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Tutti a casa. Janet, Mohammed e il ristorante

Janet, liberiana di origine, aveva soggiornato a Niamey per qualche tempo prima di raggiungere l’Algeria con alcune connazionali. Erano passati almeno cinque anni dalla sua partenza per Algeri. Nel viaggio una sua amica, incinta, aveva perso il figlio nel deserto perché, per dargli un futuro, voleva nascesse in Algeria. Forse avrebbero avuto pietà d’ella e delle altre donne que l’accompagnavano fino alla capitale Algeri.

Janet si era trovata un posto in un quartiere alla periferia della città. Cucinava e vendeva bevande agli altri migranti che, come lei, cercavano fortuna in Algeria. Aveva avuto lei stessa un figlio che, per evitargli problemi vista la società nella quale era ospite, aveva chiamato Mohammed, deceduto prima di raggiungere i due anni di età.

In verità la malattia del bimbo era facilmente guaribile ed è stata tutta una questione di tempo. Quand Janet ha raggiunto la clinica Moustafa, che offre cure gratuite ai migranti, suo figlio era tornato in fretta nella città dei bambini che si trova adiacente ad ogni deserto che si rispetti.

Le espulsioni dei migranti, rifugiati, richiedenti asilo, mendicanti, lavoratori edili clandestini, irregolari e regolari, accomunati dalla povertà e spesso senza documenti apprezzati dalla autorità, erano iniziate ormai da anni. Ben prima delle marcie rivoluzionarie che avrebbero occupato le prime pagine dei giornali.

Centinaia di migliaia di persone hanno occupato piazze e strade della capitale e delle altre città dell’Algeria. Il longevo e malato presidente della repubblica è stato obbligato a ritirare la sua candidatura e, malgrado la contestata elezione di un nuovo militare come presidente, le marce di protesta continuano.

Questo venerdi 17 gennaio si è celebrata la manifestazione settimanale numero 48. Nel frattempo l’Algeria ha stipulato accordi di espulsione e rimpatrio con alcuni paesi limitrofi, tra cui il Niger. Lo stesso governo ha confermato, nel 2018, di avere condotto l’espulsione di circa 25 mila migranti nel corso degli ultimi cinque anni. L’accusa, nel caso dei nigerini, era quella di esercitare il delitto di mendicare coi bimbi, e di prostituzione per le signore.

Nel 2019 ogni mese ha registrato espulsioni di persone indesiderabili. Secondo l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni OIM, che registra gli arrivi nel nord del Niger, circa 11 mila persone sono state espulse da gennaio a novembre. Naturalmente le autorità hanno negato ogni accusa di mancato rispetto dei diritti umani. Un rapporto circostanziato di Amnesty International smentisce questa versione. Le rivoluzioni settimanali non sembrano interessarsi dei migranti e della deportazione dei poveri.

Janet è stata arrestata in strada dalla polizia e, senza poter tornare a casa per mettere insieme i suoi averi, è stata condotta con altre persone straniere come lei, in un centro per un paio di settimane. Quando il numero di passeggeri ha raggiunto quanto le autorità avevano previsto, attraverso camion e bus i migranti dopo un lungo viaggio, sono stati abbandonati presso la frontiera del Niger, chiamato punto zero. Ci sono una ventina di kilometri da percorrere nel deserto prima di raggiungere la città di Assamaca e poi Arlit, che oltre all’uranio, possiede i campi di accoglienza dell’OIM.

Janet raccontava che era difficile camminare nella sabbia, per le donne coi bambini, con la paura di cadere per strada e di perdersi nel deserto. Janet diceva di essere stata colpita alla guancia da un agente di sicurezza dell’OIM, perché accausata di non rispettare la fila per accedere al cibo quotidiano offerto ai migranti. Janet ricorda che lei e gli altri erano trattati come animali, senza nessun rispetto e senza umanità. Né l’acqua né il cibo erano sufficienti visto il numero di persone espulse dal Paese negli ultimi mesi.

Janet ha 42 anni e si è fatta volontaria per tornare in Liberia, Paese che ha lasciato ormai da molti anni. Il suo compagno è ancora ad Arlit e dice che, se Dio vuole, si incontreranno. Sa che nel suo paese l’ex calciatore Geoge Weah, unico pallone d’oro africano e diventato presidente della repubblica, non riesce a raddrizzare la barca dell’economia dopo anni di guerra civile ed una corruzione endemica. Lunedì ha l’appuntamento con l’impiegato dell’OIM e spera di essere ammessa nella lista dei prossimi partenti.

Ad Algeri Janet aveva un figlio, un ristorante e vendeva bibite e lattine di birra ai migranti di tante nazionalità differenti. Dice che gli affari andavano molto bene ed era contenta del poco che aveva. Ringrazia per la vita.

  Niamey, gennaio 2020

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