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Ue in crisi. E ora si scopre “la Comunità EuroMediterranea”

Quando scenderemo dall’aereo – siamo tutti rinchiusi in casa, ad attendere un Godot che non ha fissato alcun appuntamento – troveremo di sicuro un continente diverso. Vecchio, certamente, ma non lo stesso. Del resto, tutto il pianeta avrà faglie di scomposizione impensate e zolle tettoniche che si compongono in un altro modo.

Quale, non è possibile saperlo con certezza. Ma l’unica cosa certa è che “non torneremo come prima”. Anche perché, come scrive l’immensa Arundhati Roy, niente può essere peggio di un ritorno alla normalità.

La sorpresa più grossa rischia di essere l’Unione Europea che, come ripetiamo spesso, ha ben poco a che vedere con “l’Europa”, meno ancora di quanto la “Repubblica italiana” abbia a che vedere con “l’Italia”. Un paese – o un continente – e una struttura governamentale condividono lo stesso spazio fisico, ma non sono mai la stessa cosa. Un po’ come lo Zar e “tutte le Russie”…

Oggi si riunisce l’Eurogruppo – un’assemblea informale dei ministri economici non prevista da alcun trattato, ma determinante sulle scelte politiche e sociali nazionali – per trovare una difficilissima “quadra” tra I Paesi che pretendono di affrontare la crisi da coronavirus con strumenti finanziari condivisi e chi ritiene che non vadano affatto modificate le regole vigenti, che negano qualsiasi condivisione.

Non è una disputa ideologica. Chi vuol conservare le vecchie regole vuol conservare una posizione privilegiata che gli ha consentito negli ultimi 30 anni di lucrare su una rendita di posizione commerciale, economica di finanza pubblica, finanziando il proprio debito a costo zero o addirittura guadagnandoci. O di ridisegnare le filiere produttive continentali intorno alle proprie.

Dall’altra parte chi vede il prossimo futuro con gli occhi della Grecia stravolta dai “memorandum”, autentico – e inascoltato – grido d’allarme per gli altri paesi mediterranei.

Impossibile dire, mentre scriviamo, se quella quadra verrà trovata scavando nelle miniere del compromesso. Oppure se alla fine verrà partorito il solito comunicato congiunto che rinvia ogni decisione ad altra sede e altra data.

Quel che è certo è che la crisi non procede attendendo i tempi degli accordi internazionali. Che mai come in questo momento sono davvero “inter”, tra paesi con basi di partenze ed interessi diversi, ma squassati dagli identici problemi: un’economia stagnante da anni e una pandemia incontrollabile con gli strumenti nazionali.

Ma possiamo comunque cogliere la dimensione della posta in gioco da come i media più obbligati a dire le cose come stanno – le testate economiche, che devono orientare le scelte degli “investitori” con informazioni vere, non con pistolotti ideologici (stile Repubblica e Corriere, per intenderci).

Questo editoriale dell’Agenzia TeleBorsa – non proprio un foglio clandestino di un gruppo marxista-leninista – disegna con precisione le linee di faglia dell’Unione Europea lungo tre direttrici: il blocco di Visegrad (con I paesi dell’Est egemonizzati dagli Usa in funzione antirussa), l’”osso tedesco” e – udite! Udite! – la Comunità EuroMediterranea.

I nostri lettori ed anche i nostri detrattori sanno bene che questa formula viene da noi usata daanni per indicare una possibile via d’uscita non nazionalistica dalla gabbia dell’Unione Europea. Tacciata di “utopismo”, nel migliore dei casi, o di aria fritta “cripto-sovranista” nei peggiori, eccola qui ora campeggiare tra le probabili soluzioni di una crisi epocale dell’”Europa di Maastricht”.

E’ chiaro che l’analisi di TeleBorsa si svolge sul piano della geopolitica, ossia del ridisegno delle alleanze e dei relativi trattati entro uno schema che mantiene comunque il modello capitalistico precedente, naturalmente “corretto” da un intervento pubblico nell’economia di dimensioni ciclopiche, che avrebbero forse spaventato lo stesso Keynes.

Mentre la nostra “modesta proposta” si svolgeva sul piano della rivoluzione sociale, ossia degli interessi delle classi sfruttate ed usando l’esempio – qualche anno fa molto vivo – dell’Alba Latino-Americana, incentrata sull’asse tra Cuba e Venezuela e con la partecipazione più o meno decisa del Brasile di Lula, della Bolivia di Morales, dell’Ecuador di Correa, oltre che del Nicaragua e, in parte, dell’Argentina di Kirchner.

Quell’area è da anni nuovamente sottoposta all’attacco dell’imperialismo Usa, ora – forse – momentaneamente ripiegato su stesso e sulla squalificante incapacità di affrontare efficacemente l’epidemia.

E’ ovvio che la partita per il segno di classe di una Comunità di Stati è tutta da giocare, che non ci sono soluzioni già pronte da semplicemente copiare.

Però ci sembra necessario, dopo oltre un decennio di discussioni francamente imbarazzanti per pochezza e pregiudizi – questi sì – “ideologici”, prendere atto che l’Unione Europea è stata ed è più un problema che una soluzione per i Paesi mediterranei.

Non serve avere un grande livello di preparazione teorica sui sacri testi. Basta un po’ di onestà intellettuale…

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L’Europa si disfa, in tre

Guido Salerno Aletta – Agenzia Teleborsa

Comunità EuroMediterranea, Osso germanico, Blocco di Visegrad

Siamo ad una svolta, geopolitica, a trenta anni esatti dalla Riunificazione tedesca. Il blocco europeo che venne costruito in funzione antisovietica non serve più. Anzi, la Russia deve tornare protagonista negli equilibri del Mediterraneo, per sbarrare la strada alla Cina, che è il vero antagonista globale degli USA.

Il gioco è complesso.

Amiamo talmente tanto l’Europa, che ora ne vorremmo tre“: così, parafrasando la famosa battuta con cui Giulio Andreotti manifestava la sua contrarietà alla Riunificazione della Germania, siamo di fronte ad una Unione Europa pronta al collasso. Anzi, a dividersi in tre tronconi.

Il disegno tedesco è completamente opposto, e chiarissimo: bisogna mettere subito il ceppo ai piedi ai Paesi come l’Italia, obbligandoli a chiedere l’aiuto finanziario al MES, il Meccanismo europeo di Stabilità. In questo modo, non potranno più sottrarsi al controllo della Troika europea: quale che possa essere il voto nel 2023.

Per l’Italia, la prospettiva è quella di essere schiacciata per sempre dalle manette finanziarie, come è successo alla Grecia. Inutile votare, perché i MoU (Memorandum of Understanding) di assistenza prevalgono sulla sovranità politica.

La spaccatura dell’Europa nasce dalla individuazione dei rimedi necessari per superare la crisi economica, sociale e finanziaria determinata dalla epidemia di coronavirus. Ci sono i Paesi che chiedono solidarietà, nel senso che non vogliono pagare un maggiore premio al rischio sui propri debiti, già elevati.

L’Italia parte svantaggiata, con un rapporto pari al 136% del PIL, ma la Francia già si trova al 100%. Non minori difficoltà avrebbero la Spagna, il Portogallo, l’Irlanda e la Grecia, che hanno già dovuto chiedere aiuti dopo la crisi del 2008-2010. Nessuno intende ripetere quella esperienza devastante. Non si può rimanere in balìa del mercato.

Germania, Olanda ed Austria si oppongono a qualsiasi forma di condivisione dei benefici di emissioni comuni. E’ giusto che gli Stati-cicala, che non hanno le finanze in regola, paghino per questa spudoratezza. Al più, se credono, possono chiedere l’assistenza al MES, il Meccanismo europeo di Stabilità, creato proprio per questo fine.

C’è già uno strappo che anticipa la frattura dell’Unione, e che delinea la formazione della Comunità EuroMediterranea, legata ai valori della solidarietà tra i Popoli che caratterizzarono la Comunità europea alle sue origini.

E’ la lettera che è stata indirizzata al Presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, dai capi di Stato e di governo di Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna (i tristemente noti PIIGS), insieme a quelli di Belgio, Lussemburgo e Francia, chiedendo una iniziativa finanziaria comune per affrontare le gravissime conseguenze determinate dalla epidemia di coronavirus.

Non serve il ricorso al Meccanismo europeo di Stabilità, né bastano la sospensione dei vincoli al deficit posti dal Fiscal Compact e le nuove disposizioni che consentono gli Aiuti di Stato alle imprese in difficoltà.

E’ una alleanza inedita, quella che si è delineata, ma assai ben costruita.

Innanzitutto, c’è la Francia: spezza l’asse storico con la Germania, che di recente era stato pure rafforzato con il Trattato di Aquisgrana, in cui si confermava la leadership congiunta del rilancio dell’Europa Europea, al fine di renderla capace di competere a livello globale con gli Usa, la Cina e la Russia.

Non casualmente, c’è il Belgio. Ospita la sede della Unione e della Nato. Deve essere dentro, per ragioni anche storiche, visto che fu uno dei Paesi fondatori della Comunità europea, sin dai tempi della Ceca.

Caso strano, ma non troppo, troviamo il Lussemburgo. Non solo è un altro dei Paesi fondatori della Cee, insieme a Francia, Italia e Belgio, ma è una piazza finanziaria di prima grandezza. Se la Unione si dovesse frantumare, portandosi appresso l’euro, sarebbe la sede della nuova BCE, che avrebbe uno Statuto uguale a quelli delle altre Banche centrali. Sarebbe finalmente il prestatore di ultima istanza degli Stati membri, potendone monetizzare il debito, ed avrebbe tra i suoi obiettivi il perseguimento della massima occupazione e non solo quello della stabilità della moneta.

Rimane isolato l’Osso germanico, composto da Germania, Austria ed Olanda. Si farà una moneta tutta per sé, una sorta di “Euro del Nord”. Della Danimarca non si sa: d’altra parte, non avendo aderito all’euro, potrebbe legarsi al nuovo blocco mantenendo ancora la Corona.

Ad Est, è già operante il Blocco di Visegrad, composto da Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia ed Ungheria. E’ una verticale territoriale che isola completamente la Germania dalla Russia, a cui gli Usa guardano con attenzione. Potrebbero svolgere il ruolo di contrafforte di cui ha sempre beneficiato la Germania. Bisognava aiutarla, solo per questo.

La Brexit ha solo aperto il varco ad un nuovo disegno geopolitico.

Comunità EuroMediterranea, Osso germanico, Blocco di Visegrad.

L’Europa si disfa, in tre.

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1 Commento


  • ACCORINTI DOMENICO

    E’ una ipotesi plausibile se Italia Francia e Spagna si accordassero per promuovere un piano simile a quello ipotizzzato nell’articolo.
    L’Italia dovrebbe essere la prima a muoversi, in quanto la più interessata. Anche Cipro e Malta potrebbero essere trascinate nel progetto.

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