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Trump soffia sulle divisioni etnico-confessionali dell’Iraq

Se lo scopo di Trump, con il suo avventurismo, era quello di danneggiare gli interessi cinesi in Iran e Iraq e, in politica interna, distrarre dall’impeachment, ha avuto un successo ancora tutto da verificare, per il momento invece è riuscito benissimo nel riaccendere tutte le frizioni etniche e settarie all’interno dell’Iraq e destabilizzare fortemente l’area. I vicini invadenti, infatti, hanno tutti approfittato dell’occasione per rilanciare i loro interessi nell’area.

Cosi il ministro degli esteri del Qatar ha incontrato il presidente del governo regionale del Kurdistan (KRG), Nechirvan Barzani, per discutere le opzioni per ridurre la tensione nella regione, nonché per migliorare le relazioni commerciali tra il Qatar e la regione del Kurdistan. Ricordando che il Qatar alleato della Turchia è sotto le sanzioni del Gulf Cooperation Council (GCC) dal 2017, imposte da Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrein ed Egitto, che accusano Doha di sostenere il terrorismo, destabilizzare i suoi vicini. Da quale pulpito! Mentre il KRG, controllato in parte dal clan politico-mafioso dei Barzani da sempre alleato degli americani in funzione anti-saddam prima, lo si vorrebbe in funzione anti-Iran. Per il momento i leader curdi si stanno tenendo al di fuori della contesa, ma più volte hanno svenduto gli interessi delle popolazioni curde per interessi personali, e due missili di avvertimento iraniani sono già caduti nella base americana di Erbil.

Mentre personaggi politici sunniti, tra cui il presidente del parlamento iracheno Mohammed al-Halbousi, si sono incontrati a Dubai. L’incontro non era stato apertamente confermato, ma presto sono emersi resoconti dei media iracheni secondo i quali si stava pianificando la creazione di una regione sunnita autonoma simile a quella del Kurdistan. Secondo la costituzione irachena, infatti, tre province possono costruire una regione federale con i propri sistemi monetari e amministrativi. I sunniti, sono la maggioranza nelle province settentrionali e occidentali del paese, aree che sono state in gran parte distrutte nella lotta allo Stato islamico (ISIS), che qui era arrivato nel 2014 e poi sconfitto dalle forze di mobilitazione popolare (PMF) sostenute dall’Iran(Hashd al-Shaabi in arabo), che oggi occupano la zona garantendo cosi una continuità territoriale tra l’Iran e la Siria di Assad. Qui la ricostruzione è lenta o inesistente e il PMF esercita un controllo significativo e repressivo che produce ulteriore frustrazione tra la popolazione. Molti politici sunniti di alto livello si sono affrettati a smentire l’idea di una regione autonoma definendo l’idea reazionaria e che non esiste spazio per discutere tali proposte.Tuttavia un leader tribale di Anbar, residente a Erbil, ha detto a Rudaw English che la comunità vuole una regione sunnita autonoma, ma non nelle mani della classe politica sunnita. I sunniti vogliono una regione “lontana dall’attuale sistema politico”, compresa l’attuale leadership sunnita.

La prima reazione della compagine sciita è venuta dal canale televisivo di al-Nujaba, una fazione di spicco all’interno delle PMF, che ha accusato al-Halbousi di “cospirare contro il suo paese”. Le coalizioni sciite in Iraq hanno riferito che un tale progetto sia guidato da un’agenda esterna che mira a dividere e frammentare il già fragile paese. Ricordiamo che nel settembre 2017, il governo regionale del Kurdistan (KRG) ha tenuto un referendum nella regione del Kurdistan, compresa la provincia di Kirkuk e le aree contese, proponendo la separazione completa da Baghdad. In risposta al referendum, l’esercito iracheno, sostenuto dai paramilitari delle forze di mobilitazione popolare (PMF) sostenute dall’Iran, ha invaso Kirkuk e i territori contesi, costringendo i Peshmerga a ritirarsi il 17 ottobre (per accordo/tradimento del clan curdo dei Barzani stessi). Si prevede che i leader e i politici sciiti attueranno la stessa strategia contro qualsiasi referendum o passi dei sunniti per creare una regione federale all’interno dell’Iraq? All’epoca gli USA si schierarono con Baghdad lasciando solo l’alleato curdo, oggi con chi si schiererebbero visto che parte del parlamento ne ha chiesto la cacciata dall’Iraq?

Il parlamento iracheno, infatti, ha approvato una risoluzione non vincolante, in assenza dei partiti curdi e sunniti, per porre fine alla presenza della coalizione globale guidata dagli Stati Uniti contro le forze dello Stato islamico (ISIS). Per questo l’influente religioso sciita iracheno Muqtada al-Sadr ha indetto manifestazioni su larga scala contro la presenza di truppe americane il 24 gennaio. Sadr, è il capo della Sairoon Allliance, il blocco più grande del parlamento iracheno, ma è stato anche il fondatore dell’Esercito del Mahdi nel sud dell’Iraq nel 2003. Milizia che ha ucciso e ferito decine di militari americani poi sciolta nel 2008. Negli anni Muqtada al-Sadr e le fazioni che lo seguono avevano tenuto le distanze dall’influenza iraniana, ma dopo i recenti attacchi americani e l’assassinio di Soleimani l’intera classe politica sciita, si è ricompattata e allineata all’Iran, incluso Sadr che ha annunciato la ricostruzione dell’esercito del Mahdi. Anche senza quest’ultimo tuttavia il numero stimato delle forze di mobilitazione popolari (PMF) è di circa 200.000, comprese in circa 70 fazioni, e ben equipaggiati.

In mezzo a tutto questo c’è una massa disarmata, finora, che manifesta  in strada dal 1 ° ottobre 2019 per chiedere una revisione del sistema politico ed elettorale, nonché la fine della corruzione dilagante e della disoccupazione diffusa. Sono  donne, giovani, salariati sciiti ma anche sunniti e cristiani che hanno affrontato una brutale repressione spesso ad opera delle milizie PMF la quale ha causato , oltre 520 morti tra manifestanti e membri delle forze di sicurezza e circa 17.000 feriti dall’inizio delle proteste, secondo l’Alta Commissione irachena per i diritti umani, senza contare le sparizioni e i rapimenti.
I manifestanti sono stati in grado di ottenere vittorie parziali, tra cui le dimissioni del Primo Ministro Adil Abdul-Mahdi, e l’approvazione di una nuova legge elettorale in parlamento, ma i progressi richiesti sono ben lontani, così da lunedi hanno iniziato a bloccare autostrade e strade principali  nel tentativo di esercitare pressioni sulla classe dirigente irachena

In un tweet di giovedì , Sadr ha chiesto che le manifestazioni continuino, dicendo che le proteste popolari e le richieste di espulsione delle truppe statunitensi dall’Iraq hanno “lo stesso obiettivo”, nel tentativo di portare a se i manifestanti. L’invito tuttavia non è stato popolare tra i manifestanti “Penso che il 75% dei manifestanti in Iraq, incluso me, non parteciperà alla manifestazione per espellere le truppe statunitensi”, ha detto Sajad manifestante di 26 anni a Rudaw English giovedì “Le milizie sostenute dall’Iran, come Kataib Hezbollah, al-Nujaba e Asaib Ahl al-Haq devono essere espulse in Iran prima di espellere le truppe americane”, ha aggiunto.
L’influenza straniera in Iraq è un punto chiave nelle rivendicazioni dei manifestanti, che hanno incendiato i consolati iraniani in varie occasioni.

Le tensioni USA-Iran stanno, in pratica, polarizzando gli interessi degli attori regionali ognuno sulle proprie posizioni. L’Iraq si avvicina pericolosamente a una nuova guerra civile etnico-religiosa, il cui tributo di sangue sarà pagato come sempre dalle popolazioni civili e i cui esiti possono essere o una teocrazia simile all’Iran o l’ennesima oligarchia asservita agli interessi neo-coloniali delle potenze mercantili. Le uniche forze sul campo che hanno un azione politica anti-capitalista, che combattono il patriarcato (molto oppressivo nella zona) e promuovono una coesistenza tra i diversi popoli in Medio Oriente sono i guerriglieri e le guerrigliere del PKK, che si difendono nel frattempo, dai caccia turchi sui monti Zagros, Nord Iraq e appena oltre confine la Rivoluzione del nord-est della Siria difesa dalle SDF (syrian democratic force) e anch’essa sotto attacco turco-NATO.

* Eurostop Parma

 

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