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Esplodono i contagi, Madrid allunga lo stato di emergenza. Sanchez: “è solo l’inizio”

Allungamento dello stato di emergenza per altri 15 giorni, fino all’11 aprile. È questa la scelta che il Presidente spagnolo Pedro Sanchez proporrà alla prossima plenaria del Congresso dei Deputati, prevista per mercoledì 25 marzo, in risposta all’esponenziale aumento dei casi di contagio registrati negli ultimo giorni nel Regno, diventato il quarto paese con più infettati la mondo.

Questa manovra è stata comunicata alla seconda videoconferenza tenutasi ieri mattina con i presidenti delle varie autonomie e con altri ministri dell’esecutivo per analizzare le mosse in seguito ai nuovi sviluppi, per nulla positivi, dell’emergenza da coronavirus, dopo che sabato sera in un messaggio alla nazione Sanchez aveva di nuovo ribadito che i giorni più duri sono alle porte, con aumenti previsti dei numeri di contagiati e di vittime.

La videoconferenza è stata istituita la scorsa settimana e si prevede abbia cadenza settimanale proprio per far fronte «todos juntos» (tutti uniti) all’emergenza. Ma se la settimana scorsa il comunicato uscito dall’assemblea non era stato firmato solo dal president della Catalogna Quim Torra, questa volta il clima è sembrato più disteso.

Oltre alla stato d’emergenza, il capo dell’esecutivo ha inoltre annunciato una stretta ai viaggi aerei per i prossimi 30 giorni (escluso il personale sanitario, militare e diplomatico), la possibilità di intervento da parte della Pubblica amministrazione nelle residenze private in caso di necessità, e soprattutto il rafforzamento del ruolo delle forze armate, chiamate a dare manforte per il trasferimento dei malati e delle risorse sanitarie, a garantire la difesa delle strutture strategiche e a offrire supporto logistico, anche nei collegamenti tra la penisola e i territori extra-peninsulari. Un’altra misura che segna la lo “spirito del tempo” è la costituzione di una scorta di prodotti che potrebbero essere necessari in caso di future pandemie nel territorio iberico.

Il richiamo all’unità tra le varie “anime” del Regno, nonché alla cooperazione tra quelle “europee”, è stato di nuovo il leitmotiv retorico delle parole di Sanchez, che ha affermato che in queste situazioni «non c’è spazio per l’egoismo», perché la crisi non riguarda «territori, ideologie o partiti, non è in gioco la nostra reputazione o qualsiasi titolo».

Di certo, la crisi non pare riguardare il Re Felipe VI e lo scandalo che ha coinvolto il padre, il “re emerito” Juan Carlos di Borbone, su cui è ancora tombale il silenzio circa il versamento da parte del sovrano saudita Abdullah bin Adbul Aziz Al Saud di svariate centinaia di milioni su due conti svizzeri per, tra le altre cose, convincere a contrattare al ribasso il prezzo all’impresa spagnola incaricata di costruire l’alta velocità nei pressi de La Mecca. A mantenere alta l’attenzione ci avevano pensato comunque gli abitanti di tutta la penisola, quando sabato, durante il discorso del Re (che non ha fatto riferimento allo scandalo), hanno inscenato la tipica cacerolada per contestare duramente la monarchia e la corruzione.

spagna cartina contagi 22 marzo
Spagna, cartina dei maggiori focolai di contagio al 22 marzo

Fuori dalla cronaca politica, i dati sulla pandemia di ieri raccontano di più di 28mila contagiati totali, di cui ben 3.475 del personale medico, registrati su tutta la penisola, con un aumento di 3.600 nelle ultime 24 ore, un’enormità rispetto alle tendenze di pochi giorni fa, sintomo che l’inizio della fase più dura è effettivamente in essere. I deceduti sono in totale 1.720, il 6% dei contagi ufficiali, mentre i guariti sono 2.575, in aumento di 450 rispetto alla giornata di sabato.

Per la prima volta, il Ministero della Salute ha reso note le fasce di età in cui si concentrano i malati, confermando sostanzialmente le generali raccomandazioni circolate in queste ultime settimane, ossia della maggiore esposizione all’epidemia per i più anziani, con il tasso di mortalità dei maggiori di 80 anni che in Spagna interessa addirittura il 17% dei contagiati.

«È la guerra della nostra generazione», titola El Pais riportando le parole di un medico della Uci, “Unidades de cuidados intensivos” (Unità di terapia intensiva), «il lavoro è immenso, estenuante, stressante, sei in camice, mascherina e berretto, ti manca l’ossigeno e gli occhiali si appannano. Non ho mai provato niente del genere prima d’ora. E’ una vera spina nel fianco. Vorrei che fosse un film e vedere la fine», rincara María Antonia Estecha, 57 anni, responsabile del servizio di terapia intensiva presso l’ospedale “Virgen de la Victoria” di Malaga.

Eppure, di fianco alle polemiche che colpiscono l’esecutivo spagnolo circa l’incoscienza con cui è stata trattata «la più grande sfida che il Paese abbia affrontato nei decenni», il direttore del “Centro di coordinamento delle emergenze sanitarie” del Ministero della Salute Fernando Simón ha avvertito che il «collasso del sistema sanitario può avvenire in alcuni luoghi», ma ha mostrato fiducia sul fatto che questo possa non espandersi in tutta la Spagna. «L’epidemia comincerà a diminuire prima del crollo del sistema sanitario salute, se si verificherà» ha rincarato, precisando però che la questione si gioca è sul tempo di diffusione del Covid-19: più diluiti nel tempo saranno i contagi, minore sarà la possibilità del collasso.

Nel frattempo, la Presidente della Comunità di Madrid, Isabel Díaz Ayuso (Partido Popular), ha annunciato l’arrivo di un aereo proveniente dalla Cina nelle prossime 48 ore (entro domani dunque, ndr), con in dote 300 ventilatori e respiratori, mascherine, camici e tamponi. Il Governo della regione aveva infatti lamentato l’impossibilità di ottenere attrezzature sanitarie per tutta la settimana a causa del decreto sullo stato di emergenza, che stabilendo la centralizzazione statale di tutti gli acquisti, aveva rallentato il lavoro alle dogane del materiale precedentemente ordinato.

Vista la situazione insostenibile degli ospedali, Ayuso ha così preso la palla al balzo e deciso di stringere l’accordo autonomamente con la Cina, battendo così un colpo forte verso il governo Psoe-Podemos e allo stesso tempo mettendo pressione al Presidente a cui ha chiesto di non fermare gli aerei.

In definitiva, ci sembra di poter segnalare delle assonanze tra la modalità di intervento nel Regno e quelle del fallimentare “modello Italia”, e tutte riconducibili a una generale impreparazione ad affrontare la durezza dell’emergenza, acuita da anni di smantellamento di tutte quelle strutture pubbliche e di intermediazione politica (questa soprattutto nel nostro apese) che avrebbero permesso una più efficace risposta alle necessità contingenti.

Infatti, in entrambi i paesi si registra una poco rassicurante escalation della presenza militare nelle strade (soprattutto considerata la storia tutto sommato recente che l’“Arma” ha ricoperto nelle due penisole), a cui fa da contraltare il costante aumento delle limitazioni agli spostamenti individuali; lo stremo del sistema sanitario di fronte a un’emergenza di tale portata, sottovalutata sia verso l’inizio dell’espansione del Covid-19, quando le “democrazie occidentali” erano fortemente critiche nei confronti del rigido protocollo messo in campo dalla Cina, sia verso gli insegnamenti delle pur numerose epidemie degli ultimi decenni (Sars, Ebola, “mucca pazza” ecc.); la disarticolazione dell’intervento politico espressa dalle decisioni assunte dai governatori regionali in assenza di coordinamento con la struttura centrale dello Stato, che ovviamente in Spagna si colora di tutto un altro senso politico.

Il Regno di Spagna dunque non sembra sottrarsi a quella «era de incertitumbre» (epoca di incertezza) che si para davanti alle popolazioni in balia dell’emergenza umanitaria più grave del continente dal Secondo dopoguerra. Se sia o no davvero la “guerra della nostra generazione” lo scopriremo presto. Il prezzo da pagare tuttavia appare già adesso molto salato.

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