Menu

Coronavirus in Brasile, la follia di Bolsonaro si chiama neoliberismo

Quando persino gli Stati Uniti e banche riconoscono, anche se solo congiuntamente, che l’austerità fiscale deve smettere, alcuni continuano a crederci. Uno di questi è il Brasile, e non è l’unico.

Jaïr Bolsonaro ha ancora fatto parlare molto di sé nei giornali mondiali, quando nel suo primo discorso televisivo in periodo di pandemia, disse che il virus era appena una “grippettina”, considerando la situazione mondiale come un semplice “isterismo” alimentato dai media.

Sarà stato forse la prima volta nella storia che i tweet di un presidente di Stato sono cancellati per “danno reale alle persone” dopo che, in piena pandemia, Bolsonaro pubblicò fotografie che lo ritraevano mentre abbracciava commercianti nella capitale Brasília, disattendendo gli orientamenti dell’Oms.

Tutto questo è orrendo, una insopportabile provocazione. Ma non è il più grave. La vera faccia di questo governo fascista è quella di chi gioca con la sorte dei più poveri per preservare la “salute dell’economia” prima di quella del suo popolo.

Penso agli ambulanti, a quelli che vendono braciolini per strada, alle domestiche, ai portieri. Mi preoccupo di salvare queste vite dalla disoccupazione, dalla fame. Dobbiamo evitare la distruzione dei posti di lavoro”, disse nel suo secondo discorso il 31 marzo, che alcuni hanno considerato il più indirizzato a raccogliere consenso.

Sì, certo che dobbiamo evitarlo, principalmente in un Paese dove ci sono più lavoratori irregolari che impiegati e dove non si è mai smesso di distruggere il diritto del lavoro con le politiche neoliberiste degli ultimi anni. E c’è persino una soluzione per questo: l’intervento dello Stato.

Lo ha capito pure Donald Trump che ha lanciato un piano storico di quasi 2 trilioni di euro. Ma questo, pare che “il mito”, come lo chiamano i sui ammiratori, non lo riesca a capire.

E non lo capiscono nemmeno alcune migliaia di imprenditori che sono usciti anche questa domenica a manifestare contro il confinamento imposto da alcuni governatori. Principalmente uomini, bianchi, comodamente protetti nelle loro automobili (gli annunci che radunavano i manifestanti sempre allertavano di non uscire dalle macchine per mantenere le dovute precauzioni), si sono preoccupati della sorte di milioni di lavoratori (che vanno a lavorare con l’autobus), “in difesa dell’economia“.

L’irresponsabilità di un governo accecato dall’ideologia neoliberista può causare queste prodezze: padroni che sfidano la contaminazione del virus per difendere la vita dei loro impiegati.

Stranamente, questi impiegati non si sono uniti a loro. Forse perché la difesa della loro vita passa per la sicurezza di mantenere il loro lavoro. E se non glielo garantisce lo Stato, non glielo garantiranno di sicuro nemmeno i padroni.

Difatti, dopo avere dovuto rinunciare a una misura che autorizzava la sospensione del contratto di lavoro per quattro mesi (senza compensazioni), a causa delle troppe pressioni, il ministro dell’economia Paulo Guedes, discepolo della scuola di Chicago, ha emanato a fine marzo un provvedimento che riduce la sospensione del contratto a solo due mesi o autorizza la riduzione del tempo di lavoro al 25, 50 o 70% per tre mesi, entrambi con una compensazione parziale dello Stato. Niente, in queste misure, proibisce il licenziamento.

In più, una legge votata dal Congresso autorizza un aiuto emergenziale di 100 euro per tre mesi, per 54 milioni di lavoratori irregolari o precari. Il valore corrisponde circa alla spesa mensile per alimenti di base per una persona. Il governo aveva proposto inizialmente un valore di circa 35 euro.

In tutto, questi due piani emergenziali dovranno costare circa di 30 miliardi di euro allo Stato brasiliano (0,41% del Pil di 2019). Cui si deve aggiungere un piano di rinegoziazioni di debiti aziendali con le banche.

Con il cibo minimo garantito, ma la paura di perdere il lavoro e il peso delle spese per l’affitto e altre fatture sulla schiena, il popolo brasiliano dovrebbe sentirsi “orgoglioso” del suo governo che si preoccupa che continui ad andare a lavorare per fare funzionare l’economia (da leggere come la stabilità finanziaria dei loro padroni).

Questa stessa popolazione che, senza alcuna assicurazione sanitaria, andrà a riempire le interminabili file negli ospedali pubblici del Paese che dovrebbero arrivare al collasso a partire del 6 aprile, secondo il ministro della salute, Luiz Henrique Mandetta.

Ma questa storia macabra non accade solo in Brasile. Anche nei Paesi ove sono state adottate misure di protezione sociale più robuste, si realizza lo stesso scenario: quelli che non rimangono in casa e continuano ad andare a lavorare sono quelli con le condizioni lavorative più precarie, stipendi bassi e pochissime protezioni sanitarie contro la contaminazione.

Bolsonaro non è affatto pazzo. Applica solo in maniera più esagerata il puro ragionamento neoliberista in cui crede anche la maggior parte dei leader di Stato.

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *