Continua la guerra aperta fra esercito siriano ed esercito turco nella provincia di Idlib. E’ di 5 militari turchi morti e 5 feriti il bilancio di un attacco da parte siriana alle postazioni dell’esercito invasore, mentre quest’ultimo sosteneva dalle retrovie con l’uso dell’artiglieria e dirigeva l’offensiva dei miliziani qaedisti di Hayat Tahrir al-Sham per provare a riprendere la città di Saraqib, la più importante fra quelle che hanno perso durante la battaglie delle ultime settimane. Il precedente scontro diretto fra i due eserciti aveva dato luogo ad un bilancio di 5 morti da parte turca e probabilmente 13 da parte siriana.
Durante le ore precedenti a questo secondo scontro diretto, la Turchia aveva incrementato la propria presenza militare a Idlib in maniera considerevole: fonti locali parlano di circa un migliaio di pezzi fra artiglieria pesante e veicoli corazzati leggeri, più un gran numero di soldati, che avrebbero fatto raggiungere quota 3.000 al personale militare di Ankara presente sul fronte. Prima della battaglia, i miliziani qaedisti hanno postato dei video in cui apertamente facevano sfoggio dei “doni” corazzati provenienti da Ankara.
E’, dunque, un pessimo segnale, per i vertici turchi, questa conta delle vittime che già deve fare pur trattandosi solo del secondo scontro in cui il proprio esercito viene coinvolto. Su una scala più ampia, cioè se davvero la Turchia volesse imbarcarsi in impegno su vasta scala per impedire la ripresa di Idlib da parte dell’esercito siriano, occupando la città e l’area attualmente controllata dai propri proxy (uno scenario simile a quello di Afrin e delle aree del nord-est, per chiarire), ciò potrebbe tradursi in un insabbiamento e uno stillicidio di soldati uccisi.
D’altronde, i reparti di élite dell’esercito siriano che stanno guidando l’offensiva nell’area, ovvero le ex Forze Tigre (ora rinominate “25-esima divisione delle forze di missione speciale”) sono nate e si sono sviluppate in un contesto di guerra asimmetrica, come quella portata dalle centinaia di milizie fondamentaliste sunnite presenti sullo scenario siriano, e potrebbero a loro volta applicare l’esperienza fatta contro le forze del poderoso esercito turco.
Da parte sua, il Presidente Erdogan continua a giustificare come “difensivo” il dispiegamento militare di questi giorni: il pretesto principale è che la Turchia non sarebbe preparata a gestire l’afflusso massiccio delle popolazioni in fuga “dalla furia sanguinosa del regime di Assad”. Effettivamente, da questo punto di vista, qualche motivo di timore reale la Turchia ce l’ha, anche se, ovviamente, non nel senso dei termini espressi dai vertici: a seguito di vari accordi di resa su altri fronti, attualmente la maggior parte della popolazione di Idlib è composta dai miliziani e le loro famiglie che, in caso di rovinosa sconfitta, inevitabilmente si riverserebbero in massa verso la Turchia, con qualche cellula che potrebbe volersi vendicare dell’insufficiente appoggio ricevuto.
Ankara, quindi, appare molto più in difficoltà rispetto ai precedenti interventi diretti in Siria (operazioni Peace Spring e Olive Branch contro le Ypg/Ypj e operazione Euphrates Shield contro l’Isis).
Questa volta, per il momento, nonostante proseguano incontri ad alto livello per mediare, la Russia non pare intenzionata ad assecondare le azioni militari turche: continua, infatti, ad appoggiare e a partecipare attivamente con l’aviazione all’offensiva siriana a Idlib e, per la prima volta, per bocca di molti alti funzionari, accusa apertamente Ankara di violare gli accordi di Astana in quanto continua a dare appoggio ad organizzazioni qaediste tenute fuori da tutte le varie intese di de escalation succedutesi dal 2017 ad oggi.
Nel frattempo, l’esercito siriano si è posizionato a 8 km da Idlib, lato sud-est, e continua ad avanzare sia da sud-est che da ovest. La battaglia di Idlib sta entrando nel vivo.
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