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Francia: il fronte repubblicano ha tenuto, l’Assemblea Nazionale senza maggioranza

Gli scenari dopo il primo turno

Domenica si è votato in Francia per il secondo turno delle elezioni politiche anticipate, dovute allo scioglimento dell’Assemblea Nazionale da parte del Presidente Macron in seguito al risultato delle elezioni europee del 9 giugno.

Al primo turno erano già stati eletti 76 deputati nelle 577 circoscrizioni di cui si compone la Francia: “Esagono”, Corsica, francesi residenti all’estero e territori d’oltremare (Dom-Tom) che hanno votato sabato.

Sabato, si è votato nelle circoscrizioni ancora da attribuire dei Dom-Tom: 4 in Guadalupe, 4 in Martinica, 2 in Guyana, 2 in Nuova Caledonia, 2 tra le isole caraibiche francesi e l’arcipelago dei possedimenti in Nord America a sud dell’isola canadese di Newfoundland.

Il dato più rilevante di questo gruppo di circoscrizioni dei Dom-Tom è stato senz’altro l’elezione inedita dell’indipendentista kanak Emmanuel Tjibaou, padre dell’ex leader indipendentista Jean-Marie e fratello di Joël attualmente sotto inchiesta ed incarcerati a Nouméa per le supposte attività nell’insurrezione popolare – ancora in corso – nell’arcipelago del Pacifico.

Dei 76 già eletti al primo turno, 39 sono dell’alleanza imperniata sul Rassemblement Nationale, che ha conquistato più voti al primo turno, 31 del Nuovo Fronte Popolare (NFP) composto da tutta la sinistra, compresa l’ala radicale de La France Insoumise.

Considerate le rinunce a presentarsi al secondo turno di una parte dei candidati che avrebbero avuto la possibilità di partecipare al ballottaggio, sono stati 406 i duelli tra l’alleanza di estrema destra ed il cosiddetto “fronte repubblicano”, cioè sostanzialmente i candidati di una parte del campo presidenziale più quelli del NFP.

Solo 89 sono state le “sfide a tre” dove a concorrere tendenzialmente  erano un rappresentante dell’estrema-destra, un candidato del NFP giunto secondo al primo turno, e un esponente del campo presidenziale che non ha “desistito” (sono 16 i casi), o un gollista, considerando che in un solo caso vi è stato in cui un candidato dei LR che ha fatto propria la scelta di mantenere il “cordone sanitario” nei confronti dell’estrema destra, ritirandosi.

Insomma il comportamento di una parte della coalizione Ensemble, più la strategia del “ni ni” di LR, ha avvantaggiato ulteriormente l’estrema destra che sembrava avere il vento in poppa e si presentava alle porte del potere, e che sarebbe stata pronta a governare in caso di la maggioranza assoluta (289) o ci si fosse avvicinata di molto, vincendo almeno 250 delle circoscrizioni da assegnare, cioè la metà circa di quelle da attribuire.

Ma così non è stato e l’estrema destra ha perso in circa 4 circoscrizioni su 5 in cui sfidava il “fronte repubblicano”, nonostante fosse risultata in testa in 297 circoscrizioni, il Nuovo Fronte Popolare in 159, il campo presidenziale in 70, ed i gollisti in una ventina. Nelle restanti circoscrizioni bisogna segnalare che la destra e l’estrema destra differenti dal campo imperniato sulla Le Pen, erano giunti primi in una decina di casi, mentre in una dozzina di casi la sinistra non afferente al NFP era risultata prima.

L’imperativo categorico per il variegato “popolo della sinistra” che oltrepassa i perimetri del corpo di attivisti delle formazioni politiche che lo compongono, è stato quello di impedire l’ascensione al potere di Bardella e Le Pen, ostacolando il completamento di quel quel lungo processo di normalizzazione che dai margini della vita politica li ha portati ad essere al centro della scena.

La sinistra – da quella moderata a quella radicale – ha mobilitato tutto quello che poteva mettere in campo, ed è significativo che una parte del mondo sindacale (a cominciare dalla CGT, ma anche al più moderata CFDT ) ha dato indicazione di voto per il NFP al primo turno e che l’ha dato per il “fronte repubblicano” al secondo.

Ad onore del vero la CFDT al secondo turno sé espressa per battere il RN, senza dare una indicazione di voto precisa.

Così com’è stato significativo che tutta la galassia di attivisti di base della muovence del mondo ecologista radicale, femminista ed antifascista abbia attivamente partecipato al boicottaggio dell’estrema destra, risoluti a non volere trovarsi un governo di estrema-destra erede di un gruppuscolo fondato a metà Anni Settanta da nostalgici del collaborazionismo flio-nazista di Vichy e del colonialismo francese in Algeria.

Il liberalismo ha spianto la strada all’estrema destra

Infatti, se e la tattica politica si è affinata e la sua narrazione si è fatta (solo ufficialmente) meno grezza, i temi principali della formazione – fortemente influenzati dai filosofi (!) della Nuova Destra – sono rimasti gli stessi, ed anzi sono diventati prioritari nella discussione dell’agenda politica liberale: la lotta all’immigrazione e la politica identitaria.

Insomma è stato il liberalismo che ha spianato la strada alla feconda corrente neo-fascista francese dal punto di vista culturale, ma anche dal punto di vista sociale considerato che la gestione neo-liberale ha aumentato, anziché mitigare, le diseguaglianze sociali, la desertificazione del welfare, la frattura tra città e ruralità, e Francia “peri-urbana”.

Lo stesso liberalismo ha avuto la mano durissima contro i movimenti sociali in un contesto in cui le politiche di “riforme al contrario” in campo economico si sposavano con un svuotamento del processo democratico decisionale, determinando un humus ancora più favorevole per un partito – come il RN – che fa perno sui principi di “legge ed ordine” con una forte base elettorale tra i ranghi delle forze dell’odine e costituzionalmente propenso alla torsione autoritaria.

La sinistra tutta, non da ora, ha avuto grande difficoltà a penetrare in quei territori non-urbani marcati dall’accumulo di contraddizioni dovute ad un modello di sviluppo che ha cristallizzato il gap di ricchezza, servizi e possibilità tra alcuni centri metropolitani rilevanti – Parigi in testa, ma in generali le maggiori città francesi – e la Francia profonda segnata dal malessere delle ruralità, dei territori de-industrializzati e delle città satellite minori desertificate dal punto di vista dei servizi minimi essenziali.

Uno dei fattori chiave di questo secondo turno è stata la partecipazione al 66,6%, al voto simile a quella inedita con il 67,5% al primo turno del 30 giugno e di molto superiore a quella delle europee del 9 giugno.

Era impossibile fare previsioni certe, ma era chiaro che si sarebbe aperto – com’è avvenuto – un contesto di “instabilità permanente” per gli scenari che si intravedevano o per l’incapacità di dotare la Francia di un assetto politico che ne permetta la governabilità – si era paventata l’ipotesi di un governo tecnico “alla Draghi” – e/o per le dinamiche di piazza che si sarebbero innescate a seguito di un successo – solo in parte successo – del RN, con il governo uscente  che ha predisposto una massiccia presenza di forze dell’ordine mobilitate nella lunga notte elettorale, con 30 mila uomini.

É chiaro che la crisi politica francese che è maturata in tutti questi anni incomincia ad assumere uno status in cui si aprono incognite dagli sbocchi quanto mai incerti con un presidente che ha già dimostrato la sua capacità di piromane.

Dagli exit pool ai risultati definitivi

Già dalla chiusura dei seggi alle 20 dai primi exit pool il risultato finale appariva definito con un successo del Nuovo Fronte Popolare (con una forchetta che gli attribuiva dai 177 ai 192 seggi), seguito da Ensemble (dai 152 ai 158 seggi), e RN terza a cavallo tra i 140 deputati, ed i gollisti tra i 63 ed il 67 eletti stando ai dati IPSO delle dieci e mezza di sera, in cui erano state scrutinate 524 circoscrizioni su 577.

I risultati finali confermano in parte le proiezioni: il NFP (composto da LFI, PCF, PS e “verdi”) ottiene 182 seggi, Ensemble (Renaissance, Horizons, MoDem) 168, il RN e alleati 143, 45 i gollisti di LR, e 39 divisi tra gruppi minori.

RN dovrà aspettare ancora per vedere “schiudersi” le porte del potere ma è il primo partito in Francia, ma non è affatto chiaro che maggioranza potrà essere composta, considerando che la soglia dei 289 deputati è lontana da essere stata raggiunta e che Macron ha dichiarato che non governerà mai con la LFI, che è una componente maggioritaria e fondamentale nel NFP. É da segnalare che alcune figure “di punta” come Clementine Autain e François Ruffin, hanno annunciato che non siederanno più tra i banchi di LFI all’Assemblea Nazionale.

Marine Le Pen ha dichiarato che la vittoria non è che “differita”. “La marea monta (…) Ho troppa esperienza per essere scoraggiata da un risultato in cui duplichiamo il nostro numero di deputati” ha affermato laconicamente con i risultati finali che li vedono passare da 89 a 143 deputati, cioè 54 in più.

Il “cordone sanitario” nei suoi confronti, anche se ha scricchiolato, tiene soprattutto grazie alla scelta degli elettori ed alla parte più sinceramente antifascista del quadro della rappresentanza politica.

Cosa succederà?

Vediamo i prossimi passaggi.

Il fatto che il governo si dimetta dopo le elezioni legislative è una convenzione, quindi non ci sarebbero tempistiche prefissate per le dimissioni del governo del primo ministro Gabriel Attal – domenica notte –  ha dichiarato che l’avrebbe fatto lunedì mattina.

Non ci sono tempistiche prefissate nemmeno per la formazione di un nuovo governo che la prassi vuole affidata alla formazione che ha ottenuto più voti dentro la coalizione vincitrice, in questo caso il NFP come auspicato da Jean-Luc Mélenchon de LFI che ottiene una trentina di deputati in più rispetto al 2022.

Nell’interregno nessun testo può essere approvato, bloccando di fatto i lavori parlamentari.

La nuova Assemblea Nazionale deve insediarsi il 18 luglio, cioè il secondo giovedì dopo le elezioni, secondo l’articolo 12 della Costituzione francese.

Non è necessaria la maggioranza all’Assemblea Nazionale dopo le elezioni politiche, in qual caso un governo di minoranza che resista al voto delle mozioni di sfiducia può continuare ad esistere com’è avvenuto con il primo e secondo governo del secondo mandato presidenziale di Macron, il cui campo aveva ottenuto appena 246 seggi sui 289 necessari con la maggioranza relativa, appoggiandosi prevalentemente al voto favorevole dei gollisti per fare passare le leggi e talvolta al RN, e bypassando il voto parlamentare su scelte strategiche grazie all’uso del famigerato articolo costituzionale 49.3.

L’articolo 12 della Costituzione francese prevede che non ci possa essere dissoluzione dell’Assemblea Nazionale “nell’anno che segue l’elezioni” e quindi la formazione del nuovo parlamento rimarrà tale fino all’estate del 2025 e da questa dovrà scaturire un esecutivo sorretto da una maggioranza anche relativa.

È chiaro che il mantenimento della pressione popolare avrà un peso così come le indicazioni che verranno “dal voto dei mercati” e dai ruoli apicali dell’Unione Europea e dalla NATO.

Dopo la sconfitta del campo presidenziale – che aveva raggiunto circa il 20% al primo turno e che deve il suo risultato al ballottaggio alla “desistenza” del NFP – si è assistito alla sconfitta (parziale) del RN, che ha aumentato fortemente i suoi deputati rispetto ad appena due anni fa e ad un incremento della sinistra unita che progredisce rispetto alle ultime politiche ma è lontana dall’avere i numeri per governare.

Gli scenari che si aprono, quindi, sono più che mai incerti.

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5 Commenti


  • Felice Di Maro

    In finale quest’articolo non mi convince. Il fatto che “RN,” abbia “aumentato fortemente i suoi deputati rispetto ad appena due anni fa” non è una ragione prioritaria per non fare un governo di sinistra in Francia, certo Nfp non ha i numeri per governare per tutta la legislatura, ma con i suoi 182 deputati su 577, è la prima formazione e con le leggi francesi, ben richiamate in quest’articolo, può formare un governo e governare e ovviamente finché riesce anche a fare alleanze, sia chiaro, in parlamento. Umilmente, secondo me, il problema è Macron e i liberali che politicamente non sono credibili e quindi non sono affidabili. Le formazioni dell’Nfp, però sono alquanto variegate e non politicamente improvvisate e quindi potrebbero gestire un governo di sinistra fortemente voluto dagli elettori, i quali debbono continuare ad essere attivi come hanno fatto nella trascorsa settimana.


  • Pasquale

    I francesi, nei momenti bui, ricordano che sono anche figli della Rivoluzione. In Italia abbiamo dimenticato che veniamo dalla Resistenza.


  • Miriam

    Beh, beh…non del tutto d’accordo con la conclusione che apre a scenari “più che mai incerti”.

    Almeno due capisaldi sono più che certi, anzi direi granitici, grazie al programma del NFP:

    1) condanna di Hamas quale gruppo terrorista; con l’interessante precisazione “dont nous rejetons le projet théocratique”, evidentemente in contrapposizione al laicissimo stato israeliano, che si vale dell’esercito “più morale del mondo”. Naturalmente per confondere un po’ gli allocchi si condanna “l’islamofobia”, dimenticando che il genocidio è diretto contro i Palestinesi, non contro gl’islamici in genere, così si evita la condanna al problema vero: il sionismo.
    2) sostegno incondizionato con relativo invio di armi all’Ucraina contro l’aggressore russo.

    A saldare il sostegno a nazisionisti e naziucraini, nientepopodimeno che il candidato NFP Raphaël Glucksmann, ebreo sionista e esperto di rivoluzioni colorate con pratica in terra Georgiana.

    Niente male come sinistra.


  • Gina

    Ma non avete un altro ”esperto” più esperto oltre al solito estensore di queste ?

    Grazie


  • Oigroig

    «Je fais la différence entre les adversaires politiques et les ennemis de la République», lo ha detto una del partito di Macron! Quando mai in Italia un esponente di sinistra ha detto che questa destra è «nemica della repubblica»? Io non l’ho sentito, siamo tuttə troppo occupatə a spaccare il capello in quattro. Senza una crescita della coscienza sociale, non ci può essere né cambiamento né rivoluzione.

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