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La memoria a intermittenza sul 27 gennaio 1945

Il 27 gennaio, un po’ in tutto il mondo si è celebrata la Giornata della memoria, nel 75° anniversario della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz da parte dell’Esercito Rosso sovietico. Ma è stato giustamente rilevato che si è trattato, come troppo spesso accade, di una “memoria selettiva”: in pochi si sono ricordati degli altri campi di concentramento e di sterminio, anche italiani; dei fili spinati lungo varie frontiere; dei muri di recinzione innalzati dai discendenti delle vittime dell’Olocausto.

Moltissimi hanno finto di dimenticare chi fosse stato ad aprire i cancelli di Auschwitz; dalla Commissione Europea a Bernie Sanders si è evangelicamente parlato di “forze alleate che liberarono il campo di Auschwitz-Birkenau”; Donald Trump, mentre ufficializzava l’obbrobrio anti-palestinese, ha bofonchiato di “forze della libertà”.

Qualche giornale tedesco, sulla scia di giullari nostrani, ha addirittura ascritto il merito (è vero: correggendo poi la “svista”) alle truppe yankee; il fatto è che, ha osservato ironicamente qualcuno, i tedeschi si sono semplicemente portati avanti col programma: presto infatti tutti scriveranno come loro e addosseranno all’URSS la colpa di Hiroshima e Nagasaki. Qualche pubblicazione yankee ha mostrato foto di carri Sherman, riuscendo a non scrivere nemmeno una volta la parola Armata Rossa nel testo di un pezzo intitolato” Real Evil: What American GIs Saw at the Nazi Nordhausen Concentration Camp”.

Alla cerimonia ufficiale sotto i cancelli di Auschwitz, si è riusciti infine (ma sarà davvero la fine?) a negare la parola persino all’ambasciatore russo, Sergej Andreev: Putin non essendo stato invitato, hai visto mai che fosse l’ambasciatore a ricordare agli astanti chi fossero stati i liberatori dei lager nazisti in Polonia?

In compenso ci ha pensato il presidente ucraino, Vladimir Zelenskij, a dire a chiare lettere a chi debba essere ascritto il merito: non all’Esercito Rosso, bensì al 1° Fronte ucraino, come se quest’ultimo fosse emanazione del padreterno. Zelenskij ha detto che furono reparti ucraini, e non sovietici, a liberare Auschwitz: in particolare, la 322° Divisione “Žitomir” e il battaglione d’assalto della 100° Divisione “L’vov”, tacendo catechisticamente sul fatto che la 100° divisione “L’vov” non derivava il nome dalla nazionalità dei soldati, bensì perché distintasi nella liberazione di L’vov, essendo stata formata nel 1942 a Vologda e provenendo i soldati dalle regioni di Vologda, Arkhangels e dalla repubblica autonoma dei Komi, nella RSFSR. Lo stesso per la 322° Divisione “Žitomir”, costituita nel 1941 non nell’ucraina Žitomir, ma nella regione di Gorkij e forte di abitanti di quella regione russa dell’URSS.

Il fatto che però più sconcerta, è che, nell’occasione, tocca render merito al presidente di uno stato che, quanto a metodi da lager nei confronti di un popolo, ha pochi concorrenti: Reuven Rivlin ha ricordato al presidente polacco Andrzej Duda una verità che oggi, in Polonia, è fuorilegge; e cioè che durante l’occupazione nazista, mentre gli hitleriani massacravano gli ebrei, i polacchi se ne stavano lì a guardare, quando non facevano essi stessi “il lavoro”.

Nonostante “il popolo polacco combattesse contro la Germania nazista, molti polacchi se ne stavano accanto” ai nazisti e “addirittura li aiutavano nell’assassinio degli ebrei”, ha detto il presidente israeliano. Poi, per addolcire la pillola al padrone di casa – e per dire la verità tutta intera – Rivlin ha aggiunto che i nazisti “ricevettero aiuto da tutta l’Europa” nello sterminio degli ebrei, e ha invitato nuovamente Duda in Israele, dopo il suo rifiuto a partecipare all’iniziativa allo “Yad Vashem”, gli scorsi 22-23 gennaio.

Per tutta risposta, Duda, messe da parte le dispute storiche, ha proposto a Zelenskij, ebreo, di glorificare insieme uno dei maggiori organizzatori di pogròm anti-ebraici, il capo del Direttorio ucraino Simon Petljura. Naturalmente, Duda non lo ha fatto in maniera così sfacciata, bensì vestendo i panni europeisti della guerra al bolscevismo mondiale, una guerra attuale oggi come cento anni fa; una guerra che nazionalisti ucraini e polacchi combatterono fianco a fianco, a inizi anni ’20, contro la giovane Repubblica sovietica russa.

“Ho proposto al Presidente” Zelenskij, ha raccontato Duda, “di onorare insieme la memoria dei soldati polacchi e ucraini che combatterono contro i bolscevichi… i soldati polacchi, che noi chiamiamo simbolicamente soldati di Piłsudski… e Petljura coi soldati ucraini”. Per la cronaca, Petljura fu ucciso nel 1926 a Parigi da Samuel Schwarzbard, per vendicare le centinaia di pogròm anti-ebraici organizzati dal capo del Direttorio del 1918-1920 nelle regioni di Kiev, Poltava e Kherson e il più feroce dei quali è forse quello del 15 febbraio 1919 nell’area di Proskurov, costato la vita a oltre 1.000 ebrei.

Sempre per la cronaca Józef Piłsudski, dopo aver combattuto contro l’Esercito Rosso nel 1920 e aver invaso Ucraina e Bielorussia, dopo aver instaurato un “regime dei colonnelli” nel 1926 in Polonia, il 26 gennaio 1934, primo tra i paesi europei, firmò un patto di non aggressione (e quasi sicuramente un accordo militare) con Hitler.

Zelenskij, dunque; il quale, nelle stesse ore in cui a Ivano-Frankovsk, i suoi compatrioti in uniforme della Wehrmacht rendevano l’estremo saluto al veterano della Divisione SS “Galizia”, tale Mikhajlo Mulyk, in terra polacca ha ovviamente esordito accusando l’URSS di essere corresponsabile, insieme alla Germania nazista, dello scoppio della guerra, scatenata “dall’intesa dei regimi totalitari”: la Polonia “e il popolo polacco furono i primi a sperimentare su di sé la collusione dei regimi totalitari.

Ciò portò allo scoppio della seconda guerra mondiale” e all’Olocausto. Gli ha risposto il portavoce presidenziale russo, Dmitrij Peskov, definendo le parole di Zelenskij “sbagliate e offensive” e che “mal si conciliano con le convinzioni di milioni di ucraini che, armi alla mano, combatterono i fascisti”. Più diretto il senatore russo Frants Klintsevič, il quale ha detto che, con quelle parole, pronunciate nel tentativo di muoversi nella sfera degli interessi occidentali di riscrittura della storia, Zelenskij si sta tagliando la strada ai rapporti con Mosca.

Chi invece si è sentito rincuorato dalle parole del presidente ucraino, sono stati i polacchi che, oltre alla negazione delle verità sui patti politici e militari tra Varsavia e Berlino negli anni ’30, che portarono la Polonia a respingere ogni possibile accordo anglo-francese che prevedesse la partecipazione dell’URSS; oltre a tacere della partecipazione polacca alla spartizione della Cecoslovacchia, puniscono per legge ogni parola sui pogròm anti-ebraici organizzati dai polacchi stessi.

Per farla breve, e per limitarci solo agli ultimi contributi, lo scorso 4 dicembre, tale Artur Artuzov ricordava come lo storico americano di origine polacca, Jan Gross, avesse pubblicato nel 2001 “Neighbors: The Destruction of the Jewish Community in Jedwabne, Poland”, in cui raccontava come, nel 1941, 340 ebrei polacchi fossero stati bruciati vivi in un granaio, in cui erano stati rinchiusi dagli abitanti del luogo.

Nel 2006, Gross pubblicò un secondo libro: “Fear: Anti-Semitism in Poland After Auschwitz”, in cui raccontava le brutalità dei polacchi nei confronti degli ebrei dopo la liberazione del paese dai nazisti. Nel 2013, continuava Artuzov, un altro storico polacco, Jan Grabowski, ha pubblicato “Caccia agli ebrei: tradimenti e omicidi nella Polonia occupata dai tedeschi”, in cui analizza nei dettagli documenti e registrazioni realizzati nella città di Dabrowa-Tarnowska e nei suoi dintorni.

Secondo tali documenti, la stragrande maggioranza degli ebrei, che vi si erano nascosti dai nazisti, furono traditi – e, in alcuni casi, addirittura uccisi – dai loro vicini polacchi. Nel 2016, Varsavia ha minacciato di privare Gross, professore dell’Università di Princeton, dell’Ordine al merito, il più alto riconoscimento della Polonia, per il fatto di aver scritto su Die Welt, che la Polonia “ha ucciso più ebrei che i tedeschi durante la guerra”.

E’ possibile che il polacco-americano, scriveva Artuzov, volesse dire che la maggior parte dei polacchi assisteva in silenzio ai crimini dei nazisti contro i propri concittadini ebrei. “Dei 3.000.000 di ebrei polacchi, il 90% è stato annientato. Si deve riconoscere che 2.500.000 di polacchi stessi morirono allora, e tra essi c’erano quelli che avevano salvato non solo se stessi, ma anche ebrei”; può esserne testimonianza, il fatto che il centro israeliano Yad Vashem abbia riconosciuto come “giusto nel mondo” più di cinquemila polacchi.

“E questa non è una goccia nel mare”, continuava Artuzov; “questo è degno di rispetto, così come il fatto che molti degli ebrei polacchi sopravvissuti, coloro che in URSS formarono il Wojsko Polskie, presero parte alla liberazione della loro martoriata madrepatria. Ma, dell’esercito popolare polacco, come pure dell’Armata Rossa, che salvarono la Polonia dal genocidio totale, nell’odierna Polonia non se ne parla. Inoltre, il partito di estrema destra “Diritto e giustizia” è riuscito a far dichiarare illegali le denunce sul coinvolgimento dei polacchi negli atroci crimini dei nazisti durante la Seconda guerra mondiale”.

Questo succede quando si accende la “memoria intermittente”.

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