Ad inizio aprile il presidente dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, Tijjani Muhammad-Bande, ha nominato l’ambasciatore di Rabat all’Onu, Omar Hilale, come facilitatore del processo di rafforzamento delle istituzione relative ai Trattati dei diritti umani delle Nazioni Unite.
Il rappresentante sarà affiancato dall’ambasciatore svizzero come co-facilitatore di questo processo ed entrambe riferiranno, il prossimo settembre, al Presidente dell’Assemblea Generale stabilendo raccomandazioni da esaminare al fine di «valutare e decidere le misure che saranno adottate per rafforzare e migliorare il funzionamento del sistema delle Nazioni Unite sui Diritti Umani».
«L’elezione di un rappresentante del Marocco delinea il riconoscimento del progresso e dei risultati del Regno nel campo dei diritti umani, sotto la guida di Mohammed VI» ha affermato il ministro degli esteri, Nasser Bourita.
La nomina di Hilole, al contrario, ha creato numerose polemiche a livello internazionale sia da parte di numerose organizzazioni non governative che delle rappresentanze del Fronte Polisario e della Repubblica Araba Democratica Saharawi (Rasd), dopo i numerosi richiami a Rabat da parte del Comitato delle Nazioni unite per la tortura (Cat).
«Questa nomina sembra contraddittoria e sospetta – afferma il Polisario in un comunicato ufficiale- visto che in materia di diritti negati l’Alto Commissariato delle Nazioni unite per i diritti dell’uomo (Hcdc) ha richiesto al Marocco chiarificazioni in merito al trattamento di numerosi prigionieri saharawi, riguardo alla loro tutela in questo periodo legato di diffusione del coronavirus nel paese».
In un suo report di aprile, Amnesty International richiede che le autorità marocchine rilascino immediatamente «tutti coloro che sono incarcerati solo per l’espressione delle loro opinioni tra cui decine di manifestanti del movimento Rif, rapper, blogger e giornalisti, mentre crescono le paure per la diffusione di COVID-19 nelle carceri» .
Negli ultimi sei mesi, le autorità marocchine hanno intensificato la loro intolleranza ed hanno arrestato centinaia di persone con reati come «disprezzo alle istituzioni» o «ingiuria della monarchia». Esempi lampanti del clima di repressione sono le incarcerazioni dei blogger Moul El Hanout e Youssef Moujahid, per aver rivendicato il diritto alla libertà di espressione, o dell’attivista Ghassan Bouda, arrestato per il proprio sostegno al movimento del Rif.
Gli stessi leader dell’hirak del Rif, Ahmed Zefzafi e Nabil Ahamjik avevano iniziato uno sciopero della fame il 22 febbraio «per richiedere l’accesso alle cure mediche adeguate e ai diritti di visita dei familiari», sciopero interrotto il 17 marzo per paura della diffusione di COVID-19.
Secondo l’Associazione Marocchina dei Diritti Umani (Amdh) risulta «insufficiente la grazia per 5600 detenuti», voluta da Mohammed VI lo scorso 5 aprile, a fronte di una popolazione carceraria di oltre 90mila persone «con scarse misure igieniche e di tutela dei carcerati». «Per coloro che rimangono in detenzione» afferma l’Amdh «il governo marocchino deve fornire un livello di assistenza medica che soddisfi le esigenze di tutti e garantisca la protezione più efficace possibile contro la diffusione di COVID-19».
A fine aprile le autorità carcerarie hanno riportato la notizia del contagio di circa un centinaio di persone, tra detenuti e guardie penitenziarie, nel carcere di Ouarzazate e altri carceri nel sud del Marocco. «Senza provvedimenti seri, l’aumento del contagio nelle carceri» afferma l’Amdh «rischia di provocare numerose proteste e rivolte all’interno di tutti gli istituti penitenziari del paese».
Anche a livello internazionale aumentano le richieste da parte di numerosi parlamentari europei e del gruppo Gue (Sinistra Unitaria Europea) per l’immediata liberazione dei prigionieri politici saharawi che, come afferma il comunicato, «dopo le torture subite e la loro indegna condizione di detenzione, con la violazione dei principali diritti civili, sono ora soggetti al contagio di coronavirus senza alcuna possibilità di tutela o cura».
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