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La Guerra di Corea, la culla della Guerra Fredda

Il 25 giugno del 1950 viene fatta iniziare convenzionalmente la “Guerra di Corea” che durò tre anni – fino al 27 luglio 1953 – senza giungere finora ad un vero trattato di pace, ma solo ad un armistizio che fissò i confini tra le due Coree all’incirca all’altezza del 38° parallelo.

Stati Uniti e Corea del Sud fecero fallire nell’Aprile del 1954 la Conferenza di Pace a Ginevra, rifiutando le proposte di disimpegno delle truppe straniere e la tenuta di elezioni per lo stabilimento di un governo unificato.

La Corea del Sud sostenuta degli USA propose elezioni solo in Corea del Nord sotto la supervisione dell’ONU!

Quella linea fotografa la situazione bellica d’allora – in stallo per circa due anni – di una guerra che contrappose da una parte oltre la Corea del Nord, la Cina e l’Unione Sovietica e dall’altra una coalizione a guida statunitense, di 17 Paesi Onu, insieme alla Corea del Sud.

In realtà una proposta simile a quella finale era stata accettata già prima dalla Corea del Nord e dai suoi alleati sulla linea di tregua – e non sul 38° Parallelo come avrebbero desiderato – ma Corea del Sud ed alleati a quel punto l’avrebbero voluta spostare trentadue miglia più a Nord, come riporta Martin Hart-Landsberg, studioso della storia coreana della Monthly Review.

Il maggior contributo a livello di effettivi fu dato, oltre che dagli USA, da Gran Bretagna, Canada e Nuova Zelanda, con il fondamentale supporto logistico giapponese, ex-potenza coloniale della regione, divenuta perno della strategia asiatica statunitense.

La penisola coreana era stata infatti, prima della Manciuria, la “testa di ponte” del Giappone in Asia, ed una sua colonia dal 1910 al 1945. La dominazione nipponica fu feroce e segnò per sempre la società coreana: tra i 700 e gli 800 mila coreani vennero costretti al “lavoro forzato” in condizioni disumane, mentre le donne coreane divennero in massa “comfort women” – cioè costrette alla prostituzione – per l’esercito dell’imperatore, che iniziò di fatto il Secondo Conflitto Mondiale con l’invasione della Cina nel 1937.

La lotta contro il dominio giapponese, insieme alla “guerra di Corea” sono tutt’ora tratti costituenti dell’identità coreana al Nord e la prima legittimazione della sua leadership, mentre la Corea del Sud normalizzerà i suoi rapporti con il Giappone solo con “l’accordo del 1965”, promosso dagli Stati Uniti.

Secondo gli accordi tra alleati del fronte antifascista, gli Stati Uniti avrebbero dovuto monitorare il disimpegno dell’esercito giapponese al Sud – i sovietici arrivarono da Nord fino al 38° Parallelo per poi rapidamente ritirarsi -, in attesa che si insediasse un governo nazionale.

Ma “forzarono l’orizzonte”, permettendo la formazione  di un governo sud coreano, il 13 agosto del 1948, con a capo il feroce dittatore Syngman Rhee – che dominerà con il terrore la scena politica sud-coreana fino al 1960 – servendosi dell’apparato collaborazionista che aveva costituito l’ossatura del colonialismo nipponico.

Nel settembre 1947 fecero pressione all’ONU per sovrintendere elezioni divise a Nord ed a Sud, a cui si opposero sia i sovietici che i nord-coreani, che rifiutarono intatti l’accesso al Nord all’ONU.

Anche a Sud la stragrande maggioranza erano contrari a questo tipo di elezioni che si sarebbero tenute in un clima di terrore anticomunista; anche il capo della delegazione della Commissione ONU l’indiano K.P.M. Meson espresse dubbi sulla loro tenuta, ma le pressioni di Washington sull’India furono fortissime.

Gli Statunitensi volevano fare della Corea la testa di ponte del loo dominio asiatico.

Il Conflitto coreano che Dean Huge – autore del fondamentale “The Korean War, 1945-1953 – fa giustamente risalire al 1945 (dedicandovi l’intera seconda sessione del suo libro), fu non solo uno scontro tra due coalizioni contrapposte, ma soprattutto una guerra civile per decidere le sorti di un territorio e di una popolazione, in un mondo che stava rapidamente cristallizzando la sua polarizzazione tra capitalismo e socialismo.

Visto poi il successo della rivoluzione comunista in Cina nel 1949 e l’avanzata dei Viet Mihn in Indocina, gli USA non potevano tollerare ulteriormente l’ascesa del movimento comunista in Asia, con l’isolamento di fatto del Giappone, ed intervennero direttamente come soggetto della controrivoluzione nella penisola coreana.

Come ha rilevato uno dei maggiori storici contemporanei dell’Asia, Pierre Grosser, “la guerra di Corea, tuttavia è anche la prosecuzione di una guerra civile”, che senza l’appoggio di USA e Gran Bretagna, in primis, aveva già l’esito segnato.

Un ingente numero di coreani aveva combattuto nell’Armata Rossa cinese (40 mila) ed una parte importante aveva ricevuto addestramento nelle scuole militari di Mosca (10 mila giovani ufficiali nord-coreani). Nel 1948 era stata introdotta la leva obbligatoria e preparata la “mobilitazione totale” di una popolazione estremamente coesa, mentre l’esercito sud-coreano aveva più che altro funzioni di polizia e contro-guerriglia – di fatto una forza più che altro repressiva del conflitto interno – ed era dotato di un equipaggiamento inferiore.

Al Nord poi si trovava il centro dell’apparato produttivo; la riforma agraria ed in generale le trasformazioni realizzate al Nord avevano una grande attrattiva per una fascia crescente di popolazione  del sud, che verrà repressa prima della guerra e durante il conflitto perché ritenuta la “Quinta Colonna del Nord”.

Solo molto recentemente questi massacri – che ricordano per efferatezza il genocidio dei comunisti in Indonesia nel 1965 – sono stati indagati e riconosciuti al Sud.

Questo conflitto sarà il vero e proprio battesimo della Guerra Fredda ed inaugurerà la feroce politica anticomunista statunitense, che si risolse in un feroce bagno di sangue sia nei confronti di chi lottava a sud, prevalentemente contadino, per la riunificazione ed un cambiamento del regime sociale – dominato dall’aristocrazia agraria – e contro le popolazioni che al Nord avevano fatto sorgere una società socialista.

Il conflitto in Corea è considerato una “guerra dimenticata” negli Stati Uniti, sebbene questa abbia determinato fino ad oggi una parte dell’assetto asiatico – 20 mila soldati statunitensi sono ancora di stanza al Sud, insieme a numerose armi nucleari – per la cocente sconfitta che patirono i nord-americani e per gli orrori che commisero.

Morì circa tra un quarto ed un quinto della popolazione della Corea del Nord, che per tre anni subì bombardamenti a tappeto e fu di fatto costretta a vivere in tunnel sotteranei. Per avere un termine di paragone i nazisti sterminarono il 20% della popolazione polacca durante la Seconda Guerra mondiale.

Gli USA sganciarono più bombe di quante usate nell’intera campagna contro i Giapponesi in tutto il Pacifico durante la Seconda guerra mondiale: 635 mila tonnellate e più di 32 mila tonnellate di Napalm, incendiando “ogni città in Corea del Nord”, secondo il generale dell’Air Force Curtis LeMay.

Già ai tempi era accertato l’uso di armi batteriologiche, e solo recentemente è stato riproposto il rapporto della commissione indipendente che indagò su quel fenomeno.

Il generale Douglas MacArthur che guiderà per lungo tempo il comando ONU nel conflitto premeva per utilizzare la bomba atomica in Corea ed in Cina: “tra le 30 e le 50 bombe atomiche” che avrebbero diffuso “dietro di noi… un a cintura di cobalto radioattivo” secondo le sue parole.

Gli Stati Uniti furono responsabili di feroce rappresaglie contro i civili al Nord nel mentre avanzavano, così come fecero da super-visori delle stragi di sospetti comunisti perpetrate dal regime di Syngman Rhee.

Un clima di censura totale veenne imposto sugli avvenimenti; basta pensare che il fondamentale libro di I.F. Stone The Hidden History of Korean War venne rifiutato da 28 case editrici prima di essere pubblicato dalla Monthly Review Press.

Quello coreano fu il primo e finora unico conflitto in cui si affrontarono su un campo di battaglia gli Stati Uniti, che impiegarono in tre anni un numero di soldati vicino alle 500 mila unità (più di un milione e trecentomila in tutto), con più di 35.000 morti ed il triplo di feriti, e la Cina che impiegò circa 2 milioni di uomini, subendo 180 mila morti.

L’intervento della neo nata Repubblica Popolare sarà decisivo per ribaltare le sorti del conflitto, dopo che la contro-offensiva a guida USA aveva ribaltato l’ordine dei fattori. L’avanzata vittoriosa della Corea del Nord era stata tale da sbaragliare prima dell’intervento statunitense le forze sud-coreane.

Una pagina dimenticata insieme al fondamentale contributo dato dalla Cina alla lotta anti-giapponese, fondamentale per la sconfitta del nazifascismo nella Seconda Guerra Mondiale.

Il 27 giugno il Presidente Truman ordinò alla Settima Flotta del Pacifico di invadere lo stretto di Taiwan, per prevenire qualsiasi offensiva cinese per la liberazione dell’Isola in cui si era rifugiato il governo “nazionalista”, sconfitto dai comunisti, ma che ancora sedeva nel seggio dell’ONU.

Quest’azzardo militare nord-americano non era solo una palese violazione della sovranità e dell’integrità del territorio cinese, minacciando la Repubblica Popolare, ma metteva in discussione il processo di riunificazione cinese in un momento critico.

Gli USA manipolarono poi il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, adottando una risoluzione illegale (votò contro la Jugoslavia, mentre l’URSS si astenne per la presenza nel seggio cinese di un rappresentante del governo di Chiang Kai-Shek), portando 16 paesi a formare una “Forza ONU” a guida statunitense per invadere la Corea del Nord. Forza che giunse a Inchon il 15 settembre e raggiunse rapidamente il 38° Parallelo, che attraversò il 7 ottobre, occupando Pyongyang il 19 ottobre e avvicinando poi il fronte in prossimità del fiume Yalu, confine naturale con la Cina.

Gli Stati Uniti dal “quadrilatero di Pusan” (lungo 140km e largo 90) – l’estrema porzione sudorientale della penisola coreana – prima dell’incursione a ad Inchon – era riusciti a costituire la testa di ponte nell’unico pezzo di territorio non controllato dai nord-coreani, contro cui si infransero per due mesi i loro attacchi.

Gli avvertimenti e gli ammonimenti dei dirigenti cinesi non produssero alcun effetto nei policy makers di Washington, che li ignorarono convinti che la propria superiorità tecnologica e i rapporti di forza a livello internazionale avrebbero loro permesso di assicurarsi una rapida vittoria.

Ma così non avvenne.

Il 19 ottobre, i primi volontari cinesi attraversarono il fiume Yalu, e il 25 ottobre conquistarono la prima vittoria sul campo, preludio alla Prima Campagna.

Il 10 giugno dell’anno seguente, i volontari cinesi avevano realizzato 5 vittorie, annichilito 230 mila soldati nemici e stabilizzato di nuovo il fronte sul 38° Parallelo.

Nel luglio del 1951 iniziarono i colloqui per l’armistizio – dopo la quinta campagna cinese vittoriosa – tenutisi prima a Kaesong e poi a Panmunjon, dopo che gli Stati Uniti si erano accorti che cercare di giungere alle acque del fiume Yalu e arrivare ad una vittoria rapida risultavano impossibili, continuando comunque i combattimenti convinti di potere “imporre” le proprie condizioni e credendo di arrivare ad punto di vista di forza sul terreno che non venne mai raggiunto.

Gli USA impiegarono un terzo del proprio esercito, un quinto della propria aereonautica, e circa metà della propria marina nella guerra di Corea, senza successo, contro la resistenza della Nord Corea, i volontari cinesi e l’appoggio, in una seconda fase, dell’URSS.

Il 27 luglio del 1953 fu firmato l’armistizio – tuttora in vigore – suggellando la vittoria sul campo della Corea del Nord e della Cina.

Come ebbe a dichiarare il generale nord-americano Omar Bradley, il 15 maggio del 1951, riguardo all’estensione della Guerra di Corea alla Cina: “la guerra sbagliata, nel posto sbagliato, al momento sbagliato, contro il nemico sbagliato”.

E queste frasi dovrebbero risuonare come un monito per l’attuale establishment statunitense che intende rifare dell’Indo-Pacifico il cuore di una “guerra fredda di nuovo tipo” contro Pechino.

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