Era nell’aria da diverse settimane, ma la decisione ufficiale è arrivata sul filo di lana: le elezioni presidenziali polacche, fissate per il 10 maggio, sono state rinviate “a data da definirsi”. Lo ha annunciato ieri il leader del partito governativo “Diritto e Giustizia” (Prawo i Sprawiedliwość – PiS), Jarosław Kaczyński.
La colpa del rinvio è stata addossata sulla candidata dell’opposizione “liberale”, Małgorzata Kidawa–Błońska, del partito di Donald Tusk, Platforma Obywatelska (Piattaforma Civica), che dallo scorso 30 marzo chiamava a boicottare il voto.
Ufficialmente, a causa del virus; in realtà, tutti sondaggi davano favorito il presidente uscente Andrzej Duda e la resistenza di PiS a rinviare il voto era dettata dall’incertezza sui futuri orientamenti dell’elettorato, dopo mesi e mesi di una crisi che va ulteriormente aggravandosi e che non lascia certo immune la Polonia.
Questo non è che uno dei sintomi – e nemmeno il più appariscente – dei diversi rivolgimenti che stanno caratterizzando la fase delle relazioni mondiali investita dal Covid-19 e in cui un posto non secondario è occupato dai rapporti di forza, dalle convergenze o dagli scontri interni a quella che alcuni si ostinano a chiamare “l’Europa”.
La crisi che avvolge il mondo capitalista non lascia spazi a scambi di “cortesie”, nei confronti di nessuno. Certo, bersaglio primario dello scontro planetario, quantomeno da parte yankee, sembra destinata a essere la Cina. Ma è impossibile non vedere come, prima o poi e in ogni caso, il conflitto debba dar vita a nuove “alleanze”, necessariamente temporanee, legate allo sviluppo ineguale dei paesi capitalisti, lo “sviluppo a balzi” leniniano.
Non va dimenticato nemmeno lo sfondo euro-atlantico su cui avviene lo scontro: trattati “amichevoli” a vantaggio dei monopoli USA; reciproche multe miliardarie tra colossi europei e yankee; gasdotto “North stream 2” fermato nel 2019, con minaccia di sanzioni USA alle ditte europee appaltatrici di “Gazprom”, ecc.
Negli ultimi due mesi, poi, è intervenuta anche la guerra del petrolio a complicare il quadro, con il prezzo del greggio andato a rotoli. In giro per il mondo, con il fermo di molte attività, la maggior parte dei depositi sono pieni e le petroliere sono trasformate in strutture di stoccaggio, con il petrolio saudita offerto a prezzi irrisori e una vera e propria armada di navi cisterna che assedia le rade, dal Canale di Panama allo stretto di Singapore, ai Paesi Bassi, Malta, Grecia, Stati Uniti, Corea del Sud.
In India, le raffinerie sono al 95% delle capacità di stoccaggio e anche in Europa ci si sta avvicinando rapidamente al pieno. “Nonostante gli sforzi dell’OPEC+ per mitigare l’impatto del coronavirus sui mercati mondiali, molti giacimenti petroliferi saranno esposti a un’ondata caotica di interruzioni della produzione”, scriveva il 2 maggio rusonline.org.
Goldman Sachs ritiene però che il quadro stia iniziando a migliorare e “tra qualche settimana potrebbe esserci di nuovo carenza sul mercato petrolifero”, mentre profinance.ru scrive che “la mitigazione delle misure di quarantena in vari paesi dà speranza di un rilancio dei consumi” di petrolio.
È dunque in questo quadro, che la “paladina” dell’egemonia USA sul vecchio continente – la Polonia della reazione politica e del sanfedismo oscurantista, ben rappresentati dal “PiS” – pare essersi “offesa” per alcune delle ultime scelte d’oltreoceano.
Non che siano tramontati i folli sogni di Varsavia alla conquista di un ruolo di supremazia europea, scalzando la Germania e rinverdendo il vecchio disegno della “Rzeczpospolita” dal mar Nero al Baltico; anzi, forse proprio in ragione di tale disegno, pare che a Varsavia possano tentare nuove “alleanze” esterne, mentre all’interno, al pari dell’Ungheria, hanno già approfittato del Covid per dare un ulteriore giro di vite alla reazione.
A fine aprile, ricorda lo storico russo Pëtr Iskenderov sulla rivista Vita Internazionale, il primo ministro polacco, Mateusz Morawiecki, ha dichiarato che “non possiamo permettere alle società americane o cinesi di conquistare l’Europa. Dobbiamo proteggere le aziende europee. Offriremo un pacchetto di protezione delle aziende da acquisizioni ostili“.
Parole pronunciate sullo sfondo, da un lato, di promesse di aiuti da parte di Bruxelles (7,8 miliardi di euro per programmi polacchi di aiuti statali alle imprese) e, dall’altro, da parte del Pentagono, di interruzione del previsto investimento di 545 milioni di dollari per l’Iniziativa di contenimento europeo, che va ad aggiungersi alla sospensione, nel 2019, di 1,8 miliardi di dollari per infrastrutture militari sul vecchio continente. Varsavia avrebbe versato una lacrima per questi mancati aiuti USA.
Ora, parallelamente agli scontri tra nord e sud, tra centro e periferie meridionali e orientali de “l’Europa”, e contemporaneamente allo scontro “inter-oceanico”, la Germania compie un ulteriore passo che, in teoria, dovrebbe accentuare anche le rivalità con la Polonia, nello scontro energetico mondiale.
Berlino torna a sostenere l’ultimazione del gasdotto “North stream 2”, la cui realizzazione era stata interrotta lo scorso dicembre, quando mancavano sì e no un centinaio di km di tubature da posare sul fondo del Baltico. Sembra che “Gazprom” in prima persona si occuperà del lavoro, al posto della svizzera “Allseas”, minacciata dalle sanzioni USA.
Da sempre, Varsavia è invece sostenitrice del gas naturale liquefatto americano, da convogliare in Europa proprio attraverso i terminali nei propri porti. Ora, in aggiunta a quello, ci si avvia alla definitiva realizzazione del “Baltic pipe” (finanziato dalla UE), destinato a portare il gas dalla piattaforma continentale norvegese nel mar del Nord alla Polonia, attraverso la Danimarca, intersecando però le tubature di “North stream 1” e “North stream 2”.
Con ciò, la Polonia potrebbe sventolare la propria “indipendenza” dal gas russo, finché dureranno i 10 miliardi m3 l’anno del “Baltic pipe” e almeno 5 mld di gas liquefatto USA. Ed è difficile dubitare che anche questo passo non rientri nel gioco al massacro per la primazia nel riposizionamento “europeista” di fronte ai poli economici ed energetici mondiali.
Varsavia sta insomma facendo di tutto, almeno davanti alle quinte, pur di evitare l’acquisto di gas dalla Russia. Tanto che, dietro le quinte, continua a comprare petrolio da Mosca, trasportato sia via mare, dal porto di Ust’-Luga, nel golfo di Finlandia, fino a Danzica, sia attraverso l’oleodotto “Amicizia”(!).
Sembra anzi che Varsavia possa destinare parte del petrolio russo alla vicina Bielorussia che, in tal modo, pur pagandolo più caro rispetto all’invio diretto dalla Russia, ridurrebbe la “dipendenza economica e politica” da Mosca, rendendosi però “debitrice di un favore” nei confronti di quei panstwo polacchi che, fino al 1939, ne occupavano buona parte delle regioni occidentali.
Proprio i prezzi energetici, infatti, costituiscono uno dei più acuti punti di attrito tra Mosca e Minsk, pur legate dal fantomatico “Stato unitario” russo-bielorusso.
In ogni caso, la questione energetica, per quanto fondamentale, non è che una delle spigolature che l’attuale recessione sta acutizzando. Ne sono un indicatore proprio i rapporti tra Varsavia e Berlino.
Oltre dieci anni fa, l’americana StratFor pronosticava una Polonia che, per la metà di questo secolo, avrebbe dominato su gran parte dell’Europa centro-orientale, accanto a una Russia spezzettata in tanti principati. Di contro, oggi, sulla base delle dichiarazioni del premier polacco Morawiecki citate prima, il polonista Stanislav Stremidlovskij ipotizza che Varsavia, per impedire l’invasione di capitali statunitensi e cinesi, possa esser costretta a ricorrere a quelli tedeschi.
Ora, ricorda Stremidlovskij, l’ex premier polacco Marek Belka non fa mistero del fatto che “i nostri bisogni dovranno competere con quelli dei paesi del Mediterraneo” e il rischio maggiore nella competizione per il denaro UE lo corrono proprio i “membri relativamente nuovi”, definiti anche “Euro-poveri“, con diretta allusione alla Polonia. Varsavia potrebbe dunque puntare su “aiuti” diretti tedeschi.
In Polonia sono attive (lo erano fino a inizio 2020) 6.561 aziende, in cui uno degli azionisti è una società o una persona fisica tedesca. La Germania è presente in Polonia con Volkswagen, BMW, E.ON, Metro AG, Allianz, Bosch, Deutsche Telekom, Deutsche Post, Deutsche Bank, Bayer.
Accanto a questi colossi, le regioni confinarie polacco-tedesche vedono una capillare compenetrazione di società e capitali e sembra che alcuni Land tedeschi si stiano lamentando per le misure di quarantena polacche, che limitano il transito tra i due paesi, tra l’altro anche ai circa 25.000 lavoratori polacchi che regolarmente vanno al lavoro in Brandenburgo, Sassonia, o nella regione di Berlino. E le misure di Varsavia toccano nel vivo proprio quelle aree andate alla Polonia alla fine della guerra, con gli strascichi di “appetiti” mai completamente placati.
Quella di Stremidlovskij è ovviamente un’ipotesi; ma la fame di soldi di Varsavia, potrebbe spingere i tedeschi ad allargare i propri orizzonti territoriali, quantomeno sul piano di un “inglobamento” economico. E a quel punto, con gli USA che sembrano puntare più al ventre molle del vecchio continente che non ai centri settentrionali, la churchilliana “iena d’Europa” sarebbe davvero alla mercé del capitale teutonico.
Il quadro geopolitico che conosciamo, difficilmente uscirà indenne dalla pandemia sanitaria.
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prowall
Grundgesetz.
E c’è un motivo del perché si chiama così e non Costituzione.