Giustamente presi dagli avvenimenti in Bielorussia e professionalmente impegnati a denunciare sia i “crimini dell’ultimo dittatore d’Europa”, sia gli intrighi di quegli “avvelenatori seriali” che, non a caso, dai sotterranei della Lubjanka, ispirano i “metodi fascisti” del primo, la maggior parte dei media, con invidiabile competenza, ha bucato – involontariamente, per carità! – il democratico assalto a un minibus di oppositori politici, il 26 agosto, con relative europeistiche bastonature dei medesimi, da parte di squadristi del “Corpo nazionale” e di “Azov”, sul civilissimo e occidentalissimo asse viario Kiev-Kharkov, nell’Ucraina finalmente tornata da sei anni in seno alla “famiglia europea”.
Due militanti della formazione “Patrioti per la vita”, che fa capo a Il’ja Kiva (nel 2014, uno dei dirigenti di “Pravyj sektor” e uomo di fiducia di Dmitro Jaroš; quindi comandante del battaglione nazista “Poltavščina” in Donbass; oggi deputato de “Piattaforma d’opposizione-Per la vita” di Jurij Bojko e Viktor Medvedčuk, considerata quasi filo-russa), inizialmente dati per uccisi dalle democratiche sprangate e dai calci europeisti degli assalitori, sono ricoverati in condizioni gravissime all’ospedale di Kharkov. Un’altra decina se l’è cavata con ferite meno gravi.
Forte dell’esperienza acquisita nell’incontro con l’italica Ministra Luciana Lamorgese, il Ministro degli interni golpista Arsen Avakov ha prontamente messo in pratica quanto convenuto a Roma il 5 agosto, cioè “valorizzare al massimo lo scambio di esperienze tra le forze di polizia” e ha così promesso “una dura reazione”: sia contro gli assalitori che contro gli assaliti.
Assaliti che, va detto, secondo alcune fonti, non sarebbero poi nemmeno loro delle sante persone: “Patrioti per la vita” è ritenuta ala militare di “Piattaforma per la vita”, ma con peculiarità tutte ucraine. Ma di ciò più avanti.
Dato il clamore suscitato in Ucraina dall’episodio, sembra che la polizia sia stata costretta a fermare 14 degli assalitori, mentre il presidente Vladimir Zelenskij ha biascicato che “importante è impedire il ritorno ai malvagi anni ’90”, come se, invece, le aggressioni e gli assassinii nazisti che si ripetono ormai da quasi sette anni nell’Ucraina majdanista siano la norma. Peraltro coperti da un Ministro degli interni (in carica ininterrottamente sin dalla presidenza a interim di Aleksandr Turčinov, subito dopo il golpe del febbraio 2014) che a suo tempo aveva anzi ufficializzato nella Guardia nazionale moltissimi ex banditi dei battaglioni neo-nazisti reduci dal Donbass.
Lungi da noi voler deprecare il buco dei media nostrani. D’altronde, nell’episodio non c’è nulla di eccezionale per l’Ucraina ”indipendente”; si tratta di quella quotidianità che, come diceva l’ex presidente Petro Porošenko, avvicina sempre più il paese “ai valori europei”. E se qua e là si trovano degli “autentici patrioti” che, sventolando le insegne col dente di lupo, il tridente o la croce uncinata, insegnano ai “separatisti” e ai “traditori della patria” quale sia la strada giusta per essere accolti nel consesso UE e NATO, l’Ucraina sorta da majdan non può che esser loro riconoscente.
D’altra parte, il politologo di Lugansk, Vladimir Karasëv, ipotizza che in fondo sia stato lo stesso leader di “Patrioti per la vita” – l’ex (?) nazista convertito sulla via di Bruxelles, Il’ja Kiva – su indicazione di Arsen Avakov, a organizzare l’incidente: “Il fedele scudiero del ministro, il deputato Il’ja Kiva, ha svolto il ruolo di boia dei propri militanti”, dato che gli stessi assalitori, “tutti della regione di Poltava, fanno capo a Kiva”. Come anche gli assaliti, originari però dell’area di Kharkov.
Dunque, Kiva ha accusato dell’attacco i suoi vecchi commilitoni di “Azov” e del “Corpo nazionale”, entrambe subordinate al Ministro degli interni e da quello finanziate. La domanda è: come mai Avakov aveva bisogno di una “pubblica fustigazione delle proprie organizzazioni?”.
Secondo Karasëv, circolano tre versioni: Zelenskij avrebbe promesso a Avakov di lasciarlo al proprio posto almeno fino alla primavera del 2021, in cambio di una soluzione del problema del “führer” Andrej Biletskij, primo leader di “Azov” e oggi a capo del “Corpo nazionale”.
Un’altra versione è che Avakov pensi di sostituire Biletskij con Kiva e i suoi “Patrioti per la vita”, tant’è che diversi squadristi di “Azov” e del “Corpo nazionale” stanno già affluendo verso Kiva.
Inoltre, Biletskij ha cominciato a mostrare un’eccessiva libertà d’azione, che può avere effetti dannosi per quanto stanno preparando Kličkò, Kolomoiskij e Avakov contro Zelenskij. Tra l’altro, Biletskij ha immediatamente dichiarato che i suoi uomini “sono estranei all’assalto”, ma che, in ogni caso, gli assalitori “meritano un riconoscimento di Stato”, per aver “contrastato le tendenze separatiste”.
Dunque, si diceva, il buco dei media nostrani è ben comprensibile e, in fin dei conti, non si tratta nemmeno di un vero e proprio buco: cos’è, in fondo, una “Nacht der langen Messer” – quasi incruenta – nella democratica e europeista Ucraina, in confronto alle “violenze degli Omon bielorussi” e del loro “conducator” contro “l’opposizione democratica”?
Tutti gli obiettivi sono oggi puntati su Minsk, ancora da conquistare, mentre Kiev è stata presa già sette anni fa e ora si tratta solo di “stabilizzare” la situazione, adeguandola alla cornice europeista, cercando di marginalizzare i settori più apertamente nazisti e ancora fuori controllo (salvo servirsene in certe occasioni, sia in casa che in Donbass, per “raddrizzare la schiena” agli irriducibili) e, per far questo, si pensa sia sufficiente “lo scambio di esperienze tra le forze di polizia”.
Cos’è, in fondo, quella resa dei conti tra SS e SA ucraine, in confronto alla puntualità svizzera dell’ennesimo “avvelenamento” ordito dal Cremlino per auto-accusarsi di voler far fuori un concorrente (al 2%) e un fiero portabandiera dell’opposizione bielorussa?
A proposito di puntualità, oltretutto, non si può dimenticare la coincidenza dell’effetto venefico con l’ennesimo rinfocolarsi, nello stesso periodo, della disputa Berlino-Washington a proposito dell’ultimazione del gasdotto “North stream-2” (ribadita da Angela Merkel anche lo scorso 28 agosto).
Inoltre, fa notare l’economista Mikhail Khazin, proprio dal 17 al 20 agosto si è svolto in USA il congresso del Partito Democratico, conclusosi con la nomina del duo Biden-Harris a candidati alla presidenza; uno dei cui punti principali è stato l’attacco alla Russia, che starebbe “tagliando le gambe” a Biden e sostenendo Trump.
Ora, si dà il caso che Naval’nyj fosse decollato da Tomsk la mattina del 20 agosto, cioè il 19 sera in USA: se, a conclusione del congresso democratico, fosse giunta la notizia che “Putin ha avvelenato il principale oppositore“, la platea, fino a quel momento abbastanza “smorta”, si sarebbe infiammata, forse controbilanciando l’aumentato rating di Donald Trump. Ma l’effetto, a quanto pare, non c’è stato.
A titolo di cronaca, poi, un vecchio compagno di accademia di Putin, l’ex agente del KGB dell’URSS, Jurij Švets, ipotizza addirittura un intrigo di alti funzionari del FSB, coperti dal segretario del Consiglio di sicurezza Nikolaj Patrušev, i quali, nel quadro di un “colpo di stato strisciante”, starebbero preparando proteste di massa in Russia sotto la propria guida e che, per questo, starebbero “eliminando persone potenzialmente pericolose fuori del loro controllo“. Dunque, Naval’nyj sarebbe stato avvelenato per guadagnare “qualche mese per completare il colpo di stato“.
Ma, ancora Khozin nota come “certe malelingue” ipotizzino che “l’avvelenamento” sia stata organizzato da gente che proprio non sa che ci sono aeroporti intermedi tra Tomsk e Mosca – a dirla tutta, a Naval’nyj, la vita gliel’hanno salvata i medici di Omsk, dove l’aereo ha effettuato un atterraggio d’emergenza – per cui contavano che Naval’nyj sarebbe morto in volo.
Che tempi! Nemmeno minime nozioni geografiche: proprio vero che il FSB non ha più nulla a che vedere col NKVD…
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