Vladimir Putin è oggi a Gerusalemme per partecipare al quinto Forum mondiale sull’Olocausto, presso il memoriale “Yad Vashem”, e in vista del 75° anniversario della liberazione del lager di Auschwitz. Dietro le quinte, si dice che potrebbe discutere con Benyamin Netanyahu la questione della giovane israeliana, condannata in Russia a 7 anni per traffico di droga. Ma, tema focale dei colloqui in margine al Forum (sarebbe più esatto dire che il Forum costituisce il pretesto per temi attualissimi) sarà senz’altro la situazione siriana, dopo l’assassinio di Soleimani e i nuovi colpi sferrati da Israele contro la Siria.
In Palestina, Putin si incontrerà poi col Presidente dell’Autorità nazionale palestinese Abū Māzen, in una visita che è vista per lo più quasi solamente come simbolica. Poco probabile che qualcuno, soprattutto in questi tempi di anniversari, sollevi a Gerusalemme la questione del popolo palestinese e dei metodi da olocausto adottati da Israele nei suoi confronti.
Ma qui si parla di altro.
Tra la cinquantina di capi di Stato e dei presidenti di Parlamenti di Europa, Nord America e Australia che partecipano al Forum, non ci saranno né il presidente polacco Andrzej Duda, né quello lituano Gitanas Nauseda. Ci sarà invece il presidente ucraino Vladimir Zelenskij, che anzi spera in un colloquio faccia a faccia con Putin. A Gerusalemme, Putin inaugurerà anche il monumento alle vittime dell’assedio di Leningrado: sembra che in Israele vivano ancora oltre 1.300 sopravvissuti all’assedio.
Il fatto che Israele, proprio in questo momento, riconosca il ruolo dell’Armata Rossa nella liberazione di Auschwitz, rappresenta un significativo appoggio per Mosca, da mesi impegnata a rintuzzare le uscite polacche sul tema dello scatenamento della Seconda guerra mondiale e in particolare sul ruolo dei soldati sovietici nel conflitto. Sul tema specifico del lager nazista in Polonia, nei giorni scorsi il premier polacco Mateusz Morawiecki è arrivato a dire che il campo di sterminio avrebbe potuto esser liberato sei mesi prima, se l’Armata Rossa non se la fosse presa così comoda a coprire i 200 km che la separavano da Auschwitz; “l’Unione Sovietica fu tutt’altro che liberatrice; fu alleata della Germania nazista ed essa stessa si macchiò di crimini, sia prima che dopo la liberazione di Auschwitz”.
Duda non è andato in Israele perché, a quanto pare, se la sarebbe presa per il fatto di dover parlare dopo Putin o di non essere stato affatto inserito nell’elenco degli oratori ufficiali: “Non capisco perché in tale luogo, in un’occasione simile e in un anniversario così importante, possano intervenire i Presidenti di Germania, Russia, Francia, i rappresentanti di Gran Bretagna e Stati Uniti, ma non il Presidente della Polonia”. Varsavia sarà rappresentata dall’ambasciatore in Israele Marek Megirowski.
Ma, in vista dell’intervento di Putin, sembra che la cancelleria presidenziale polacca abbia predisposto uno staff di storici e di esperti in comunicazione, per rispondere “in tempo reale” alle parole del presidente russo a Gerusalemme, mentre l’ufficio del Primo ministro avrebbe già redatto una serie di articoli da pubblicare a pagamento sui giornali americani e israeliani per illustrare “la variante polacca” dei fatti storici.
In effetti, a Gerusalemme ci saranno Putin, Macron, Steinmeier, Zelenskij, il vice Presidente USA Mike Pence, e un buon numero di capi di governo. Non ci sarà Trump, che, peraltro, non andrà nemmeno in Polonia il prossimo 27 gennaio; e non andrà nemmeno Pence: alla cerimonia ad Auschwitz ci sarà il Segretario al tesoro Steven Mnuchin: che voglia dire qualcosa, dopo che Mosca non è stata invitata e sarà rappresentata solo dall’ambasciatore Sergej Andreev?
In Israele, oltre che Duda, non è andato nemmeno il lituano Nauseda, che ha deciso di trattenersi a Davos un giorno più del previsto; il paese baltico sarà rappresentato dallo speaker del Parlamento Viktoras Prantsketis. Al pari di Varsavia, che già da un paio d’anni condanna amministrativamente chiunque metta in dubbio la negazione della partecipazione polacca all’assassinio di ebrei (all’epoca, in Israele si ricordò la citazione dell’ex premier Yitzhak Shamir, che “ogni polacco assorbe l’antisemitismo con il latte materno”), anche Vilnius sta preparando un disegno di legge in cui si nega la partecipazione lituana all’Olocausto, il che ha già sollevato, prima ancora dell’approvazione, forti critiche delle comunità ebraiche baltiche e straniere. Critiche sono venute da parte di Pinchas Goldschmidt, capo del Consiglio dei rabbini d’Europa: “E’ un insulto diretto ai 240.000 ebrei lituani, al cui assassinio contribuirono molti esponenti politici e militari lituani, oltre alla popolazione locale lituana. Il governo lituano dovrebbe riconoscere la propria storia e non cercare di ignorarla o negarla”.
Su rubaltic.ru, Aleksej Iljaševič ricorda le parole di Efraim Zuroff, secondo cui i polacchi stessi hanno più ragioni per negare la partecipazione al genocidio degli ebrei: la Polonia come paese non esisteva più dal settembre 1939. In Lituania, invece, il governo provvisorio filo-nazista, nelle sei settimane di esistenza, riuscì a darsi molto da fare nella soluzione della “questione ebraica”, per non parlare del fatto che azioni antisemite, quali il pogrom di Kaunas, ebbero luogo prima dell’arrivo dei tedeschi”. Al contrario, si elevano al rango di eroi nazionali, komplizen quali Jonas Noreika o Juozas Ambrazevičius.
E’ un fatto, che i komplizen abbiano partecipato in maniera più che attiva a formare intere divisioni nazionali di SS o battaglioni inquadrati in divisioni SS tedesche, e si siano distinti nei massacri della popolazione civile, non solo ebrea, nei paesi occupati dai nazisti. Qualcuno ne ha fatto addirittura una questione di “misure”: Ilja Polonskij ha calcolato che, ad esempio in Francia – paese che fornì una non piccola parte di volontari alle divisioni SS che operavano in Europa orientale – il numero di collaborazionisti e polizei può esser valutato in 50-80 ogni 10.000 abitanti, in Olanda o Belgio 200-250, in Lussemburgo, addirittura, 526.
Ma si parla anche di 143 traditori ogni 10.000 abitanti nella stessa Unione Sovietica e tale cifra sembra da addebitare, tra le altre cose, anche all’alto numero di filo-nazisti in Ucraina e nei Paesi baltici. In Lituania, ad esempio, il numero è stato calcolato in 183,3 collaborazionisti; in Estonia si arriva poi a 884,9 e in Lettonia a 738,2: in pratica, un decimo della popolazione collaborò coi nazisti allo sterminio di soldati sovietici, popolazione civile locale, ebrei, zigani, non solo in patria, ma anche in Bielorussia, Polonia, Ucraina. A solo titolo di “curiosità”, vale forse la pena di ricordare come il principale ideologo nazista, Alfred Rosenberg, fosse nato a Reval (oggi Tallin) da una famiglia di tedeschi del Baltico.
Ma il 9 maggio è ancora lontano e la battaglia, per ora verbale, a distanza tra Mosca e Varsavia non fa che guadagnare tono ogni giorno che passa.
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