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Cile: una lunga colata d’acciaio (3° Parte)

Dopo avere ricostruito sinteticamente la storia del movimento rivoluzionario prima e durante l’esperienza del Governo di Unità Popolare (https://contropiano.org/news/internazionale-news/2019/11/23/cile-una-lunga-colata-dacciaio-prima-parte-0121067) – soffermandoci su VOP e MIR – ed avere indagato il tentativo di radicare una guerriglia rurale di montagna da parte del MIR dopo il colpo di stato di Pinochet (https://contropiano.org/news/internazionale-news/2019/12/04/cile-una-lunga-colata-dacciaio-seconda-parte-0121488), iniziamo a trattare la storia del FPMR che dalla prima metà degli Anni Ottanta sviluppò la resistenza armata al regime.

Il comunismo cileno ha una storia secolare.

Nel 1912 venne fondato da Luis Emilio Recabarren il Partido Obrero Socialista, che divenne PCCh nel 1922 e aderisce alla 3° Internazionale.

Nel corso della sua storia il Partito Comunista cileno non contemplò mai nei suoi orientamenti teorici la rivoluzione socialista come conquista del potere con la violenza.

Il suo principale segretario fu Luis Corvalàn – nato nel 1916 e deceduto nel 1990 – che fu leader della formazione comunista dal 1958 al 1990.

È stato protagonista di mille battaglie anche durante il duro periodo del cosiddetto “browderismo” e strinse una solida e durevole amicizia con Salvador Allende.

Il PCCh (da adesso PC) era allineato a Mosca.

Anche a partire dalla campagna elettorale che porterà poi nel 1970 al governo di Unidad Popular di Allende, continuò a perseguire la linea ‘”frontista” per raggiungere il Socialismo in “democrazia e pluralismo”.

Questa linea era criticata aspramente non solo dalle frange extraparlamentari del MIR, ma anche da alcuni settori del PS di Allende, come la corrente di Carlos Altamirano il quale – soprattutto pochi mesi prima del golpe del ’73 – teorizzava la necessità di armare gli operai per far fronte alla reazione montante.

Con il trionfo di Unidad Popular nel 1970 il PC ebbe così ministeri e presenza diffusa in tutto il Paese nella prospettiva appunto dei “comandos comunales” miranti alla costruzione democratica del potere popolare, a partire dalla base.

Questo avveniva nelle fabbriche con i “cordones industriales”, nei latifondi da coltivazione espropriati, nelle comunità andine, fra “i senza tetto”, ovvero i “pobladores” che espropriavano grazie al governo vastissime aree incolte e sovente sterili nelle periferie della grandi città, prime fra tutte la capitale Santiago.

In Cile era in atto una rivoluzione democratica socialista che procedeva con riforme strutturali regolarmente ratificate dal governo sulla spinta di lotte di massa che impensierivano le oligarchie locali e gli Stati Uniti.

Non ci vogliamo soffermare sui “mille giorni” di Unidad Popular (1970-1973), ma cerchiamo piuttosto di ricostruire almeno per sommi capi quella che fu la complessa, e non sempre lineare, costruzione di una resistenza al regime di Pinochet impostosi con il golpe del 1973.

Il segretario del PC, Corvalàn, ebbe un figlio ucciso sotto tortura dai militari e fu egli stesso detenuto e poi liberato nel 1976 grazie ad una campagna internazionale, vivendo come esule prima nella Repubblica Democratica Tedesca e poi in URSS. Pur sentendo un certa freddezza dalle autorità sovietiche, iniziò a pensare – primo segretario del PC cileno nella storia – ad un progetto di reazione armata unitamente al Comitato Centrale comunista in esilio a Mosca, ed i primi confronti su questo tema si ebbero già dal 1977.

Una “rottura” decisiva nella strategia legalitaria del Partito.

Non tutte le correnti del partito si mostrarono unanimi nella decisione, ma Corvalàn ed altri dirigenti di alto profilo torneranno clandestinamente in Cile negli anni immediatamente successivi.

Nello stesso periodo un folto numero di giovani cileni si era già spostato in America Centrale – soprattutto Nicaragua e Salvador – per combattere tra le fila delle guerriglie locali contro il comune nemico che opprimeva il Cile, cioè l’imperialismo “a stelle e strisce”.

In quello scorcio di Anni ‘70 l’attenzione dei vertici del PC clandestino si concentrano in particolare su di un ristretto gruppo di giovani guidati da Raul Pellegrin “Rodrigo“ – militante delle JJCC, le gioventù comuniste di Cile – che, esiliatosi a Cuba, si era arruolato nell’esercito nazionale raggiungendo il grado di ufficiale. Da Cuba Pellegrin decise di trasferirsi in Nicaragua, combattendo con i sandinisti dove, alla testa di una distaccamento internazionalista cileno costituito da un centinaio di giovani – tra cui anche militanti del MIR – entrò a Managua liberata il 19/07/79.

In questo contesto in cui un nuovo orientamento politico della dirigenza comunista si coniugava con la creazione di quadri politico-militari formatisi all’interno dei processi di liberazione latino-americani, maturava l’ambiziosa decisione di fondare in Cile, nella clandestinità, il Frente Patriotico Manuel Rodriguez che prendeva il proprio nome dall’eroe dell’indipendenza cilena contro gli spagnoli nell’800.

Nel 1983, primo decennale del golpe, le strade e le piazze del Cile, apparentemente schiacciato in un torpore mortale, esplosero in una violenza insorgente improvvisa e poderosa, che vide scontri con i carabineros tali da far riportare l’esercito in piazza da parte di Pinochet. Raul Pellegrin e altri quadri politico-militari entravano negli stessi mesi clandestinamente nel Paese, forti dell’esperienza militare fatta in Centro America.

La fase sembrava propizia per un insurrezione violenta contro il regime, a cui i comunisti dovevano dare uno sbocco, quadri in grado di dirigerla e armi: schegge appuntite della deflagrazione sociale in atto…

In quest’ottica fu lanciato dal Partito Comunista il “Plan de Sublevación Nacional”.

Bisogna ricordare che il PC dopo il colpo di Stato garantì una delle più efficaci reti dedicate alla protezione e all’espatrio di dirigenti e militanti politici e sindacali, e fino al 1975 nessuna formazione politica cilena era riuscita a compiere un vero e proprio bilancio del fallimento dell’esperienza d’Allende.

Quello che tra i membri del Frente verrà chiamato Frente Cero, cioè Fronte Zero, è solo in nuce nel 1975. Non è una struttura vera e propria ma una costellazione di cellule che iniziano a dedicarsi lentamente ad alcuni compiti per porre le basi logistiche dell’attività clandestina.

Sulla carta, eseguite le prime azioni di sabotaggio (“apagones“, sabotaggio delle linee elettriche in intere province), assalti a banche per autofinanziamento e azioni contro agenti del Regime, le “ condizioni” per la “rivolta popolare di massa“ –  espressamente così definita dalla segreteria del PC – erano date; sarebbe stato necessario al FPMR, che nel frattempo aveva iniziato a rivendicare le proprie azioni e a pubblicare il periodico “EL RODRIGUISTA”, avere i mezzi materiali per armare quelle masse di insorgenti che affrontavano la repressione a mani nude o con l’uso di artigianali barricate.

Come dicono in maniera auto-ironica i “rodriguisti”, “il 14 dicembre, il FPMR vide la luce togliendola a mezzo Cile”.

Il 14 dicembre del 1983 infatti con una serie di azioni coordinate in più parti del Paese vengono fatti esplodere alcuni piloni dell’azienda elettrica.

Fin da subito, il Frente, che fondava le sue radici nella Commissione Militare del Partito Comunista, agiva in maniera quasi indipendente dal Comitato centrale del Partito all’estero, che non era in grado di dirigerlo praticamente.

Piccoli gruppi operativi fortemente centralizzati e formati da combattenti permanenti, si dislocarono sul territorio nazionale nelle aree urbane, con istanze di comando regionali che rispondevano alla Direzione Nazionale del Frente. Nonostante la “centralizzazione” dell’organizzazione che ripartiva armi, esplosivi e risorse finanziarie corrispondenti alle azioni che venivano pianificate, fu data l’autorizzazione ai singoli gruppi operativi di dotarsi di un proprio armamento in maniera autonoma, mentre la formazione militare veniva impartite in apposite “scuole”.

Il profilo del Frente era quasi esclusivamente militare, cioè doveva formare quadri di combattimento diretti strategicamente dal Partito e accumulare risorse militari per il sollevamento, di fatto perpetrando la dicotomia politico-militare.

Ma torniamo alle dinamiche che ne permisero la creazione ed ad una delle principali funzioni del Frente.

Come era accaduto con il MIR, nel 1980 venne fatta richiesta di aiuto a Fidel Castro. La risposta non poteva essere migliore: decine di tonnellate di armi leggere, inclusi lanciarazzi e mortai, furono inviate su navi mercantili cubane al largo delle coste cilene, ben in altura nell’Oceano Pacifico. Si trattava di armi compatibili con quelle nord-americane in uso all’esercito di Pinochet, armi statunitensi scelte fra quelle in miglior stato fornite a Cuba dai vietnamiti che le avevano prese battendo gli USA e i governi fantoccio indocinesi.

Una insolita ma illuminante triangolazione internazionalista.

Fu così che una piccola flotta di pescherecci d’alto mare controllata dai “rodriguisti”, in piena notte e in condizioni sovente difficilissime, fecero la spola fra le navi cubane e la costa Medio-Settentrionale cilena di Carrizal Bajo ove in luoghi diversi vennero stipate tonnellate di armi e munizioni che sarebbero state indispensabili nell’insurrezione armata popolare contro il regime.

Nel mentre un’altra figura di grande spessore ideologico e morale si era imposta nella logistica e nelle azioni dirette del FPMR, ovvero la giovane Cecilia Magni “Tamara”. Con Corvalàn e altri dirigenti di spicco quali Gladys Marìn, presenti in Cile nella clandestinità più severa e con i due principali comandanti Pellegrin e Magni sul campo operativo, a tenere la rete accuratamente verticistica e “a compartimenti stagni”, iniziarono a giungere le armi che sarebbero state decisive in quella congiuntura critica per il regime.

Nel frattempo espropriazioni a mano armata di generi alimentari su vasta scala a favore dei quartieri più poveri delle città, azioni contro carabineros ed elementi di spicco del regime seguitavano ed il Fronte consolidava la propria fama fra le masse insorgenti del paese come non erano riusciti in precedenza il MIR e altri.

Bisogna ricordare che un’unità di azione guerrigliera col MIR e con il Fronte Giovanile Lautaro fu comunque stipulata dal FPMR.

Purtroppo nei grandi progetti rivoluzionari il destino può sempre giocare anche a sfavore: i servizi segreti di Pinochet avevano, a seguito dei gravi fenomeni d’insorgenza seguiti al 1983, elevato lo stato di allerta ed avevano ben appreso che il Fronte esprimeva una diffusa e assai più organizzata forza di quella del MIR di pochi anni prima a Neltume.

Alcuni passaggi notturni di imbarcazioni sospette erano stati rilevati e in uno sfortunato giorno una pattuglia in borghese della CNI – la polizia segreta del regime – avvistò alcuni militanti del Fronte scavare presso una spiaggia isolata seppur seminascosti fra le rocce: era l’area di Carrizal Bajo e nacque una sparatoria. Alcuni militanti della guerriglia riuscirono a fuggire, uno morì ed uno fu catturato e torturato. Il 90% delle tonnellate di armi tanto faticosamente raccolte grazie a Cuba finì in mano al regime. La stampa diede grande eco alla cosa e gli Stati Uniti catalogarono il FPMR fra i gruppi “ terroristici “ più pericolosi al mondo.

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Armare le folle delle piazze cilene divenne così impossibile e gli stessi vertici della segreteria del PC videro acuirsi polemiche fra chi insisteva per il cammino della lotta armata, fra chi tentennava e fra chi si mostrava decisamente avverso. La questione della divisione interna ai vertici del PC, sia in esilio che in clandestinità rispetto alla lotta armata restò per anni, e se ne dibatte ancora oggi a livello storiografico, una questione amara e segno sia di una reale incertezza politica stretta fra un’Unione Sovietica che si avviava verso un declino implosivo e chi sperava in un rientro in Cile mediante una qualche transizione pacifica in “stile spagnolo” – come purtroppo avvenne – e fra chi, pagando in prima persona ma avanzando sovente come avanguardia, correva verso mille incognite che potevano far attendere il supplizio o l’amara sconfitta, ma non la resa.

Alla metà degli Ottanta, nonostante le divaricazioni politiche latenti che porteranno poi il FPMR a rendersi “indipendente” dal Partito Comunista, e la scoperta dell’arsenale che stava accumulando, la forza del Frente è tutt’altro che trascurabile, riuscendo a compiere nel 1985 400 azioni tra propaganda armata, disturbo e sabotaggio tra cui una cinquantina fallirono, mentre l’anno successivo le azioni furono 704 (di cui 154 fallite).

Una storia rimossa spesso dalla “sinistra radicale” italiana…

Nonostante la debacle della scoperta delle armi ‘cubane’ destinate all’insurrezione, restavano abbondanti risorse per un operazione che nei progetti di Raul Pellegrin e Cecilia Magni avrebbe comunque aperto una “nuova epoca”, quella che passerà alla storia e fu definita dallo stesso Fronte come “Patria Nueva”: l’attentato mortale a Pinochet il 7 settembre del 1986.

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