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Bolivia, la dittatura vuole arrestare il candidato favorito

La presidente “autonominato” della Bolivia, Jeanine Añez, perde ogni giorno di più la forzata facciata di democrazia che, con la complicità degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, ha dovuto indossare per giustificare l’abbattimento violento di Evo Morales a novembre dell’anno scorso.

Ora, in una dimostrazione flagrante del fatto che in questo paese sudamericano non esistono garanzie costituzionali e che la regola è la persecuzione, si prepara un golpe contro il candidato alla presidenza, Luis Arce Catacora, del Movimiento Al Socialismo (MAS).

A constatazione della vigenza del metodo del lawfare contro i leader popolari, la forma giuridica di questa decisione politica antidemocratica è la denuncia penale fatta questo martedì al Pubblico Ministero contro Luis Arce per il supposto danno economico che avrebbe causato allo Stato mettendo in funzione la “Gestora Publica” per l’amministrazione dei contributi sociali dei lavoratori.

Questa non è la prima volta che si assume un atteggiamento di aggressione contro il candidato del MAS da quando è ritornato in Bolivia dopo essere rimasto un breve periodo in Messico.

Lo stesso giorno del suo arrivo a La Paz, il 28 gennaio, nell’aeroporto di El Alto gli è stata consegnata una citazione per un’audizione davanti ai magistrati sul caso del Fondo Indigeno. Questo martedì l’azione è più perversa, visto che avviene nel momento in cui l’ex Ministro dell’Economia di Morales è in testa a tutti i sondaggi di voto per le elezioni del prossimo 6 settembre.

L’atto non è, ovviamente, una sorpresa. Il “governo di fatto” fa tutto quello che è nelle sue possibilità per prorogare il mantenimento  del potere che ha preso illegalmente il 12 novembre del 2019, dopo una riunione tenutasi alla presenza degli ambasciatori dell’Unione Europea, León del Torre, del Brasile, Octávio Henrique Dias García Côrtes, e altre organizzazioni politiche e civiche nei locali dell’Università Cattolica Boliviana (UCB) per dare una certa legittimità al colpo di Stato.

Come del resto denunciato da María Galindo, una femminista radicale e oppositrice d el presidente Evo Morales. Per questo non è stata una sorpresa il riconoscimento che, dopo poche ore, è arrivato dai governi degli Stati Uniti e del Brasile alla presidente de facto.

L’arma privilegiata da Añez e dai suoi collaboratori, per le sue aspirazioni di proroga, è stata fin qui l’epidemia del coronavirus, la cui espansione non ha potuto essere controllata finora a causa dell’assenza di un piano coerente del governo e dell’enorme deficit di respiratori e materiale di bio-sicurezza, in mezzo a denunce di corruzione nell’acquisto delle forniture.

Non si conosce ancora la reazione del candidato di sinistra, né le misure che prenderà in termini giuridici, però le organizzazioni sociali hanno già fatto sapere che resisteranno all’intenzione del governo di fatto di vietare al MAS la partecipazione elettorale.

La politica repressiva del governo non è cambiata di una virgola dal golpe ed è probabile che l’aumento dei “falsi positivi” continui a crescere per giustificare una nuova ondata di violenza.

Quella che invece è cambiata è la disposizione sociale, principalmente delle organizzazioni sociali, che si trovano in una marcia di ricomposizione e sempre più coese nell’esigere elezioni generali.  

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