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Sciopero generale in Francia: “tutto è possibile, a cominciare dalla vittoria

Giovedi 9 gennaio si è svolto il quarto sciopero “inter-categoriale” ed “inter-generazionale” contro la riforma delle pensioni, promosso da un cartello di sigle sindacali – tutte tranne la CFDT – e di organizzazioni giovanili in poco più di un mese.

Dopo le riuscitissime giornate del 5 e del 17 dicembre, e la comunque significativa mobilitazione del 10 dello stesso mese, è il primo momento di ripresa d’iniziativa generale dopo il periodo natalizio.

In questo lasso di tempo, è continuato lo sciopero nella metro parigina – la RAPT – e nelle ferrovie – la SNCF – senza che ci fosse un “ritorno alla normalità”, così che anche nel 36simo giorno di sciopero “ad oltranza” di queste categorie il traffico rimane piuttosto perturbato.

Nella metro parigina circolano regolarmente solo le linee automatizzate 1 e 14; le altre linee, seppur aperte, hanno tragitti ridotti e viaggiano solo parzialmente, mentre bus e tram sono dimezzati.

Nelle ferrovie – dove al 35esimo giorno di sciopero più di un terzo dei macchinisti era in sciopero, così come un quarto dei controllori – circolano 4 TER su 10, un terzo dei treni che servono la regione parigina i “transilien“, 3 treni TGV ad alta velocità su cinque  e solo due Intercité su dieci, mentre il traffico internazionale rimane molto perturbato.

La direzione della SNCF aveva consigliato «di non andare in stazione» e di scegliere ipotesi di viaggio alternative.

Il tasso di adesioni allo sciopero di oggi – secondo i dati che ha fornito l’azienda stessa – è di circa un terzo: 66,6 per cento tra i macchinisti, 57,6% tra i controllori e 37,4% tra gli addetti agli scambi. Anche il traffico aereo è perturbato, con l’autorità competente – la DGAC – che aveva consigliato alle compagnie aeree di cancellare un terzo dei voli.

I lavoratori della RAPT, insieme a quelli della SNCF, sono quelli che hanno “tenuto” alta la tensione in questo periodo, affiancati dal settore chimico, dalle operazioni “porto morto” negli scali francesi da parte dei portuali militanti della CGT, oltre che dai lavoratori dell’energia che si sono resi protagonisti di tagli l’elettricità – e di “riallacci” ai più bisognosi – ai danni delle maggiori aziende francesi quotate in borsa, il CAC 40.

Numerose sono state le azioni “coup de poign” in queste settimane, talvolta condotte insieme ai gilets jaunes, che hanno preso di mira i pedaggi stradali, i centri di smistamento postali, gli hub logistici, le residenze di uomini della maggioranza governativa (LREM) o, come l’altro giorno, la sede parigina di una delle più gradi società di investimento del mondo – la Blackrock – identificata giustamente come una delle maggiori beneficiarie, nonché deus ex machina, della riforma.

Dal 6 gennaio sono in sciopero differenti professioni “liberali”, tra cui gli avvocati e differenti profili del settore medico, che hanno seguito l’appello delle vari associazioni di categoria.

Per ciò che concerne il settore chimico e portuario la mobilitazione si è intensificata: tutte le raffinerie dell’Esagono sono e resteranno bloccate probabilmente fino al fine settimana in un crescendo iniziato nei giorni scorsi, mentre da oggi e per tre giorni gli scali portuali resteranno bloccati.

L’inter-sindacale ha chiamato ad una mobilitazione “inedita”, che inizia il 9 e continua fino a sabato 11 gennaio, facendo appello ad una mobilitazione di sabato in “discontinuità” con la storia del sindacato, dando la possibilità di mobilitarsi anche a chi non può fare sciopero: di fatto una convergenza con le manifestazioni di fine settimana delle giacche gialle, o quanto meno del settore sociale che maggiormente aveva saputo catalizzare la marea gialla.

Oggi anche gli insegnanti sono  tornati a scioperare ed in piazza. Il sindacato maggiormente rappresentativo del settore dichiara che circa il 40 per cento del corpo docente nel “primario” avrebbe scioperato ed più un insegnante su due nel “secondario”. L’esecutivo, che mantiene una consultazione di “facciata” su alcuni aspetti della riforma, ma sembra inflessibile nei suoi principi guida – tra cui una età pivot o “di equilibrio” “a regime” di 64 anni (osteggiata anche dalla “riformista” CFDT) – ha previsto una tabella di marcia serrata ed ha già depositato al Consiglio di stato l’ipotesi di legge.

Le consultazioni – se così si può dire – ri-iniziate il 7 gennaio e disertate inizialmente da FO e da SUD; sono state poi abbandonate da tutti gli altri (tranne la CFDT) dopo l’annuncio dell’eliminazione della possibilità di pensione anticipata. Non propriamente un successo, considerato che solo il padronato francese (il MEDEF) sostiene questa riforma, che allunga l’età pensionabile e sgrava le imprese dai contributi pensionistici degli stipendi più alti, aprendo tra l’altro per questa categorie la strada della pensione “per capitalizzazione”.

La riforma prevede infatti un piccolo contributo simbolico delle fasce alte di questi salariati di cui non godrebbero, costringendoli a rivolgersi ad una pensione “privata”, e riducendo allo stesso tempo le risorse di cui disporrebbe il pubblico venendo meno il contributo dei 200.000 lavoratori ad alto reddito nelle casse dello Stato.

È chiaro che assicurazioni e banche, insieme ai gestori finanziari – come Blackrock – sarebbero i favoriti in questo processo di finanziarizzazione del salario dei francesi.

Nelle prossime settimane il Ministro dell’Istruzione dovrebbe iniziare a discutere con i rappresentanti sindacali della rivalorizzazione dello stipendio degli insegnanti, ma questa, più che una “compensazione” per una riforma estremamente penalizzante per il corpo docente, che vedrebbero calcolata la propria pensione non più sugli ultimi mesi di stipendio ma su tutta la vita lavorativa, sarebbe legata ad una trasformazione radicale dello status di insegnante, che potrebbe godere di un reddito migliore solo in cambio di maggiori sacrifici in termini di mobilità, orario di lavoro e aggravamento delle mansioni.

Questo tavolo di confronto dovrebbe iniziare a metà gennaio e durare sei mesi, tanto per far cuocere a fuoco lento la categoria.

Al di là di questo simulacro di confronto – lo stesso segretario della CFDT Laurent Berger ha dichiarato mercoledì a “FranceInfo” che si è molto lontani da un accordo – il calendario è invece assai stretto. Il 24 gennaio l’ipotesi di riforma dovrebbe andare al Consiglio dei ministri, per approdare all’Assemblea Nazionale – il parlamento francese – il 17 di febbraio, essere discussa per due settimane, per poi essere approvata ad inizio marzo per essere poi inviata al senato.

Dopo più di un mese di mobilitazione è chiaro che le figure più implicate sono piuttosto stanche, ma non demotivate (sono 200.000 i lavoratori della SNCF più quelli della RAPT), e lo sciopero inizia a farsi sentire dal punto di vista economico, anche se proprio ieri una delle maggiori raccolte di fondi per gli scioperanti (che fu lanciata già nel 2016, ai tempi delle mobilitazioni contro il “job act” francese) ha superato i 2 milioni di euro!

Dall’altro lato l’Esecutivo si sta giocando la carta del logoramento, esacerbando gli animi all’interno di uno scontro “muro contro muro” che fa sembrare Macron il degno erede della Thatcher – come l’ha definito il segretario della CGT, Philippe Martinez – che purtroppo riuscì a metà anni Ottanta a piegare dopo un anno di sciopero i minatori della Gran Bretagna, bastione del movimento operaio britannico, facendoli tornare al lavoro senza avere ottenuto nulla.

Assistiamo in questo momento a due fenomeni inter-indipendenti nel mondo sindacale in Francia: la radicalizzazione di una parte ancora rilevante del movimento operaio, che  nel settore dei trasporti ha superato la durata dell’astensione (22 giorni) dell’inverno del ’95, ma anche la mobilitazione della seconda metà degli anni Ottanta, in cui – allora come oggi – non venne rispettata quelle che in Francia vengono chiamate “le vacanze del pasticcere“, cioè il periodo a cavallo tra il vecchio ed il nuovo anno.

Come ha scritto lo storico Laurent Frajerman in una tribuna su “Le Monde”: «il sindacalismo è un contro-potere, e per questa ragione, costituisce la sua potenza sulla conflittualità». Un contropotere che deve essere anche pragmatico, naturalmente, e che deve misurarsi con i risultati ottenuti attraverso la conflittualità – o sulla sua assenza – agli occhi dei salariati.

Ed in Francia la partita tra due “modi” di concepire l’azione sindacale è ormai piuttosto rilevante.

Lo studioso mette in evidenza questa tendenza attuale: «noi assistiamo al risorgere del mito dello sciopero generale: lo sciopero generale ad oltranza si impone logicamente in un contesto radicalizzato dai “gilets gialli” e, per la debolezza del dialogo sociale, il blocco dell’economia sembra attualmente l’obiettivo prioritario». Allo stesso tempo si è definitivamente consumato lo spazio di manovra del sindacalismo “concertativo” della dirigenza della CFDT, unica organizzazione sindacale – insieme alla direzione della UNSA – a dare credito al governo.

Una analisi impietosa ed articolata delle disfatte sindacali della centrale di Belleville è stata scritta in questi giorni da “Mediapart”,  che ha evidenziato come le aspettative di questa organizzazione – anche su una contrattazione al ribasso, che comunque conservasse un minimo di garanzie, come è da anni nel suo modus operandi – nei vari dossier affrontati dal 2016 ad oggi si è risolta in un fiasco dietro l’altro. L’articolo cita in chiusura un intervento del sociologo Guy Groux, apparso su “Le Monde”, che dà la cifra della situazione attuale per la centrale di Laurent Berger:

«il Presidente propone una concezione ibrida, quella di un liberalismo allo stesso tempo sia economico che culturale, ma sempre sottomesso ad una visione pressoché gaullista dell’autorità dello Stato sugli interessi particolari, tra cui quelli rappresentati dai sindacati. Questo “riformismo di Stato” declamato con forza si oppone al riformismo che è la fonte della cultura politica, storica e sociale della CFDT, che molti paragonano al modello social-democratico e sindacale dell’Europa del Nord».

Così la Cfdt, come l’UNSA – un militante intervistato nel corteo parigino ha dichiarato, rispetto al suo segretario: «da noi non l’ascolta più nessuno» -, perdono la capacità di “influenzare” la propria stessa base…

Sul fronte politico, La France Insoumise, il PCF, il NPA, i Verdi francesi ed i socialisti sostengono il movimento attuale. Un’importante delegazione della FI era oggi in uno dei “bastioni” del movimento, l’Assemblea Generale della Gare de Lyon a Parigi, mentre Jean-Luc Mélenchon era a Marsiglia nella circoscrizione dov’è stato eletto. La FI ha articolato una “controproposta” lo scorso fine dicembre, e dato vita ad un meeting parigino in cui prima del leader hanno parlato diversi lavoratori e lavoratrici impegnati nelle lotta: un insegnante, un ferroviere ed una infermiera.

La sinistra – anche quella favorevole all’attuale sistema previdenziale come PS e Verdi – funge da “delegato politico” di questo movimento, di fatto estromettendo l’opposizione di destra, e svolgerà una funzione indispensabile nelle prossime settimane nelle aule parlamentari.

In parlamento l’esecutivo, sostenuto da LREM e MoDem, ha comunque i numeri per far passare la legge, anche se si registra un certo “malpancismo” tra le file dei “macronisti di sinistra”, che non vorrebbero rompere anche con la CFDT e quindi vorrebbero trovare una soluzione che non alzi l’attuale età pensionabile – come chiesto da Berger, disposto alla fin fine a trattare su tutto il resto.

A Primavera ci sono le municipali e quindi gli ex-socialisti “cooptati” da Macron temono una sonora sconfitta, oltre l’odio popolare di cui sono il principale bersaglio.

Alla fine di queste tre giornate di mobilitazione si potrà fare il punto sul cedimento o meno del governo, e capire se è stato sviluppato un rapporto di forza tale da fargli fare anche parzialmente marcia indietro.

Come ha detto il segretario di FO – una delle centrali sindacali “radicalizzatesi” nell’Era Macron: «l’obiettivo non è durare, ma essere ascoltati».

Per l’ora l’esecutivo sembra piuttosto sordo.

Intanto la solita guerra dei numeri sulla partecipazione a seconda delle fonti sindacali o governative caratterizza anche questa giornata.

Quel che è certo che si sono registrati momenti di tensioni forti a Parigi, Tolosa, Bordeaux e Lilla…

Per la CGT la manifestazione a Parigi ha visto la partecipazione di 370.000 persone – poco più di 40.000 per il governo – , 220.000 a Marsiglia (22.000 per la polizia), 120.000 a Tolosa (14.000 per la prefettura).

La mappa delle manifestazioni grosso modo riproduce le estensioni territoriali conosciute il 5 dicembre, con circa 250 manifestazioni sparse in tutto l’Esagono.

Nella capitale, nonostante il lancio di lacrimogeni sulla testa del corteo, spezzato sin dal suo inizio, la manifestazione è arrivata a Piazza Saint Augustin, stipandola all’inverosimile al grido di “Macron Dimissioni!

Per il titolo abbiamo preso in prestito le parole da un intervento di un ferroviere all’Assemblea Generale della Gare de Lyon a Parigi, perché ci sembrano meglio sintetizzare chi da un mese sta dando una speranza non solo alla Francia ma a tutto il Continente.

Quindi, tutto è possibile.

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