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Vertice Nato e venti di guerra

Già venerdì, a conclusione della prima giornata del vertice Nato a Varsavia, l’ex primo (e ultimo) presidente dell’Urss Mikhail Gorbačev aveva commentato che l’Alleanza atlantica “dalla guerra fredda ha iniziato a prepararne la maturazione verso quella rovente” e tutta quella retorica “grida la smania di dichiarare guerra alla Russia”. Sempre venerdì, il vice presidente della Commissione difesa del Senato russo, Frants Klintsevic, a proposito dello spiegamento di 4 battaglioni in Polonia e nei Paesi baltici, insieme al primo stadio di operatività dei sistemi antimissile aveva notato che “Le decisioni del primo giorno di summit possono considerarsi un’aggressione nucleare”.

Oggi, l’agenzia Novorosinform titola senza mezzi termini che “A Varsavia si è sentito un forte tanfo del giugno 1914 o, se si vuole, del maggio 1941” e aggiunge che il summit ha condotto a risultati che possono avere conseguenze estremamente negative per l’Europa centrale e orientale. “Il dispiegamento di truppe Nato nelle immediate vicinanze dei confini russi, su cui ammonivano le forze patriottiche russe negli anni ’90, diventa una realtà. E non si può nemmeno tacere il fatto che la Russia, a suo tempo, avrebbe avuto la possibilità di non consentire l’ingresso dei Paesi baltici nella Nato: sarebbe bastato dimostrare all’occidente la poca lungimiranza delle loro élite politiche”. Una “buona intenzione”, questa espressa da Novorosinform, come se le decisioni della Nato abbiano una qualche attinenza con la saggezza delle leadership dei paesi, non solo esteuropei, chiamati a divenirne membri o, almeno, a svolgere una funzione decisiva: Ucraina docet.

Se questi sono i commenti “estremi” sulle decisioni adottate a Varsavia, il tono generale della stragrande maggioranza degli osservatori in Russia è, se non di allarme rosso, quantomeno di forte preoccupazione. Nella dichiarazione di Varsavia, la Nato accusa la Russia di minare l’ordine europeo, scrive Interfax. In effetti, accanto alla minaccia terroristica e all’instabilità in Medio Oriente e Nord Africa (e, a giudicare dal tono usato nel documento finale, forse anche più di quelle) i leader atlantici mettono tra le insidie contro i “nostri valori comuni” “soprattutto l’attività militare unilaterale della Russia in Ucraina e alle sue frontiere, che continua a minare la pace, la sicurezza e la stabilità in tutta la regione”. Con ciò, è già detto quali siano le aree destinate a esser fatto segno, ancor più di oggi, delle “attenzioni particolari” dei paesi Nato, “uniti da forti legami transatlantici, dal nostro impegno per la democrazia, la libertà individuale e lo stato di diritto”.

Le decisioni adottate a Varsavia “rendono la Nato più forte nella difesa e nella politica di contenimento”. Specificamente, “sulla base del piano adottato al vertice del Galles”, viene rafforzata la  presenza nella parte orientale, “contro attacchi missilistici provenienti dall’esterno dello spazio euro-atlantico”. Nel quale si sancisce ufficialmente l’ingresso del Montenegro, mentre non manca “l’appoggio a Ucraina, Georgia e Moldavia”, tre paesi simbolo di quelle “democrazia, libertà individuale e stato di diritto” atlantici, che prevedono sani periodi di galera inflitti a oppositori e comunisti.

La Tass, oggi, titola “Il summit Nato sulla Russia: parole di pace e documenti bellicisti”, evidenziando la forte discordanza tra le parole della maggior parte dei leader europei, circa la necessità del dialogo con la Russia, e le decisioni finali del vertice: con ciò compendiando implicitamente chi sia a dirigere la musica e quali note imponga. Dei 139 articoli del documento finale, ben 24 sono dedicati alla Russia e, di essi, solo 7 trattano di “collaborazione e dialogo”. Come risultato: unire al dialogo con la Russia il suo contenimento con mezzi militari e col rafforzamento della Nato ai confini russi, sintetizzato nello slogan “Russia in 3D”: dialogo, difesa, deterrenza. Una formula, ricorda la Tass, che il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, sembra aver ereditato dal padre, Ministro della difesa norvegese nel periodo della guerra fredda e rimasta per decenni alla base dei rapporti di Oslo con Mosca. Dunque, almeno per ora, quale valore attribuire alle parole dei molti leader europei che, quasi a dimostrare una coda di paglia sin troppo appariscente, si sono sbracciati a proclamare che “il summit non è diretto contro alcuno”?

Ecco che, tra due posizioni per così dire contrapposte, il ventaglio delle altre non mostra contrasti di tono particolari: se da una parte il Ministro degli esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier dice di contare sulla ripresa di “un lungo e serio dialogo» con Mosca a breve scadenza, la leadership polacca si posiziona all’estremo opposto: il Ministro degli esteri Witold Waszczykowski ha definito le azioni di Mosca “imperiali e ostili” e il Ministro della difesa Anthoni Macierewicz ha paragonato l’attuale situazione europea a quella degli anni ’20 del secolo scorso, quando “la Polonia respinse il tentativo della Russia bolscevica di conquistare l’Europa”. In mezzo le parole del francese Hollande, per cui “La Nato non pretende affatto di influenzare l’Europa nei suoi rapporti con la Russia. Per la Francia, la Russia non è né un avversario, né una minaccia”, o quelle sulla necessità di dialogo nel Consiglio Nato-Russia, espresse dai premier norvegese e olandese.

Ma, in generale, quale peso è possibile attribuire oggi a tutte queste dichiarazioni?  O a quelle del premier lussemburghese circa la “necessità di parlare con Mosca”? O del britannico Cameron, di cui la prova “Brexit” basta e avanza per giudicarne l’attendibilità. Per non parlare, naturalmente , del “nostro ragazzo”, fiero del signorsì con cui ha risposto all’ordine di tacere sulle sanzioni contro Mosca e a quello di rimanere in Afghanistan, accanto alle forze navali la cui presenza sarà rafforzata nel Mediterraneo orientale, per “il controllo” della situazione in Siria e Iraq.

In definitiva, più consone alla linea atlantica suonano le frasi scritte, piuttosto che le parole: “Le ultime azioni e la politica della Russia hanno abbassato il livello di stabilità e sicurezza, innalzando l’imprevedibilità e mutando la situazione nella sfera della sicurezza”.

Queste sono le premesse per sancire le mosse che da tempo si vanno preparando: battaglioni multinazionali (Canada, Germania, Gran Bretagna e USA; ma si uniranno presto Francia, Belgio, Danimarca Norvegia e, quasi sicuramente, Italia) in Polonia e nei Paesi baltici già nel 2017; brigate e flottiglie plurinazionali in Romania e nel mar Nero; ulteriori sistemi missilistici, del tipo di quelli già installati in Romania e pianificati per la Polonia; rafforzamento della presenza nel mar Baltico, accentuando anche la collaborazione con paesi partner come Svezia e Finlandia, dislocamento di una forza di 40mila uomini quale forza di pronto intervento. E, tanto per non lasciare le cose a metà, una volta stabilito l’aumento di spesa del 3% rispetto allo scorso anno (2% del PIL di ogni paese), la dichiarazione di Varsavia ribadisce che la Nato è pronta a usare l’arma nucleare.

Poi, il Pentagono chiarisce per tutti: la Nato a Varsavia è passata definitivamente dalle affermazioni al contenimento della Russia; e, “affinché il dialogo sia fruttuoso, è necessario sedersi alle trattative con un forte messaggio di contenimento”, così che il 2017 vedrà l’arrivo in Europa di un’altra divisione USA, anche se, bontà sua, Washington “lascia alla Russia diritto di risposta”.

Una risposta che è da tempo in fase di attuazione, con la formazione, per ricordare solo uno degli elementi, di tre nuove divisioni destinate alle regioni militari meridionale e occidentale della Russia.

Intanto Mosca conferma la partecipazione al Consiglio Russia-Nato (l’unico canale rimasto aperto dopo il congelamento dei rapporti con Mosca da parte della Nato, susseguente la riunione della Crimea alla Russia), fissato per il 13 luglio a Bruxelles, a livello di ambasciatori: lo ha dichiarato il plenipotenziario russo presso il Quartier generale Nato, Aleksandr Gruško. In discussione, il pacchetto approvato al vertice di Varsavia e uno scambio di opinioni sulla situazione in Afghanistan e in Ucraina; a proposito di quest’ultima, Petro Poroshenko ha dichiarato che sarà presto ampliato il numero di consiglieri Nato nel paese ammettendo che, per ora, non si parla di ingresso dell’Ucraina nell’Alleanza atlantica, cui sarebbe favorevole solo il 23% dei cittadini.

In definitiva, è difficile sfuggire alla sensazione che quel “e la Nato è pronta a un dialogo con la Russia”, suoni tanto affine allo shakespeariano “e Bruto è uomo d’onore”, lanciato da Marc’Antonio immediatamente prima di muovergli guerra.

 

Fabrizio Poggi

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