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L’articolo che qui abbiamo tradotto è stato pubblicato su Le Monde il 25 marzo. È stato scritto a quattro mani da Philippe Escande e Julien Boussou con il titolo originale: “dopo l’epidemia e la quarantena, la paura di una depressione comparabile alla crisi del 1929”.

Questo contributo è un interessante “incursione” nel dibattito tra economisti e “operatori economici” francesi che parte da una affermazione piuttosto forte fatta dal ministro dell’economia francese Bruno la Maire.

Il ministro francese cita Furore, il celebre romanzo di J.Steinbeck sulle conseguenze della crisi del ’29 negli Stati Uniti, riesumando lo spettro della più grande crisi economica del secolo scorso e delle sue conseguenze: “E negli occhi degli affamati, la collera cresce e spinge nell’anima del popolo il furore”.

A guardare alcuni dati, il paragone non sembra peregrino, come sottolinea l’articolo rispetto al “fermo” dell’economia e alla nuova disoccupazione di massa, ma si potrebbero citare altri indicatori che più volte abbiamo richiamato nelle nostre analisi.

Si ha in generale l’impressione che nonostante la comprensione della “gravità” del momento ed il suo carattere epocale di spartiacque – e questo contributo ce lo conferma – siano impazzite le bussole degli economisti e siano stati colti dalla maledizione che uno dei più azzeccati personaggi di Antonio Albanese, Alex Drastico, riserva a colui che gli ha fregato il motorino.

Un assaggio di queste castronerie: “Il rischio è dunque inverso: che questa paralisi contamini la finanza attraverso le difficoltà delle imprese”; l’economia reale inquinerebbe l’economia finanziaria, contro ogni evidenza degli ultimi 30 anni (bolla della new economy nel 2000, crisi dei subprime e crack di Lehamnn Brothers nel 2007-2008).

Sarebbe più onesto dire che la paralisi economica fa cadere i castelli di carta dell’economia finanziaria, ma questo significherebbe ammettere che “ho detto cazzate per 30 anni” (citazione dell’ex ministro Calenda, che però insiste…).

Le ricette che vengono proposte erano impensabili dentro gli orizzonti del “mondo pre-pandemico”: impedire i fallimenti, obiettivo zero-disoccupazione, il ruolo preponderante dello Stato come àncora di salvataggio per il sistema economico… Tutte formule che, sebbene Keynesiane sarebbero state tacciate di essere cripto-marxiste appena un mese fa.

Dalle parole di alcuni esponenti del padronato francese qui riportate anche “il Partito del PIL” transalpino, come in Italia o negli USA, spinge affinché si continui a produrre in qualsiasi condizione: l’unica ragione per sostanziare questa ipotesi rimane quella che “ripartire” sarebbe più difficile.

Abbiamo il sentore che un arresto brutale e prolungato può rendere molto complessa e difficile la ripresa”, dice un esponente dell’establishment economico. È il “tutti contro tutti” del darwinismo economico padronale, secondo cui per essere ben piazzati in un imprecisato futuro – sperando che gli altri concorrenti crepino – si deve continuare ad andare avanti.

Che i lavoratori muoiano sembra un dettaglio di poco conto.

Alla fine, tutto il pensiero strategico di lorsignori si riduce al wishfull thinking e alla “mano visibile” dello Stato in economia, e a far crepare gli operai. Chapeau!

Buona lettura.

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Governi e banche centrali cercano di allontanare il rischio di un crollo a catena, mentre l’economia viene bloccata.

E negli occhi degli affamati, la collera cresce e spinge nell’anima del popolo il furore”. Il ministro dell’economia, Bruno Le Maire, ha scelto, martedì 24 marzo, di risvegliare il fantasma di Tom Joad eroe di Furore, il romanzo emblematico di John Steinbeck pubblicato nel 1939, che percorre la depressione americana degli anni 1930.

Quello che viviamo non ha altri confronti che con la Grande Depressione del 1929”, ha dichiarato il ministro, durante una conferenza stampa. Comparazione preoccupante. La crisi economica nata in seguito al crollo delle borse del 24 ottobre 1929 provocò un cataclisma finanziario senza uguali nel XX secolo, che si allargherà poi all’intero pianeta e attenderà la seconda guerra mondiale per sparire completamente. Con la sua scia di miseria, di morti e di disordini sociali e politici, inclusa l’ascesa del nazismo.

Bruno Le Maire non è il solo a sventolare questa minaccia. Progressivamente, il mondo degli affari si sta confrontando con un’economia che si è bloccata tutta di un colpo. “Hanno paura dell’embolia generale” confida un consulente dei grandi imprenditori, sotto anonimato. Quest’ultimi sottolineano tutti i rischi “di un collasso a catena”, contaminando l’insieme del tessuto economico fino alle più piccole società.

Abbiamo il sentore che un arresto brutale e prolungato può rendere molto complessa e difficile la ripresa, conferma Jean Pierre Clamadieu, presidente del gruppo Engie. L’obiettivo è di mantenere la macchine in moto”. Inoltre, molti spingono per mantenere un’attività economica nonostante l’isolamento. Anche rischiando un’ingiunzione contraddittoria. Airbus riprende la sua catena di produzione, e l’Associazione francese delle imprese private ha chiesto ai suoi aderenti di riprendere le loro attività “qualora le condizioni sanitarie siano soddisfatte”.

Non si tratta di mettere in discussione l’isolamento, ma di non paralizzare l’economia. Da una parte, come sottolinea il ministro dell’economia, perché le attività sono interdipendenti. “E’ impossibile definire un’attività autorizzata”, dice. Non appena pubblicata, la lista deve essere rivista. Per vendere 1 litro di latte, occorrono dei camion, delle autostrade, dei BTB, di garage, l’elettricità, tutto è connesso.

Una perdita del Pil nell’ordine del 30% nella zona euro

Ma i due eventi sono simili? “Entriamo in una crisi di proporzioni considerevoli, comparabile al 2008, o addirittura al 1929”, riconosce il professore d’economia Daniel Cohen. Di fatto tra il 1929 e il 1932, il commercio e la produzione industriale sono diminuite del 30% negli Stati Uniti, poi un po’ ovunque nel mondo.

Le stime attuali registrano una perdita del prodotto interno lordo, che definisce la ricchezza prodotta, nell’ordine del 30% nella zona euro nel secondo trimestre in rapporto al primo trimestre 2020. “Il tasso d’utilizzo delle capacità industriali è del 25%. Un lavoratore su quattro è al lavoro”, aggiunge Patrick Artus, capo economista della banca Natixis.

Stessa considerazione sull’impiego. Nel 1933, anno dell’ingresso di Franklin Roosevelt alla presidenza degli Stati Uniti, la disoccupazione toccava il 25% della popolazione Americana. Il 22 marzo, James Bullard, presidente della Federal Reserve (FeD) di Saint-Louis, stimava che la disoccupazione nel paese avrebbe potuto raggiungere il 30% alla fine del secondo trimestre. Rispetto a meno del 4% all’inizio di questo anno.

La magnitudine di questo terremoto è dunque della stessa dimension ma questo non basta a creare una depressione, vale a dire, il collasso dell’insieme del sistema finanziario e, dopo di lui, di tutto l’apparato economico, visto che il denaro non circola più. Per Olivier Passet, economista presso l’ufficio di ricerca Xerfi “è un’enorme pessima metafora”.

Obiettivo zero disoccupazione”

Rispetto al 1929, “i ruoli sono invertiti”. “E’ la prima volta che ci troviamo di fronte a una crisi dell’economia reale che la finanza può salvare”. Mentre nel 1929, come nel 2008, la crisi e venuta da una speculazione eccessiva e dalla fragilità delle banche. E’ un ricordo degli anni ’30, al quale aveva consacrato molti dei suoi lavori accademici, che il patron della Fed ( banca centrale americana) nel 2008, l’economista Ben Bernanke, ne ha accolto le lezioni per salvare il sistema finanziario sommergendolo con la liquidità, quello che non era stato fatto dai suoi antenati dell’anteguerra.

La situazione, oggi è inedita. Nessuna banca fragile [falso; com’è noto gran parte del sistema bancario tedesco, ma anche parte di quello francese, era “cotto” già prima dell’epidemia, ndt], ma un arresto brutale e simultaneo della domanda – le persone in isolamento non comprano più macchine – e l’offerta – tutte le fabbriche automobilistiche europee sono ormai ferme.

Il rischio è dunque inverso: che questa paralisi contamini la finanza attraverso le difficoltà delle imprese. E’ proprio questo pericolo di un’economia in fallimento che spaventa i ministri, gli economisti e gli imprenditori, e risveglia il fantasma di Furore. Occorre a qualunque costo impedire i fallimenti. E, per questo, più di un supporto illusorio di attività, “occorre fare open bar”, afferma Patrick Artus: “Lo Stato paga le fatture fino alla durata della crisi”. E Daniel Cohen aggiunge: ”Si stratta di assicurare che nessuno licenzi. Obiettivo zero disoccupazione”.

Stessa considerazione per l’economista Jean Pisani-Ferry, per chi “occorre assolutamente evitare la rottura della relazione economica, visto che la ripresa promette d’essere difficile in un ambiente internazionale degradato”.

La ripresa in mano all’economia per la potenza pubblica

Tenere il suo tessuto senza lasciarlo strappare, è la posizione presa dagli europei sostenuti in questo dalla Banca centrale europea (BCE). Non è, per l’istante, il caso degli Stati Uniti. Fedeli allo spirito capitalista americano, il presidente Donald Trump sborsa lui stesso dei miliardi, ma sotto forma di assegni ai privati, e lascia che le imprese licenzino in massa. Da qui il funesto pronostico del banchiere di Saint-Louis, e anche del segretario di Stato al tesoro, Steve Mnuchin, che anticipa la possibilità di una disoccupazione al 20%.

Gli economisti francesi Gabriel Zucman e Emmanuel Saez stimano che il governo americano può “evitare che una recessione breve e brutale si trasformi in una lunga depressione”, a condizione di mettere in atto una assicurazione-disoccupazione progressiva che protegga i lavoratori a basso reddito, dove il livello di risparmio è insufficiente per sopravvivere, nonché un aiuto finanziario alle imprese che rischiano il fallimento.

Come ad ogni crisi, si assiste alla ripresa in mano all’economia dalla Potenza pubblica mediante piani di salvataggio di dimensioni mai viste prima. Anche la Germania ha voltato le spalle alla sua ortodossia di bilancio, impegnandosi a spendere più di 1000 miliardi di euro, cosa mai vista. E alcuni paesi non scartano la possibilità di nazionalizzare imprese in condizione di fragilità, come le compagnie aeree.

Il fattore tempo sarà determinante

Questo intervento dello Stato è suscettibile a lui solo per evitarci di soccombere nella depressione, come l’America del 1930. Lo stesso arrivo di Franklin Roosevelt e degli investimenti massicci del suo New Deal, tre anni più tardi non ha potuto evitare al paese si ricadere nel 1937 e di conoscere dei movimenti sociali sanguinari. Era troppo tardi.

Anche il fattore tempo sarà determinante. Perché gli Stati non potranno all’infinito sostenere da soli tutta l’economia di un paese. “Se la crisi del coronavirus si prolunga oltre qualche mese , spiega, Laurence Boone, economista capo dell’Organizzazione delle cooperazioni e dello sviluppo economico (OCSE), delle nuove misure dovranno essere considerate”.

Soprattutto per sostenere i massicci sforzi di bilancio degli Stati. Secondo Patrick Artus, il solo piano francese potrebbe far salire il deficit pubblico dal 2,5% al 7%. Laurence Boone suggerisce che “le banche centrali sostengano gli Stati assorbendo una parte dei loro debiti, con la creazione di moneta, per aiutare alla sostenibilità delle loro azioni”. Il ritorno della cara vecchia stamperia, che dipende solo dalla fiducia della moneta.

Gli uomini del mestiere hanno un alfabeto per definire le uscite dalla crisi. In V, la ripresa è forte come la caduta iniziale. Impone che la catastrofe non si estenda oltre l’estate, e che la scossa di fiducia ridia alle persone la voglia di consumare. In U, la ripresa giunge dopo un periodo di recessione, col tempo di uscire dal trauma. In L, non si vede una ripresa. E’ l’incubo della depressione, che getta nelle strade gli affamati in collera e alimenta il rancore degli altri.

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