La notizia va presa con prudenza, perché la fonte – Asia Times Financial (ATF) – è una testata di Hong Kong “non allineata”, diciamo, col governo di Pechino. Ma è considerata attendibile in diversi giornali economici di tutto il mondo.
In ogni caso, come si suol dire, “le nostre fonti in Cina” confermano pienamente, dunque è vera.
Sapete che “a sinistra” c’è da decenni una discussione sulla “natura” della Cina post-MaoZedong. C’è chi la considera un paese “capitalista” senza se e senza ma, e chi la vede comunque come un “paese socialista”, altrettanto senza dubbi.
Il Partito Comunista Cinese (Pcc), a suo tempo (da Deng in poi), ha spiegato la sua violenta apertura alle imprese private come una “necessità” per far sviluppare velocemente le forze produttive del Paese, mantenendo però sempre un fortissimo settore pubblico e soprattutto un orientamento strategico generale che anche le imprese private dovevano rispettare.
Una scommessa – quella di arrivare a un livello di sviluppo tale da consentire la generalizzazione del benessere, ossia una certa forma di “socialismo”, attraverso un utilizzo “temporaneo” dei rapporti di produzione capitalistici – che è certamente riuscita dal lato della crescita economica, ma solleva infiniti dubbi su chi abbia davvero la prevalenza dentro quel modello di sviluppo: l’interesse pubblico o il profitto privato?
Le notizie che arrivano dalla Cina in questi giorni vanno perciò inquadrate in un processo storico di lungo periodo (almeno quattro decenni), che sicuramente non è arrivato ancora ad un punto di svolta definitivo.
E allora, cosa mai ci dirà l’Asia Times Financial di così interessante per quella discussione?
In sintesi: “Il Presidente [Xi Jinping, ndT] impartisce ‘importanti istruzioni’ a tutte le regioni per aumentare il controllo del partito sull’impresa privata e ringiovanire la nazione; tutte le aziende avranno bisogno di dipendenti del partito per aumentare il rispetto della legge e gli standard morali.”
Come tutte le decisioni strategiche, specie quelle cinesi, non si tratta di un atto istantaneo, ma di un “piano di lunga durata” in vista di questo obbiettivo.
“Il presidente cinese Xi Jinping e il Comitato centrale del Partito comunista hanno delineato un piano per una ‘nuova era’ in cui il partito ha un migliore controllo sugli affari privati in Cina.”
Il tutto compreso in un documento ufficiale relativamente breve dal titolo “Opinione sul rafforzamento del lavoro del Fronte unito dell’economia privata nella nuova era“.
Prima considerazione semplice: se si punta ad un “fronte unito” non c’è, o non c’è più, alcun laissez faire per le imprese. Mentre, per esempio in Italia, Confindustria pretende il monopolio assoluto di tutte le attività economiche (con le imprese private che prima o poi vendono o delocalizzano), in Cina si va in direzione di una “economia mista”, in cui i due ambiti coesistono ma sono sottoposti a programmazione pubblica. Ossia politica.
Come riferisce l’ATF, la dichiarazione cerca di migliorare il controllo del PCC sull’impresa privata e sugli imprenditori “per concentrare meglio la saggezza e il rafforzamento degli imprenditori privati sull’obiettivo e la missione di realizzare il grande ringiovanimento della nazione cinese“.
Altro che “responsabilità sociale dell’impresa” – qui in Occidente ormai frase retorica senza contenuti riscontrabili nella realtà.
Definire un obbiettivo, però, non è mai sufficiente. E dunque Xi si occupa di delineare anche strumenti e passaggi indispensabili per raggiungerlo.
Nel complesso, il piano si articola in più di 100 misure, compresa una guida sulla selezione del personale per la loro attuazione.
“Dobbiamo anche vedere che il’ socialismo con caratteristiche cinesi’ è entrato in una nuova era, [come] la scala dell’economia privata ha continuato ad espandersi, i rischi e le sfide sono aumentati significativamente, i valori e gli interessi dell’economia privata sono diventati sempre più diversificati, e il lavoro del fronte unito dell’economia privata sta affrontando nuove situazioni e compiti“.
La retorica ufficiale cinese è molto diversa dalla nostra, e non sempre risulta chiara nei suoi contenuti pratici. Ma qui si dice che – per il Pcc – una lunga fase di “equilibrio” tra impresa pubblica, programmazione economica e impresa privata (qualcosa di simile, ma più avanzato, rispetto al periodo dell’economia mista italiana, con l’Iri e le banche di interesse pubblico) è definitivamente chiusa. E si lavora per passare alla successiva.
Come? Con “il rafforzamento della leadership del partito rispetto all’economia privata – le figure economiche private devono essere più strettamente unite intorno al partito“. Si può ancora ricercare il profitto privato di impresa, ma dentro la cornice degli obbiettivi definiti dalla leadership politica, che agisce secondo un piano che tiene presenti gli interessi generali, non solo – o primariamente – quelli dell’impresa.
L’ATF se ne preoccupa, ovviamente. “Secondo le nuove disposizioni, le imprese private avranno bisogno di un certo numero di dipendenti iscritti al Pcc, che è già una pratica a lungo termine nelle grandi imprese private, ma non in quelle più piccole.”
Questi quadri faranno in modo che le imprese seguano le indicazioni politiche, “Guidati dal pensiero di Xi Jinping sul ‘socialismo con caratteristiche cinesi’ per una nuova era”.
E non si tratta di quattro chiacchiere sull’ideologia o sulla “moralità” (anche in Cina la corruzione è un problema, affrontato spesso in modo drastico). “I doveri dei quadri comprenderanno il compito di rafforzare la guida ideologica, guidare le figure economiche private ad accrescere la loro consapevolezza dell’autodisciplina, costruire una forte linea di difesa ideologica e morale, regolare rigorosamente le proprie parole e le proprie azioni, coltivare uno stile di vita sano e creare una buona immagine pubblica.”
Il legame che si viene a creare è operativo: “saranno istituiti canali di comunicazione tra le imprese private e il partito per riferire sui progressi e su altre questioni.”
L’obiezione è ovvia: ma come faranno con tutte quelle imprese e multinazionali occidentali che in questi decenni hanno investito in Cina?
Un altro articolo, proprio di oggi, riferisce di quella che potrebbe apparire già ora un dispositivo protettivo per gli interessi cinesi.
“Il Ministero del Commercio cinese ha emesso un avviso sui regolamenti relativi a una lista nera del governo di entità straniere ‘inaffidabili’.” L’annuncio di una “lista nera” presumibilmente speculare a quella già stilata negli Usa, a corollario della guerra contro Huawei e altre società.
Ma si tratta anche di una lista vuota, senza alcun nome.
Finora.
Dunque è un messaggio, ma anche uno strumento pronto per l’uso.
Nell’interpretazione di Liao Shiping, un professore dell’Università Normale di Pechino, “l’istituzione della lista di entità inaffidabili non cambierà la politica di apertura del Paese, né cercherà di sopprimere gli investimenti stranieri. Gli investitori stranieri potrebbero essere certi di mettere soldi in Cina, ha detto Liao, ma dovranno stare attenta a non oltrepassare le ‘linee rosse’ stabilite dal Ministero del Commercio.”
Altro che multinazionali che arrivano attirate da una legislazione fiscale di favore, libertà d’azione con i dipendenti, finanziamenti pubblici e opere infrastrutturali a corredo, senza prevedere nemmeno ipotesi di esproprio in caso – molto frequente, vedasi Whirlpool, Embraco, ecc – di chiusura degli stabilimenti e fuga altrove!
Il quadro è insomma complesso, con moltissime luci e altrettante ombre. Guai a tagliare l’analisi con l’accetta dell’ideologia. Non capiremmo più nulla e ripiomberemmo nel “pensiero bipolare” (“viva!”, “abbasso!”). In senso psichiatrico…
Il testo completo del “piano”: Ufficio-Generale-CC-PCC
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Aldo S.
Ah adesso c’è anche il “pensiero di Xi Jinping”. A quando il pensiero della classe operaia? A quando, dopo una “Dittatura del Partito” da 70 anni a questa parte? Avete spesso detto “se non capisci bene fai una analisi di classe”. E fatela per dio!!
Redazione Contropiano
E’ dura dare notizie e cercare di valutarle alla luce dell’analisi di classe. Quando lo fai, non ti stanno nemmeno a sentire. Come in questo caso… C’è sempre uno col ditino per aria che dice “non è abbastanza simile alla mia”…
Vinicio Dolfi
Vabbè, più che chi controlla le imprese, sarebbe utile vedere come vivono le persone. Se nella vita quotidiana devono affrontare problemi su come sbarcare il lunario, pagare l’affitto o il mutuo, il caro-vita, le spese sanitarie eccetera. Cioè, quali concreti diritti economico-sociali e lavorativi ci sono in Cina?
Aldo S.
Beh certo non può capitare con Deng o con Xi: là il ditino possono alzarlo solo loro. Statemi bene compagni.
Masha
Magari citare le fonti da cui si traggono i virgolettati sarebbe onesto (così come tradurre bene dall’inglese….). Senza questo è un pasticcio giornalistico e un ottimo “servizietto” all’informazione mainstream
marco
un aumento imposto degli stipendi del 13% e una detassazione quasi totale ai lavoratori salariati, un contratto del lavoro nazionale articolato più di quello che avevamo noi pre 95 (cioè pre-pacchetto treu)…. basta o devo continuare?
basterebbe fare uno sforzo con il dizionario alla mano e leggersi il global times per ricavare moltissime notizie che qui vengono “oscurate” dal nostro minculpop “liberale”
Davide Cannata
Guarda, davvero in Cina si vive molto meno male di quanto cercano di insegnarci. SI tratta ormai di un paese estremamente avanzato tecnologicamente, in cui scuole e ospedali sono pubblici e funzionano bene e una casa e’ garantita. I diritti sul lavoro sono ancora leggermente inferiori che da noi, ma il trend e’ inverso, ovvero i diritti dei lavoratori e i loro stipendi medi si stanno innalzando anno dopo anno. Nei lavori da classe media, questi sono assolutamente i nostri standard. Se si aggiunge una analisi storica si vede che in effetti, da Deng in poi, la qualita’ della vita in Cina e’ cresciuta in livello esponenziale.
Questo vuol dre che la Cina e’ il apese del bentegodi? Assolutamente no. E’ un paese affollato, in alcune aree ancora povero, e con una leadership estremamente autoritaria. Lo stato e’ presente, ma anche ingombrante. Da un punto di vista clturale, soprattutto nelle fascie meno colte della popolazione, ma non solo, c’e’ tanto pregiudizio (ad esempio sugli omosessuali o le donne troppo autosufficienti) e tanta superstizione (i templi, sebbene non ci sia una religione, sono ricchissimi). I problemi relativi alla mancanza di liberta’, naturalmente, sono soprattutto sentiti dalle classi medie colte e da alcune minoranze discriminate (come gli Ughyur) o in con complessi lasciti identitari (Hong Kong).
giorgino
le critiche sulla vostra analisi della Cina le liquidate dicendo ” le cose sono complesse”, ma le vostre valutazioni non sempre sono frutto di analisi approfondite, però fate passi avanti, finora eravate appiattiti sulla espressione (made in prc) “capitalismo con caratteristiche cinesi”, adesso avete problematizzato lo slogan ed in maniera non soltanto formale
Redazione Contropiano
Sulla Cina, da parecchi anni, facciamo presente di non aver affatto “esaurito l’analisi”, al contrario di altri (“viva!”, “abbasso!”). Invidiamo chi ha capito tutto e sta sul suo scoglio a maledire il mondo…
Vinicio Dolfi
Magari, sarebbe interessante un aspetto: è il paese più tecnologicamente avanzato, in particolare nell’innovazione digitale che ha un forte impatto sulla struttura economica. Il tasso di disoccupazione è basso, 3,9%, e il governo si propone di abbassarlo ancora; nello stesso tempo si propone di accelerare ancora l’innovazione tecnologica, questa volta associandola ad una inversione di rotta sul grave problema ecologico. Ecco, come fanno a far quadrare tutto questo? Qui da noi, in Occidente, l’innovazione tecnologica è un incubo che sta spalancando abissi di disoccupazione.
Pare che in Cina questo non accadrà. Perchè? Per la differenza di società?