Il presidente Trump ha annunciato, giovedì 13 agosto, la conclusione di un accordo a triplice firma, Usa, Israele e Emirati Arabi Uniti, per normalizzare i rapporti tra Israele e UAE, un accordo che prevede relazioni diplomatiche, economiche, e grande cooperazione scientifica e commerciale.
Poteva essere un annuncio di pubbliche relazioni di normale amministrazione, ma Trump e Netanyahu l’hanno definito accordo storico, e la stupidità mediatica ha fatto il resto.
Vediamo. Trump e la sua amministrazione sono in grande difficoltà: dimostrano incapacità nell’affrontare il coronavirus e la conseguente crisi economica e in politica estera; sono alla vigilia delle elezioni presidenziali, che si terranno a novembre prossimo, e i sondaggi evidenziano un sorpasso di Biden.
Trump e la sua amministrazione stanno correndo contro il tempo nel tentativo di raggiungere un risultato a livello su una o più questioni di politica estera da utilizzare come carta vincente per “aiutarsi” nella campagna elettorale, nella convinzione che la memoria dell’elettore americano sia debole e non si ricordi i fallimenti e l’incapacità di fare alcun passo avanti in nessuna delle questioni (i rapporti commerciali con la Cina, i rapporti con Iran e Corea, oltre alla questione palestinese).
Le questioni menzionate confermano confusione, ignoranza e arroganza della politica estera statunitense, condizionata e appiattita nei confronti di Netanyahu e del suo governo di estrema destra razzista, che è in contrasto con il diritto internazionale e il diritto umanitario; nient’altro che un modello e una prova della confusione e dell’arroganza che hanno caratterizzato e segnato l’era del presidente Trump e della sua amministrazione, che ha portato all’indebolimento e al declino dell’influenza americana sulla scena mondiale.
Questi fallimenti portano a una domanda: al presidente Trump rimane tempo fino al 3 novembre; raggiungerà o realizzerà qualcosa che possa essere considerato di importanza strategica su una qualsiasi delle suddette questioni secondo i meccanismi politici e diplomatici? La risposta a questa domanda è certamente no. Basta analizzare alcune dichiarazioni per capire dove arriva la fantasia politica del presidente Trump e della sua amministrazione; per esempio, arrivano a inviare un messaggio diretto all’Iran con la proposta di lavorare rapidamente per firmare un nuovo accordo se Trump vincerà le elezioni. Ciò evidenzia le intenzioni negative verso gli alleati degli USA fra gli Stati arabi del Golfo.
Per quanto riguarda l’attivismo sul conflitto palestinese-israeliano, che è il più importante per la campagna elettorale del presidente Trump, si presta a diverse considerazioni, tra cui:
– è un tentativo di suggerire al pubblico americano la capacità di risolvere il conflitto arabo/israeliano, e la sua causa centrale, cioè la causa palestinese, cosa che le precedenti amministrazioni non sono riuscite a fare;
– è un incentivo per le forze sioniste e i loro alleati affinché si muovano in modo più efficace a sostegno della campagna elettorale di Trump per un secondo mandato presidenziale;
– dovrebbe servire a rimuovere l’ostacolo che impedisce il riconoscimento arabo di “Israele” e quindi accelerare il processo di normalizzazione arabo-israeliano, compresa l’istituzione di ampie relazioni diplomatiche con i paesi arabi;
– dovrebbe svuotare di contenuto le risoluzioni internazionali adottate dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite e dal Consiglio di Sicurezza, contenuto che garantisce il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese e il diritto alla libertà e alla liberazione dal colonialismo sionista, l’istituzione dello Stato palestinese indipendente con Gerusalemme capitale e il diritto dei rifugiati palestinesi di tornare nelle loro città e villaggi in attuazione delle risoluzioni internazionali 181 e 194 e di tutte le risoluzioni del diritto internazionale;
– dovrebbe ribaltare il fronte internazionale che non ha accettato ‘”l’accordo del secolo” di Trump e cercare di smantellare l’isolamento internazionale della posizione americana, derivante dal sostegno cieco alla politica di estrema destra di Netanyahu, basata sull’espansione e la permanenza dell’occupazione e il rifiuto di attuare le risoluzioni internazionali pertinenti.
Netanyahu, capo di un governo a due teste, ha sulle spalle il peso delle accuse di corruzione e di mal governo, ha bisogno anche di qualche successo per dimostrare che è lui il Re d’Israele e che solo lui può arrivare a normalizzare i rapporti con i paesi arabi senza concessioni territoriali, cioè cancellando il principio “terra in cambio della pace” che era alla base degli “accordi di pace” con l’Egitto e la Giordania, e doveva esserlo con i palestinesi secondo gli accordi di Oslo.
Gli Emirati Arabi Uniti (UAE), un piccolo paese ricco di petrolio, da anni mantengono rapporti non ufficiali con Israele, e fanno parte dell’alleanza araba contro il terrorismo, sostenuta e appoggiata dagli Usa e dai paesi occidentali. Gli UAE finanziano e armano diversi gruppi in diversi paesi arabi e africani, dalla Siria alla Libia allo Yemen, non hanno confini con Israele e non hanno mai partecipato a nessuna guerra contro Israele; che interessi possono avere a firmare un accordo di pace con l’occupazione israeliana, violando le risoluzioni dei vertici arabi, islamici, e le risoluzioni del Consiglio di cooperazione dei Paesi del Golfo, oltre a intervenire negli affari interni palestinesi, camuffando l’accordo con una promessa di Netanyahu di sospendere (non annullare) l’annessione di una parte della Cisgiordania?
Promessa smentita, il giorno dopo l’annuncio, dallo stesso premier israeliano con la dichiarazione che l’annessione è sempre sul tavolo, e che non c’è “nessuna relazione, né da vicino né da lontano, con la questione palestinese; a voi pace in cambio di pace, io ho solo l’impegno di coordinare con l’amministrazione americana, quindi non dite bugie alle genti affermando che avete bloccato o congelato l’annessione”!
Allora qual è l’obiettivo di questo vergognoso accordo, che l’informazione mainstream spaccia per un accordo storico? Penso che questo accordo sia stato stretto per riattivare quell’alleanza tra forze reazionarie che ha dimostrato la sua incapacità di risolvere i diversi conflitti accesi nella regione, per dare una mano a due falliti, Trump e Netanyahu, e alla loro politica di guerrafondai, e per tenere in pedi i fantocci che governano i paesi petroliferi. E non escludo che sia in funzione anti-iraniana: è molto probabile che l’esplosione del porto di Beirut sia stato il primo avvertimento, non solo all’Iran ma anche alla Cina (dopo la firma dell’accordo commerciale con l’Iran) e alla Turchia e al suo intervento in Libia.
Il mondo arabo sta attraversando diversi conflitti che hanno solleticato gli appetiti delle potenze regionali e internazionali, che mirano a dividerlo e a minacciare i suoi interessi e l’integrità territoriale dei suoi paesi. Questa situazione richiede una riconsiderazione dell’azione collettiva e concordata, poiché la questione palestinese sta affrontando gravi sfide da parte della leadership sionista sostenuta dall’amministrazione Trump, e costituisce un denominatore comune su cui costruire e svilupparsi per promuovere gli interessi arabi e porre fine alle ambizioni delle potenze regionali e internazionali.
Di fronte al popolo palestinese, la strada è sempre più ardua e complessa, in un mondo sempre più spietato, che non rispetta né gli impegni né le risoluzioni che adotta. Ma segnali incoraggianti arrivano anche dall’unità di azione di tutte le organizzazioni palestinesi contro l’occupazione e contro i vergognosi accordi. Di nuovo i palestinesi sono chiamati a lavorare insieme alle masse arabe, per un fronte interarabo di sostegno alla causa palestinese, e per un processo democratico di cambiamento nei paesi arabi, senza interferenze esterne.
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