha spesso risposto con gas lacrimogeni, usando anche i “meno letali” proiettili di gomma o, in altri casi, le granate stordenti.
Dilan Cruz, un dimostrante diciottenne è morto lo scorso 23 novembre, colpito alla testa da un proiettile di gomma durante la carica di una squadra di polizia antisommossa. L’incidente ha fatto infuriare i manifestanti al punto che gli organizzatori dello sciopero chiesero la soppressione delle tanto temute Esmad, le squadre di polizia antisommossa troppo frequentemente accusate di un uso eccessivo della forza.
Quattro persone, collegate alle proteste, sono morte in altre parti del paese. Mercoledì, i dimostranti hanno fatto sentire tutta la loro rabbia, e, al grido di “assassini”, hanno sfilato davanti agli uffici della polizia.
Gli organizzatori chiedono l’abolizione delle riforme economiche proposte e che il governo onori l’accordo di pace.
Nonostante le manifestazioni di protesta, alcuni analisti pensano che il periodo natalizio potrebbe offrire la tregua necessaria al premier Duque.
“A meno che non succeda qualcosa di eclatante le proteste si prenderanno una pausa durante le feste natalizie, per poi riprendere con ogni probabilità con il nuovo anno” ha dichiarato Sergio Guzmàn, direttore della Colombia Risk Analysis (l’unità di analisi del rischio colombiana
“Il vero rischio è che le proteste potrebbero superare il confine, e non solo ideale, della loro natura urbana, cittadina e tracimare nelle aree più rurali del paese”.
*inviato a Bogotà per The Guardian, 4 dicembre 2019
(traduzione di Francesco Spataro)
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