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Washington vigila affinché Evo e Correa non riescano a ritornare

La Bolivia e l’Ecuador sono immersi in processi elettorali che avranno grande impatto sull’America Latina e i Caraibi. Dato che il risultato di entrambe le elezioni può alterare il quadro regionale, Washington sta sviluppando un’intensa attività fondamentalmente orientata a impedire la vittoria delle alleanze progressiste in Bolivia ed Ecuador.

Negli ultimi mesi, il Dipartimento di Stato ha scatenato un’ingente batteria di iniziative, in aperto coordinamento con le élite locali, per interrompere la riconfigurazione di un blocco sovrano dell’egemonia corporativa e finanziaria, patrocinata dalle delegazioni diplomatiche di Washington.

Nell’ultima settimana, il governo golpista di Jeanine Áñez si è visto obbligato ad accettare, a fronte di richieste giornalistiche, il pagamento di 100.000 dollari – provenienti da risorse del tesoro nazionale – per i servizi della ditta di consulenze CLS-Strategies, specializzata in consulenze sulla sicurezza e l’immagine istituzionale.

Il contratto è iniziato nel dicembre 2019, a partire dalla raccomandazione fatta dall’Incaricato d’affari dell’Ambasciata degli Stati Uniti, Bruce Williamson, massima autorità diplomatica a La Paz.

Tra i precedenti della consulente, spiccano i progetti realizzati in Honduras, tra marzo e giugno del 2009, nei mesi precedenti alla destituzione illegale dell’allora Presidente José Manuel Zelaya. In quell’occasione, gli onorari sono stati liquidati a CLS-Strategies da un think tank capeggiato dall’allora presidente dell’Assemblea Legislativa, Roberto Micheletti, scelto di fatto dalle Forze Armate il 28 giugno 2009.

Altro cliente della CLS-Strategies è stato Álvaro Uribe, ex Presidente della Colombia, che attualmente è detenuto ai domiciliari per ordine della Corte Suprema del suo paese, accusato in diversi casi di corruzione e responsabilità criminale nell’uccisione extragiudiziaria di parecchi dirigenti sindacali, politici e accademici per mano dei paramilitari delle Autodefensas Unidas di Colombia.

Il CLS-Strategies ha sede a Washington e annovera, nel suo portafoglio di clienti – secondo dati forniti dal Dipartimento di Giustizia statunitense – anche l’Agenzia Centrale di Intelligence (CIA, nella sua sigla in inglese) e l’Agenzia Nazionale d’Intelligence (il Department of Homeland Security, DHS).

Il consulente inviato dalla CLS a La Paz, durante i primi sei mesi del 2020, è stato Brian Berry. Il suo compito è consistito nell’offrire una pianificazione destinata a migliorare l’immagine di Áñez e indebolire quella del MAS. Tra i suoi crediti precedenti, Berry ha la partecipazione nella campagna elettorale in Messico, dove non ha potuto però impedire la vittoria di Andrés Manuel López Obrador.

Una delle prime dichiarazioni altisonanti della Presidente de facto Áñez, suggerita dal consulente, è stata nella città di Sucre, all’inizio dell’anno, quando ha avvisato: “Non permetteremo che i selvaggi tornino a governare”.

Come risultato immediato dei consigli del consulente Berry,è stato anche nominato, come membro del Tribunale Supremo Elettorale, Salvador Romero, uno sperimentato architetto di formule golpiste istituzionalizzate, che già aveva lavorato con la CLS-Strategies a Tegucigalpa, in occasione della prima presa del potere di Micheletti.

Berry ha conosciuto Salvador Romero in Honduras, durante i mesi precedenti al golpe contro Zelaya. Come compenso, il boliviano è stato nominato Direttore dell’Istituto della Democrazia dell’Honduras, dove ha assunto vari tra i suoi ex colleghi della USAID, l’ente governativo del Dipartimento di Stato che utilizza come dispositivi strategici la cooperazione internazionale e l’aiuto sociale.

Romero, inoltre, è cugino del capo della campagna del raggruppamento Comunidad Ciudadana, capeggiata dall’ex Presidente Carlos Mesa, attualmente posizionato al secondo posto nei sondaggi.

Il titolare del Tribunale Supremo Elettorale (T.S.E.) è stato il responsabile dello slittamento per la terza volta del calendario elettorale, stabilendone la realizzazione per il prossimo 18 ottobre, con il pretesto della pandemia. Berry e Romero sono gli incaricati di sfasciare il MAS, che sembra tuttora essere in in testa ai sondaggi elettorali.

In questo quadro, gli incaricati di fare il lavoro sporco di Áñez hanno predisposto una batteria di imputazioni e montature giudiziarie contro vari dei referenti del MAS, accompagnata da un sostenuto appoggio mediatico destinato a corrodere l’immagine pubblica dei suoi candidati.

Nell’ultima settimana, si è tornati ad accusare l’ex Presidente Morales di una paternità clandestina nata da una relazione “con una minorenne”. L’imputazione è stata accolta dalla Giustizia a partire da una denuncia anonima.

Secondo gli analisti politici, i governanti de facto credono che in questa maniera ci siano più possibilità di arrivare alle elezioni con un vantaggio sul MAS. Fintanto che la differenza continua ad essere così elevata – ha consigliato Berry – si dovrà continuar e ad utilizzare la pandemia come giustificazione per ulteriori ritardi, per guadagnare tempo.

Intanto, coma ha dichiarato il ministro del governo della presidente de facto, Arturo Murillo, alla CNN lo scorso 10 agosto, “sparargli sarebbe la cosa politicamente corretta da fare” (riferendosi ai blocchi stradali causati da coloro che esigono elezioni nella data prevista inizialmente.

Elon Musk e militari: eliminare chiunque sia necessario

I suoi mandanti, senza dubbio, sono stati più chiari al momento di spiegare la motivazione strutturale del governo de facto: lo scorso 24 luglio, l’imprenditore Elon Musk ha risposto personalmente ad un’accusa di sua partecipazione al golpe contro Evo Morales.

Il proprietario della Tesla, che produce auto elettriche – per le quali il litio è la materia prima imprescindibile – ha dichiarato: “Noi abbatteremo chi vogliamo”.

La legge è tela di ragno

Le elezioni in Ecuador sono invece previste per il 7 febbraio del 2021, e l’alleanza formata da Rafael Correa presenta per la presidenza Andrés Aráuz Galarza. Il modello vincente promosso da Cristina Fernández de Kirchner in Argentina, che si è proposta per la vicepresidenza, è stato –fino a quest’ultima settimana– il format scelto da Rafael Correa per ritornare all’attivismo in Ecuador, dopo il tradimento politico promosso dal suo successore, Lenín Moreno.

L’Unione per la Speranza (UnEs) è l’organizzazione che ha presentato il binomio di Aráuz/Correa e che già appare in cima ai sondaggi.

Il ruolo che ha avuto Berry a La Paz è stato replicato da Paul John Manafort a Quito. Manafort è un lobbista legato al Partito Repubblicano statunitense, che è stato capo della campagna di Gerald Ford, Ronald Reagan e George H. W. Bush. Nella prima parte del 2016, ha avuto lo stesso compito per Donald Trump, per poi trasformarsi in uno dei suoi delegati dedicati alle “operazioni speciali”.

A maggio del 2017, Manafort ha tenuto varie riunioni con Lenín Moreno per chiedere al governante la fine dell’asilo concesso da Correa a Julián Assange nel 2012. L’11 aprile del 2019, per decisione di Moreno, l’Ecuador  ha ritirato la nazionalità ecuadoriana e l’asilo concesso ad Assange. Immediatamente è stato arrestato dalle autorità britanniche – dentro l’Ambasciata dell’Ecuador a Londra – in risposta alla richiesta di estradizione del governo statunitense.

Un altro degli accordi ha previsto l’aiuto di Washington nei negoziati sul debito con il FMI e l’impegno, da parte di Manafort, d’intercedere presso l’INTERPOL per ottenere un’”Allerta Rossa” che permettesse l’estradizione di Rafael Correa, esiliato in Belgio.

Questi negoziati irregolari sono arrivati rapidamente a conoscenza della Commissione delle Relazioni Estere della Camera dei Rappresentanti, cosa che ha fatto sì che, a dicembre del 2018, vari parlamentari democratici esigessero da Mike Pompeo un rapporto dettagliato su quei negoziati irregolari.

Il 13 settembre del 2018 Manafort, davanti al pubblico ministero speciale Robert Mueller, si è dichiarato colpevole di due crimini – quello di cospirazione e quello di manipolazione di testimoni – consumati per favorire Trump.

Mercoledì 19 agosto, il Senato degli Stati Uniti l’ha accusato di sviluppare transazioni in contrasto con la legalità in Ucraina e Russia, in un rapporto di 1.300 pagine in cui si segnalano anche le operazioni in Ecuador.

Per integrare il compito di Manafort, il Dipartimento di Stato ha deciso d’inviare a Quito uno sperimentato diplomatico, Michael Fitzpatrick, che è stato decisivo nel golpe istituzionale contro il Presidente del Paraguay, Fernando Lugo, nel 2012.

Il diplomatico è rimasto allo scoperto nel 2011 con la diffusione di cablogrammi segreti – da parte di WikiLeaks – nei quali informava i suoi superiori nel Dipartimento di Stato del golpe in fieri, senza avvertire le autorità costituzionali paraguaiane di questo pericolo; un golpe di cui è stato indubbiamente gestore o complice.

Fitzpatrick è arrivato in Ecuador il 19 giugno, e la sua delegazione diplomatica si è costituita immediatamente nel quartier generale dei consiglieri di Edwin Moreno, candidato a presidente per il raggruppamento Ecuatoriano Unido e fratello di Lenín. Parallelamente, varie ditte consulenti di Quito e Guayaquil sono state contrattate per promuovere la stigmatizzazione del correísmo.

Il Dipartimento di Stato, i media di maggior copertura informativa locale e internazionale e frazioni del Potere Giudiziario hanno costruito una trama finalizzata a  fare di Rafael Correa un reietto. Sono state montate cause giudiziarie sovrapposte per evitare la sua candidatura, sotto il ricatto dell’arresto non appena tocchi il suolo ecuadoriano.

L’ex governante ha due ordini di carcerazione preventiva contro di lui, spiccati dalla giudice nazionale Daniella Camacho, però c’è anche un interposto appello presso la Camera di Cassazione che ancora non è stata risolta. Parallelamente, da parte di varie ditte di consulenza finanziate dall’Ambasciata, è stata disposta un’offensiva pubblicitaria –attraverso le reti sociali– per screditare il giovane trentacinquelle Andrés Aráuz.

Il pendolo si muove

L’urgente invio di Michael Fitzpatrick a Quito è legato a una serie di fatti:

– Il rifiuto dell’Interpol di diffondere un’allerta rossa contro l’ex Presidente Rafael Correa, come aveva chiesto il governo dell’Ecuador.

La decisione di un giudice del Tribunale del Contenzioso Elettorale dell’Ecuador, che ha annullato le misure cautelari di sospensione che pesavano contro il movimento Fuerza Compromiso Social, guidato da Correa.

Il trionfo di Mohammed Irfaan Alí, del Partito Progressista del Popolo (PPP), come nuovo presidente della Guyana, dopo la sconfitta del candidato neoliberale.

La detenzione domiciliare di Álvaro Uribe, accusato di corruzione e frode procedurale.

– Il ritiro di una delle imputazioni contro l’ex Presidente Luiz Inácio Lula da Silva, mosse nel 2018 dall’allora giudice  federale Sergio Moro. Il portavoce del  Supremo Tribunale Federale del Brasil, Ricardo Lewandowski, ha considerato che Moro aveva avuto una chiara motivazione politica.

Washington osserva con preoccupazione questi indizi – sommati all’alleanza di Alberto Fernández con Andrés Manuel López Obrador – che contraddicono la logica delle corporations e la finanziarizzazione globale. Qualsiasi risorsa è buona (giuridica, mediatica, economico  e/o d’intelligence) per impedire la ricostruzione di un polo sovrano in America Latina e Caraibi.

Dipenderà dalle forze sociali subalterne e dai loro referenti politici elaborare strategie appropriate per aggirare o superare queste varie operazioni.

  • L’autore, Jorge Elbaum, è Sociologo, laureato in Scienze Economiche, giornalista per vari media, tra cui El Cohete a la Luna; analista senior del Centro Latinoamericano de Análisis Estratégico (CLAE, www.estrategia.la)

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