Ha destato molto scalpore la recente proposta di legge voluta da Macron di vietare “certificati di verginità” e sanzionare i ginecologi che li rilasciano. Si tratta di una pratica molto minoritaria in Francia, ma che viene ancora oggi praticata soprattutto dai membri più tradizionalisti della religione mussulmana in varie parti del Paese.
Questi certificati sono ovviamente privi di qualunque valore, anche scientifico, ma alcune donne sono costrette a “dimostrare di essere vergini” per essere accettate dal futuro marito. Pur essendo una pratica svilente e sessista, l’opposizione di molti ginecologi a questa legge solleva un punto importante: in un mondo ideale, dicono i medici, ci si rifiuterebbe di rilasciare questi certificati perché si tratta di una pratica che lede la libertà, la privacy e l’autodeterminazione delle donne, contro il dominio e il controllo maschile.
Ma nella realtà dei fatti le visite in cui le donne chiedono questi tipi di certificato sono dei momenti importanti per ascoltarle, per aiutarle a prendere coscienza e liberarsi dal giogo familiare e, in fin dei conti, quel certificato diventa l’unico strumento per far sì che non subiscano ulteriori pressioni e molestie, e a volte salva loro anche la vita.
Una legge che vietasse questi certificati e che punisse i medici che li rilasciano non risolverebbe quindi la situazione; anzi, getterebbe queste donne, già vulnerabili e minacciate, nel vortice di esami informali con rischi e abusi connessi.
La legge del resto non si è quasi mai dimostrata un dispositivo di emancipazione, per esempio nel caso del divieto del velo: esso non ha fatto altro che determinare uno scivolamento ai margini e una progressiva fuoriuscita delle donne mussulmane dalla scena pubblica francese.
L’indignazione legittima contro i certificati di verginità solleva quindi un problema sociale che sta alla base della società francese, ancora profondamente legata all’ideologia dell’assimiliation coloniale, e rivela come questa proposta di legge sia solo una strumentalizzazione definibile come pinkwashing, che si inserisce nel solco della deriva securitaria e antipopolare francese.
Questa norma, proposta da Marlene Schiappa, ex ministra per le pari opportunità e, dopo il rimpasto estivo, con delega alla cittadinanza, riapparsa al fianco del ministro dell’interno Darmanin (su cui pende un’accusa di stupro), si inserisce in un progetto di legge “contro il separatismo”, proposta contro i “selvaggi” che mirano alla “distruzione della repubblica“, della sua identità e dei suoi valori, quali appunto la laicità e la parità fra i generi.
Questa legge, con l’obbiettivo di ridurre a zero l’impunità, permetterebbe di chiudere con più facilità i luoghi in cui si fa propaganda fondamentalista contro la Repubblica, di sciogliere e togliere i contributi alle associazioni che non si allineano ai valori dello stato francese, e poter addirittura chiudere i luoghi di culto.
Si tratta di una legge securitaria che viene difesa come “progressista”, necessaria e improcrastinabile dando una lettura falsata delle statistiche sul crimine, le quali sono perfettamente in linea con lo stesso periodo del 2018-2019, ma indicano un aumento tra l’estate e i mesi precedenti, derivato semplicemente dall’allentamento del lockdown.
La deriva securitaria francese non inizia con questa legge: nel 2017 lo stato di emergenza fu prolungato oltremodo, gli enormi finanziamenti alle forze di polizia e migliaia di nuove assunzioni, la possibilità di espellere i colpevoli di violenza sessuale, le multe per il consumo di droga ecc.
Dall’altro lato, però, si tratta di una legge che criminalizza la comunità araba e musulmana, all’indomani di un lockdown che sta vedendo un lento acuirsi delle tensioni sociali soprattutto tra le classi popolari.
Il fondamentalismo di cui vorrebbe liberarsi Macron si radica in quelle classi popolari, abbandonate a se stesse, ghettizzate, iper-sfruttate e relegate ai margini, ma il vero separatismo è quello che ha fatto sì che i ghetti nascessero, che vi sia una segregazione di classe nelle scuole private e un diverso (nullo in alcuni casi) accesso ai servizi.
Lo stato francese è in difficoltà, è indebolito dalla sua gestione della crisi sanitaria e della crisi economica, così distoglie l’attenzione parlando di sicurezza e lo fa riprendendo i temi della destra fascista: Marine Le Pen ha definito Black Lives Matter una “guerra civile fredda”, e recentemente il portavoce governativo Gabriel Attal ha definito le nuove leggi contro il separatismo “lo strumento giusto per scongiurare una guerra civile”.
Audre Lorde ammoniva: “non si distrugge la casa del padrone con gli strumenti del padrone” e non sarà una legge a porre fine alla violenza sistemica sulle donne, alle pratiche sessiste dei certificati di verginità; le donne che vivono condizioni di oppressione non saranno liberate da politici liberali bianchi che strumentalizzano la violenza di genere per stigmatizzare complessivamente le comunità immigrate.
La libertà e l’autodeterminazione delle donne migranti e proletarie si raggiunge garantendo servizi pubblici, piena occupazione, politiche abitative, consultori, parità di salario, educazione e istruzione accessibili, finanziando i centri antiviolenza e investendo sulla pianificazione familiare, strappandole a un’esistenza precaria e liberandole dalla violenza di genere, economica e razzista.
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