Sono giorni durissimi per gli abitanti del Regno spagnolo. Eravamo stati facili profeti nel segnalare come l’emergenza legata alla diffusione del coronavirus avrebbe portato a galla tutta la merda sotterrata negli ultimi trent’anni di neoliberismo sfrenato, e negli ultimi cinquanta di lunga crisi, con vari scossoni per magnitudine, del “Modo di produzione capitalistico”.
Stando ai freddi numeri aggiornati al 3 aprile, nella penisola si registrano 117mila contagi regolarmente registrati, quasi 11mila decessi riconducibili al virus e poco più di 30mila dimessi per avvenuta guarigione.
Il sospetto che questi numeri siano contati “al ribasso” non ha al momento solide basi empiriche, ma i fatti che stanno emergendo per esempio nel nostro paese, alcuni racconti che trovano spazio nei media nazionali (per esempio sulle case di riposo) e la certezza che tutti i governi in carica in questo momento tentino di perimetrare l’impatto per far fronte alla rispettiva crisi di credibilità, rende plausibile l’idea secondo cui questi dati non raccontino l’intera storia.
Tuttavia, tanto basta comunque a dare la profondità della crisi umanitaria in corso nel paese, a cui si aggiunge l’impossibilità attuale di scorgere “la luce in fondo al tunnel”. Ma come detto in apertura, l’emergenza porta con se la ricaduta su una serie di ambiti che stanno mettendo in difficoltà il governo, tra tutti quelli del lavoro e della casa.
Il dato sulla perdita di occupazione nel mese di marzo ha registrato il peggior calo della storia del Regno, con 838.979 posizioni perdute. Secondo i dati ufficiali rilasciati a inizio settimana, le Comunità autonome hanno già trattato circa 250.000 pratiche per l’“Erte” (Expediente de Regulacion Temporal de Empleo, la “Cassa integrazione” nostrana) per 620mila lavoratori e lavoratrici, ma, come riporta il quotidiano filo-monarchico Abc, le pratiche presentate superano le 330mila e i dipendenti interessati sono almeno 3 milioni, con Andalusia e Catalogna in testa per richieste effettuate.
Così come per l’Inps, il “Sepa” non ha resistito alla valanga, andando in tilt all’apertura della finestra temporale in cui richiedere i sussidi, cosicché molti dei dipendenti per cui è stato richiesto il beneficio, non potranno riceverlo per la data originaria del 10 aprile, dovendo così aspettare il 10 di maggio.
Come ha affermato il ministro della Sicurezza sociale José Luis Escrivá, le ultime due settimane del mese di marzo hanno registrato la stessa perdita di posizioni lavorative dei 5 mesi a cavallo tra il 2 ottobre 2008 e il 27 febbraio 2009, i 101 giorni lavorativi in cui il crack della “Lehman Brothers” cominciava ad affacciarsi anche nel Vecchio continente.
Un’ecatombe di reddito diretto, la cui conseguenza logica e immediata è la difficoltà che un numero sempre maggiori di abitanti troveranno nel poter affrontare le spese di mantenimento del proprio all’alloggio, dall’affitto alle bollette (sempre che prima si riesca a mangiare).
Su questo, sulla falsariga di quanto messo in piedi in Italia dall’Asia Usb e da Noi Restiamo, alla fine marzo i sindacati degli inquilini, assieme a circa 200 gruppi sociali, avevano lanciato una campagna per la sospensione degli affitti dopo aver ricevuto quasi 10mila lettere da famiglie, piccole imprese e lavoratori autonomi, in difficoltà con l’entrata del nuovo mese nel pagamento delle varie incombenze.
A questo bisogno il governo Psoe-Podemos ha risposto con una sospensione degli sfratti per sei mesi successivi alla fine dello stato di emergenza e con la proroga automatica dei contratti scaduti durante la crisi sanitaria sempre per sei mesi, in modo che nessuno possa rimanere senza casa durante l’epidemia.
Come riporta El derecho, la misura, a fronte di potenziali 5 milioni di cittadini beneficiari, in attesa della definizione del reddito minimo su cui sta operando il ministero della Previdenza sociale, dovrebbe interessare più di mezzo milione di nuclei famigliari.
Lo Stato metterà a disposizione una linea di microcredito o aiuti diretti fino a 900 euro dopo la crisi, per un ammontare di circa 700 milioni. Le persone che per pagare l’affitto dovranno richiedere l’accesso al microcredito, potranno rivolgersi all’“Istituto di credito ufficiale” (Ico) e avranno un termine di rimborso compreso tra i 3 e i 6 anni. Queste potranno conservare il beneficio eventualmente goduto tramite l’“Erte”, in modo da avere un reddito disponibile per i consumi di base.
Questo pacchetto tuttavia, fortemente voluto da Podemos, non soddisfa a pieno i sindacati degli inquilini, che vedono nell’indebitamento post-crisi da parte delle famiglie più vulnerabili un pericolo alla rispettiva già precaria condizione.
Inoltre, la prima sortita di un certo effetto del partito di Iglesias dopo aver lungamente seguito a ruota l’operato dei socialisti ha scatenato l’alzata di scudi dell’ala conservatrice e nazionalista del Parlamento e delle varie Comunità autonome, dal leader del Partito popolare (Pp) Pablo Casado, alla Xunta galiziana (sempre Pp) ai nazionalisti baschi.
Casado ha accusato Iglesias di voler capovolgere il modello di produzione del Regno e a passare attraverso un processo di nazionalizzazioni, visione insopportabile per l’opposizione e la comunità imprenditoriale a essa legata.
La posta in gioco è la presenza dello stesso Podemos nella maggioranza di governo, messa in discussione da Pp a Vox per “tentare” il Psoe nella convergenza in un governo di unità nazionale più consono all’ideologia della forza della nazione unita e coesa – rappresentata plasticamente dalla militarizzazione delle strade e dal protagonismo assunto dall’esercito nella gestione dell’emergenza – con cui si sta affrontando questo (ma non è certo una novità) frangente politico.
«Cada minuto y medio muere un español por coronavirus», ha dichiarato Casado, chiamando Sanchez al momento della responsabilità, che nella retorica del Pp significa partecipazione al governo…
Fonti vicine al Psoe confidano però che questa sirena per ora non trova eco tra le fila del partito guidato dal premier Sanchez. Tuttavia, dopo più di 10 giorni di mancata discussione tra le parti, in vista del prolungamento ufficiale dello stato di allerta per altri 15 giorni fino al 26 di aprile, Sanchez chiederà l’appoggio a Casado (e degli altri principali partiti) nella sessione plenaria del Congresso che dovrà ratificare la nuova misura.
Continua perciò la fase di confinamento forzato, confinamento che ha inoltre fatto alzare voci di dissenso circa l’incostituzionalità delle misure approvate col Decreto regio del 14 marzo, le cui restrizioni delle libertà individuali (e di impresa, ci tiene a specificare sempre l’Abc) non sarebbero previste nello “stato di emergenza”, ma sono in quello “di eccezione”.
Ancora giorni duri dunque all’orizzonte per le comunità che abitano la penisola iberica. L’afflato nazionalistico che invade un pezzo di la maggioranza e i dati che inchiodano la crisi sociale tout court non son di certo un buon auspicio per il futuro.
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