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La vittoria postuma di Snowden, ma non cambia nulla

Un classico esempio dello scarto esistente tra principio astratto di “legalità” e pratiche di governo.

Edward Snowden, ex analista della National Security Agency (Nsa) diventato famoso per aver denunciato i programmi di sorveglianza di massa di tutta la popolazione degli stati Uniti (e di gran parte dei paesi anche “alleati”), ha ottenuto da una corte d’appello Usa il riconoscimento di aver agito in difesa dei valori costituzionali.

La Corte ha infatti stabilito che il programma di schedatura delle telefonate era illegale, probabilmente incostituzionale. E che i responsabili delle varie agenzie di intelligence chiamati a testimoniare hanno metito su dimensioni, natura e scopi di quel programma.

Non avrei mai immaginato che sarei vissuto per vedere i nostri tribunali condannare le attività della Nsa come illegali e nella stessa sentenza vedermi attribuito il merito per averle rivelate“, il commento dello stesso Snowden su Twitter.

Va ricordato che dopo la sua fuga dagli Stati Uniti, prima ad Hong Kong e poi in Russia, Snowden è ufficialmente ricercato per “furto di proprietà del governo, comunicazione non autorizzata di informazioni della difesa nazionale e comunicazione volontaria di informazioni segrete con una persona non autorizzata”. In pratica di spionaggio a favore di non precisate potenze straniere.

Le rivelazioni di Snowden risalgono al 2013, quando ha consegnato e spiegato a diversi giornalisti (Glenn Greenwald, Laura Poitras, e Ewen MacAskill) una serie di documenti segretati sui programmi di intelligence, tra cui il programma di intercettazione telefonica tra Stati Uniti e Unione europea riguardante i metadati delle comunicazioni, il PRISM, Tempora e programmi di sorveglianza Internet.

Tutti programmi ancora attivi e, presumibilmente, implementati in questi sette anni (con le ovvie “correzioni” per tamponare le possibili falle aperte dalle rivelazioni).

Come ben spiegato dalla sua autobiografia, ed anche dal film che ne è stato tratto, Snowden non è affatto un critico del “sistema amerikano”, ma un “patriota” rimasto profondamente deluso dal modo concreto in cui il potere gestisce il rapporto con i cittadini Usa.

Da giovane di era infatti arruolato nelle Forze Speciali per andare a combattere in Iraq, dove non arrivò solo per un incidente in cui si ruppe le gambe.

Subito dopo si arruolò nella Cia, ma se ne andò presto perché scioccato da quel che vi aveva visto. Da provetto informatico trovò lavoro alla Dell e poi ad una società di consulenza tecnica della Nsa.

Insomma, era d’accordissimo con la necessità di “difendere il suo Paese” anche ricorrendo a mezzi “poco trasparenti”. Ma non pensava che tra i potenziali nemici fossero considerati anche decine di milioni di cittadini di quel Paese. In un crescendo di pratiche invasive che va ben oltre quelle, non certo tenere, dell’Fbi di Edgar Hoover.

Dalla sua biografia e dal film si può apprendere molto sulle tecniche di spionaggio individuale tramite i cellulari e i pc, fino all’uso da remoto di registratori e telecamere installate su quei device che tutti portiamo in tasca.

In Russia, Snowden è protetto da un permesso solo temporaneo per asilo politico e in molti scommettevano che Putin lo avrebbe restituito agli Usa dopo la prima vittoria di Donald Trump, dando molto credito alle accuse secondo cui Mosca avrebbe favorito la sua elezione. Ma non è avvenuto.

Per la vita concreta dell’ex agente non cambia molto, ora. La sentenza infatti stabilisce solo l’illegalità del programma di spionaggio Nsa (che sarà probabilmente mantenuto sotto altre forme e protocolli) e la falsità delle dichiarazioni dei vertici dell’intelligence.

Ma non c’è dubbio che se Snowden rientrasse negli Usa verrebbe, se non arrestato, quantomeno “tacitato” in modo drastico. Anche alla Cia sanno preparare caffè molto indigesti…

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