Come in Lombardia, nei territori d’oltremare francesi, in Venezuela, in Nicaragua e in vari altri paesi, una brigata di medici cubani affianca il personale sanitario andorrano per far fronte all’emergenza coronavirus dall’inizio di aprile.
Dato che i vicini Francia e Spagna non si sono rivelati in grado di aiutare il principato, Andorra si è rivolta a Cuba, che fin dal marzo si era invece offerta di inviare i propri medici dove fosse necessario. E generosamente la brigata cubana è arrivata nel cuore dei Pirenei, nonostante le pressioni contrarie del governo americano: “conosco la posizione degli Stati Uniti ma siamo un paese sovrano e possiamo scegliere i soci con cui collaborare“, ha dichiarato il ministro degli esteri andorrano Maria Ubach.
Il Dipartimento di Stato aveva infatti chiesto apertamente ai paesi che si avvalgono della collaborazione con Cuba di riconsiderare la loro decisione.
Con le dovute proporzioni, si tratta di un altro esempio della capacità della crisi apertasi con la pandemia di mettere in discussione alcuni dogmi, come l’obbedienza di un governo di centro destra quale quello andorrano agli USA e riportare finalmente alla ribalta, perfino nell’opaco cuore finanziario pirenaico, il dibattito sulla sanità pubblica e sulla necessità della sua supremazia sul mercato.
Alloggiati a Andorra, i medici cubani si trovano a pochi chilometri da alcuni ospedali catalani, come quello di Berga, di Puigcerdà e della Seu d’Urgell. Anche per questo la Candidatura d’Unitat Popular ha chiesto alla Generalitat di Catalunya che il personale cubano possa operare anche sul territorio catalano.
Tenuto conto dell’offerta di Cuba, la CUP ha inoltre richiesto l’invio di una brigata di medici cubani in Catalunya. Il governo della Generalitat, svuotato di competenze dal recente decreto d’allarme, si è attivato per omologare i titoli cubani al sistema spagnolo e ha girato la richiesta della CUP al governo di Pedro Sánchez, come ha affermato in conferenza stampa il conseller alla sanità Alba Vergés.
Anche il governo della Generalitat valenzana, presieduto dal socialista Ximo Puig, ha chiesto al governo di Madrid di poter integrare i medici cubani residenti sul proprio territorio nel personale destinato alla cura del coronavirus.
Pur avvertendo di non voler creare incidenti diplomatici e senza sollecitare l’intervento di una brigata organizzata, Puig non ha rinunciato a richiedere la collaborazione dei medici cubani. Di fatto la situazione negli ospedali dei Països Catalans non è semplice, con diverse centinaia di effettivi contagiati, carenza di materiale di protezione, di respiratori e di tamponi.
Condizioni nelle quali l’esperienza dei cubani, maturata in decenni di sistema sanitario interamente pubblico e in varie missioni internazionaliste, tra cui quella contro l’ebola in Sierra Leone, rappresenterebbe un aiuto significativo.
Ma il governo presieduto da Pedro Sánchez ha opposto per il momento un fermo rifiuto.
Una decisione alla quale hanno contribuito diversi fattori: dal convinto sostegno alla seconda guerra all’Iraq, quando il falco Aznar guidava il governo, fino alla visita di Filippo VI alla Casa Bianca nel giugno del 2018, quando Donald Trump sottolineò le buone relazioni tra i due paesi in campo economico e militare, oltre alla comune difesa della democrazia, lo stato spagnolo mantiene ottime relazioni con gli USA.
E il centrosinistra oggi al governo non sembra voler correre il rischio di incrinarle, ribadendo una obbedienza atlantica che pare arrivare fuori tempo massimo, proprio quando la crisi del coronavirus lascia allo scoperto l’inadeguatezza e l’ingiustizia del modello sociale americano.
Il “no” alla brigata cubana potrebbe inoltre spiegarsi con interessi più contingenti: l’arrivo dei cubani irriterebbe il PP e Ciudadans, rendendo più difficile il governo di unità nazionale che i socialisti stanno valutando (almeno a giudicare dalle ultime dichiarazioni di Pedro Sánchez) per far fronte alle difficoltà economiche del post epidemia.
Secondo fonti giornalistiche, il governo sembra aver rifiutato anche la possibilità di utilizzare l’Interferone Alfa B2, il farmaco cubano impiegato con buoni risultati in Cina, a dispetto della disponibilità del governo dell’isola a consentirne la produzione in Spagna. E a dispetto del fatto che decine di paesi stanno facendo ordini consistenti del farmaco nato nei laboratori cubani per impiegarlo nei propri ospedali.
Il rifiuto della solidarietà cubana rivela tutta la reticenza dei socialisti a prendere atto dell’inadeguatezza mostrata dai sistemi sanitari dell’occidente capitalistico, quello spagnolo (e catalano) compresi, oggetto di ripetuti tagli e preda delle mire del mercato.
Nella speranza che, passata la tempesta, tutto torni come prima, alla normalità delle politiche liberiste. E rivela soprattutto la realtà degli equilibri nel governo del centrosinistra spagnolo: la decisione non è farina del sacco di Podemos, e meno che mai di Izquierda Unida, ma con la loro condiscendenza le due formazioni sembrano confermarsi nel ruolo di comparse nel governo del PSOE.
Dal canto suo la CUP sottolinea l’irresponsabilità della decisione del governo spagnolo, denunciandone il settarismo e la capitolazione alle pressioni della destra che hanno portato a “chiudere la porta a una decisione ragionevole che potrebbe salvare centinaia di vite“.
Perciò gli anticapitalisti e indipendentisti catalani “chiedono a Podemos, Izquierda Unida e al PCE di non essere complici, con il loro silenzio, di questa decisione, quando buona parte della loro militanza sarebbe favorevole alla richiesta”.
“Questo virus lo fermiamo uniti”, recita la campagna pubblicitaria del governo costata risorse che avrebbero potuto essere investite meglio. Uniti si, però mantenendo il cordone sanitario anticomunista a Cuba.
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