Gli anniversari vanno sempre celebrati con sorrisi e calici. In alcuni casi, tendono ad essere solo leve della memoria, ma a volte, per scelta o per caso, diventano ricordi che annunciano. Nel caso del Nicaragua, il 19 luglio è un ricordo e un progetto, lo svolgersi di una storia incredibile e un sogno credibile.
I 41 anni della Rivoluzione vanno raccontati incrociandoli con la storia nazionale, perché la storia del Frente Sandinista è la storia del Nicaragua. Sia quella dell’eroismo, dell’abnegazione, della lotta, della resistenza, del progetto che quella di lutti e vittorie, di dolori acuti e gioie indescrivibili, di identità nascoste e rivelate. È storia di magia e di arte, di sfide impossibili e scommesse folli, di sogni ad occhi aperti.
Tutto e per sempre cambiò il 19 luglio 1979, non solo l’arena politica. All’entrata a Managua delle colonne della guerriglia, l’ingiustizia cercava una via di fuga, perché i giusti marciavano spediti. Nei mercati, nelle strade, nelle scuole, nei corridoi degli ospedali, si respirava la fine della notte oscura del somozismo. Le donne, gli uomini, le speranze, i sogni; persino gli sguardi, il ridere, divennero meravigliosamente insistenti e disordinati, sfacciati e provocatori. La tristezza e l’abbandono divennero fuori luogo, si decretò illegale il tradimento e vergognose la resa e la rinuncia. La parola Patria si fece largo senza pudore alcuno.
La Rivoluzione Sandinista non solo ha stabilito leggi e norme, diritti e doveri, priorità e missioni: ha cambiato i costumi nazionali, la logica, le argomentazioni e il senso comune. Usando le categorie della semiotica, si potrebbe dire che il significato di una rivoluzione, che vede la trasformazione globale del testo e del contesto, nel caso del Sandinista Nicaragua ha avuto pieno riscontro.
I 41 anni del Sandinismo si possono anche contare nelle cifre concrete del governare, i numeri non mentono. Dal 1979 è in corso il progetto per la costruzione della nuova Nicaragua. Fu rallentata e parzialmente interrotta dalla guerra mercenaria degli anni 80. La via della liberazione era inconcepibile per i teorici del razzismo e del saccheggio.
Alfabetizzato, sano e con pari diritti, il Nicaragua divenne pseudonimo di dignità.
Il sandinismo, mai sconfitto e mai domo, soffiò come un vento di libertà e dignità, tracciando il confine tra indipendenza e annessionismo. Dovette difendersi e con dolcezza ma allo stesso tempo con durezza, riprodusse la legge biblica di Davide contro Golia, con parole che diventarono armi e il potente armamento della ragione. Per la terza volta nella storia, protetto dal suo popolo in armi e dal diritto internazionale, l’Fsln spiegò con il suo sangue agli Stati Uniti che il Nicaragua non è terra di conquista. Gli indios si mangiarono los cheles: i cachorros dalla pelle più scura e i grandi occhi neri sfidavano i mercenari e gli invasori biondi dagli occhi azzurri, trascinandoli legati con una corda davanti alla legge nicaraguense e internazionale.
Questi 41 anni sono stati forgiati in diverse fasi. Ricostruire, progettare e difendere il nuovo Nicaragua è stata la storia dei primi dieci, quando la guerra impose lutti e sofferenze, orgoglio patriottico e sfide, tattiche e strategie, rivendicazioni e audacia. Dopo dieci anni di guerra vi fu la sconfitta elettorale, conclusione inevitabile quando si vota con la pistola alla testa. Ma nel contempo, accettando un verdetto che poteva essere respinto, il FSLN proclamò la democrazia raggiunta e non più sopprimibile. Perché anche quando si subisce una sconfitta si può insegnare ai vincitori.
I sedici anni che seguirono con i governi liberali ridussero un paese allo scheletro di se stesso. In nome della democrazia liberale, 20.000 sandinisti furono espulsi dai loro luoghi di lavoro, agli studenti poveri fu reso impossibile continuare a studiare, i contadini dovettero resistere alla vendetta dei proprietari terrieri e il Nicaragua divenne la bonanza della famiglia Chamorro, rappresentazione araldica del tradimento nazionale. Corruzione, ladrocinio, servilismo verso l’impero e repressione furono le gambe del tavolo sotto il quale giaceva il Paese.
La nuova Nicaragua
Cambiò tutto nel Novembre 2006, quando il FSLN tornò a governare e nacque la seconda tappa della Rivoluzione. Il governo sandinista ha prodotto il più imponente e incisivo processo di modernizzazione del Paese tenendo insieme la crescita del PIL e riduzione della povertà, collegando la crescita macroeconomica al tessuto sociale. Come? Rovesciando i paradigmi liberisti e privilegiando la coesione sociale.
La condizione strutturale della povertà non diventa una forbice che aumenta ogni giorno di più le disuguaglianze: oltre 100.000 pacchetti alimentari vengono distribuiti giornalmente, esistono 52 programmi sociali volti a ridurre il divario tra povertà e benessere. Il Nicaragua è un paese povero, naturalmente, ma le politiche del governo combattono la povertà e non i poveri. Ha basato la sua politica socio-economica sull’inclusione e la partecipazione, con salute, istruzione, pensioni, trasporti, alloggi, aumenti salariali, prestiti agevolati a famiglie, cooperative e piccole imprese. E non solo in termini economici il Paese è diverso: il suo modello di polizia comunitaria ha garantito i migliori risultati in termini di sicurezza in tutta la regione centroamericana. Dal punto di vista della partecipazione femminile c’è un dato straordinario, quello del Gender Gap: dal 2007 il Nicaragua è passato dal 91° al 14° posto nel mondo.
Le cifre del Sandinismo
Il modello sandinista ha i suoi numeri. Crescita del PIL tra il 4 e il 5% all’anno. 50% di povertà in meno (dal 48 al 24,9%) e di povertà estrema (dal 17,2 all’6,9%). Riduzione della denutrizione cronica infantile dal 27,20 al 9,20. Il 55% della spesa nazionale destinato a un’ulteriore riduzione della povertà attraverso investimenti pubblici. E i numeri si riconoscono: premio FAO per essere stato uno dei primi Paesi a raggiungere gli “Obiettivi del Millennio” nella riduzione della povertà e delle disuguaglianze (dati certificati anche dalla Banca Mondiale e dal FMI).
Sono 136.000 i disabili presi in carico dalle strutture pubbliche. L’istruzione è gratuita a tutti i livelli, ne usufruiscono oltre 2 milioni di studenti di tutte le età: la Costituzione stabilisce che il 6% del PIL gli è destinato. E quindi 7723 aule ristrutturate, 500 centri di studio nelle zone rurali, pasto gratuito quotidiano per 1.200.000 studenti. 500 scuole pubbliche dotate di collegamento Internet e 279 aule mobili per portare le lezioni in ogni luogo del Paese.
Altri numeri? Tra il 2012 e il 2016 aumento del 40% della spesa sociale, con 2,715 miliardi di dollari destinati agli investimenti pubblici. Di questi, 805 spesi per i sistemi di trasporto aereo e terrestre (in 13 anni sono stati costruiti più di 3.500 km di strade e il trasporto pubblico è il più basso costo dell’intera regione); 145 milioni per la salute pubblica, 423 milioni per l’elettricità), 254 milioni per l’acqua e i servizi igienici e 107 milioni per l’istruzione (gratuita a tutti i livelli). La riorganizzazione sistemica della capacità produttiva ha reso concreto ciò che si intende per sovranità nazionale: l’autosufficienza alimentare è sostanzialmente raggiunta, il Nicaragua produce il 98% degli alimenti che consuma e il 98% del Paese è elettrificato e il 70% dell’energia è prodotta da fonti rinnovabili. E ora pochi si addormentano implorando la misericordia del cielo: più di 50.000 case sono state destinate a famiglie che non erano in grado di comprarle.
Il nuovo Nicaragua si riflette nei più vulnerabili, perché dal 2007 la salute è tornata ad essere gratuita: 18 ospedali sono stati costruiti e attrezzati secondo i più alti standard, (altri 6 sono in costruzione e 5 in progettazione) 170 asili nido e decine e decine di ambulatori sono stati rinnovati o costruiti. E oggi, per affrontare l’emergenza Covid-19 meglio di qualsiasi altro paese della zona, non ci sono solo gli ospedali: ci sono anche 10 cliniche mobili (ed altre 10 previste) con le quali l’assistenza medica pubblica gratuita arriva fino all’ultima casa in ogni angolo del Paese, per quanto remota sia.
Questi numeri rappresentano un modello di giustizia sociale, inclusione e solidarietà e che, pur inserito dentro una economia capitalistica, non ha timore di agire il socialismo nelle sue politiche distributive ed equitative. Questo ha spaventato il latifondo e l’impero del Nord che, oltre a non tollerarlo in Nicaragua, ha intravisto il suo alto potenziale di trasmissibilità regionale; per questo nel 2018, l’oligarchia ha cercato di dare un golpe stile Bolivia: questo era l’ordine degli USA.
La scommessa del colpo di stato si è rivelata però sbagliata. Il FSLN ha dimostrato di essere unito, di disporre di forza politica e militare all’altezza di qualsiasi sfida, di saper salvaguardare la Costituzione e le Istituzioni, di tenere al sicuro il Paese e riconoscere nella figura del suo Comandante di sempre, Daniel Ortega, una leadership di altissimo profilo e inespugnabile.
Verso il 2021
Questo 41° anniversario sarà celebrato in modo diverso. La pandemia impedisce le manifestazioni di massa a cui la FSLN ci ha sempre abituato. Ma le precauzioni e l’attenzione non gli impediranno di festeggiare il suo compleanno: ogni casa sandinista sarà una piazza, fisica e virtuale. Ricorderà a tutti, amici e nemici, che il sandinismo è maggioranza assoluta nel Paese.
Non si torna indietro, deve saperlo la destra. Meglio non pensi nemmeno a tentativi di colpi di stato che sarebbero fatali per chi li promuove. Così come sbaglierebbe a pensare che saranno gli USA o gli OSA a decidere il voto. La destra è l’immondizia del Paese, è un aggregato mercenario che vive e opera agli ordini del governo statunitense: non ha nessuna ricetta per il Nicaragua che non sia riportarlo allo stato di colonia. Ma è inutile farsi finanziare ogni vizio da Washington e Bruxelles spacciandosi in progetto, inventare finte Ong per succhiare altro denaro, affannarsi in coalizioni antropofaghe per cercare di trasformare una carovana di politicanti e opportunisti in un’opzione politica. C’è solo un’opzione vincente in campo: quella che vede il Nicaragua come una nazione libera, sovrana e sandinista.
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