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“Cosa sarebbe accaduto all’Italia con il bloqueo applicato in Venezuela?”

Intervista esclusiva a William Castillo

William Castillo, giornalista esperto in comunicazione internazionale, è stato nominato viceministro delle Politiche Anti-bloqueo, passando dal ministero degli Esteri a quello delle Finanze, diretto dalla vicepresidenta esecutiva, Delcy Rodriguez. Gli abbiamo chiesto di parlarci di questa nuova funzione nel pieno delle accese discussioni suscitate dalla Legge Anti-bloqueo, proposta dal presidente Maduro.

Qual è il tuo compito ora nella rivoluzione?

Sto coordinando il viceministero per le Politiche Antibloqueo, ascritto al ministero di Finanza e Economia. Una struttura nuova che è parte di una riforma strutturale decisa dal presidente Nicolas Maduro e dalla vicepresidenta Delcy Rodriguez, nonché ministra di Finanza, per adeguare la struttura ai nuovi tempi.

Analizzando la realtà del bloqueo, che riguarda il Venezuela da 5 anni, ma che Cuba soffre da 60 anni, e l’Iran da 41, vediamo che si tratta di politiche prolungate e che gli Stati colpiti devono prepararsi ad affrontarle adeguatamente.

In questa fase, il mio compito è quello di impostare il lavoro, creare un sistema di registro sull’impatto delle sanzioni, un osservatorio permanente anche all’interno della legge anti-bloqueo proposta dal presidente nell’ambito di uno sforzo di modernizzazione dello Stato, assolutamente necessario per affrontare le misure coercitive unilaterali che ci vengono imposte.

Una riforma che riguarderà tutte le strutture economiche dell’impresa pubblica per adattarle alla realtà del bloqueo: per far sì che PDVSA possa vendere il nostro petrolio, perché la moneta Petro si posizioni definitivamente nelle transazioni internazionali…

Occorre, infatti, ricordare che l’amministrazione nordamericana ha emesso un ordine esecutivo contro il Petro e contro la vendita del nostro oro, ne ha emessi due contro PDVSA. Dunque, basandosi sull’esperienza di Cuba, Iran, Cina, che hanno affrontato anche in forma legale, politica, strutturale il bloqueo, l’esecutivo si adatta e si modernizza, e il ministero della Finanza si attrezza per dare questo salto di qualità nella gestione pubblica.

L’obiettivo è quello di produrre i necessari cambiamenti interni della nostra economia, della nostra forma di funzionamento, della nostra struttura giuridica: per proteggere gli attivi e le imprese all’estero, per ottenere risorse da investire nelle politiche di protezione sociale, e per ripristinare il potere d’acquisto dei salari, che sono stati duramente colpiti dagli effetti del bloqueo.

Qual è, in sintesi, la tua analisi della congiuntura in cui si trova il Venezuela?

Dal punto di vista economico, la situazione del paese è al limite. Come ha detto il presidente, negli ultimi 5 anni abbiamo avuto una caduta delle entrate del 99%. Questo significa che siamo passati da 100 dollari nel 2014 a meno di un dollaro fino al settembre scorso, ossia che se prima ci entravano 56.000 milioni di dollari ora ne entrano 477 milioni. Per questo non possiamo aumentare adeguatamente i salari, dinamizzare l’economia, incrementare la domanda per la crescita economica.

La Banca centrale non ha le risorse per condurre una politica monetaria e intervenire nel mercato delle divise per evitare gli eccessi del tipo di cambio, come fanno tutti i paesi.

Occorrerebbe domandarsi che cosa sarebbe accaduto in un paese europeo che avesse perso 30.000 milioni di dollari l’anno per 5 anni. Quale sarebbe il livello della tragedia umanitaria, che succederebbe ai bambini e alle bambine, quale sarebbe il livello della denutrizione, delle malattie?

Con noi l’imperialismo è arrivato a questo punto, eppure abbiamo resistito grazie al modello sociale inclusivo, trovando modalità di sussidio diretto affinché ogni bolivar, ogni dollaro che entra venga usato per la protezione del nostro popolo. Stiamo resistendo e continueremo a farlo, ma ora passiamo alla controffensiva, andiamo al recupero delle nostre risorse in alleanza con altri paesi che ci appoggiano e che non sono d’accordo a che si sanzioni un paese piccolo, composto da gente pacifica che chiede solo di lavorare e costruire il proprio modello politico senza ingerenze esterne.

La situazione economica continua a essere dura, ma confidiamo che la legge anti-bloqueo apra prospettive interessanti per l’anno 2021, dando luogo a nuove alleanze economiche, tanto in Venezuela come fuori dal paese: mediante investimenti regolati dalla nostra costituzione e dalle nostre leggi, per riattivare l’industria petrolifera, i pozzi che sono paralizzati, la produzione che è caduta di un terzo negli ultimi quattro anni e questo ha inciso sul potere d’acquisto dei lavoratori e delle lavoratrici. Gli introiti verranno immediatamente investiti in servizi pubblici e protezione sociale.

Sul piano politico, dopo aver sconfitto tutti i tentativi di sabotaggio, dentro e fuori dal paese, ci prepariamo per le parlamentari del 6 di dicembre, con un’ampia partecipazione elettorale: oltre 100 organizzazioni politiche di diverso orientamento, dall’opposizione che si dice più a sinistra a quella di destra, centro destra, socialdemocratica, social-cristiana.

Sarà il popolo a decidere chi vince. Sarà un’elezione fondamentale, a cui andiamo nel rispetto di tutti i protocolli di prevenzione e tutela dal coronavirus. Il 5 gennaio, quando si installerà la nuova Assemblea Nazionale, ci lasceremo alle spalle cinque anni di ladrocinio, perversione politica, di totale asservimento di un potere pubblico agli interessi USA imposti dalla banda criminale di Guaidó e soci.

In che modo la legge contro il bloqueo potrebbe aggirare le misure coercitive unilaterali imposte dagli Stati Uniti e dai suoi vassalli?

La nostra legislazione è stata concepita per un paese in pace, mentre ora ci troviamo ad affrontare un’aggressione economica multiforme, dovuta a una “guerra ibrida”, definita dalla vicepresidenta Delcy Rodriguez con una efficace metafora: “le sanzioni” – ha detto – “sono come bombe che non si vedono, ma che cadono sulle raffinerie, sui pozzi petroliferi quando ci si impedisce di vendere e comprare. Cadono sui Comitati di rifornimento e produzione, i nostri Clap, sui salari, sulla salute”.

Noi non rispondiamo con altre bombe, ma con una legislazione speciale che consenta all’esecutivo, a PDVSA, alle nostre imprese basiche all’estero di incidere su questa legislazione per riattivare l’economia e generare introiti. Questa legge, proposta dal presidente Maduro, nel pieno rispetto della nostra sovranità e della costituzione bolivariana, consente all’esecutivo di procedere a riforme legali di carattere amministrativo che, in modo puntuale, flessibile, chirurgico, difendano gli interessi del paese e ci portino fuori da questa crisi.

Come? Coinvolgendo in modo diretto il potere popolare. Ti faccio un esempio. In Venezuela c’è una gran quantità di terreni o di capannoni che sono stati requisiti al narcotraffico, ma il cui utilizzo è impedito dalle lungaggini dei ricorsi che hanno un proprio iter legale. Nell’attesa, la legge contro il bloqueo consente allo Stato di far sì che i consigli comunali, le organizzazioni contadine, i consigli produttivi dei lavoratori e delle lavoratrici, rendano attivi i terreni o produttivi i capannoni, appoggiati da un credito agevolato dello Stato.

Però è importante capire che il potere popolare senza il potere economico finisce per diluirsi nella sua dipendenza dallo Stato. Per questo, è da irresponsabili spaventare il popolo dicendo che arrivano gli investitori a mettere la mano sul paese. Per le ragioni dette prima, vogliamo che gli investitori arrivino, ma sotto il controllo di uno Stato socialista, come avviene in Cina e in altri paesi orientati in questa direzione.

Gli investitori devono rispettare la legge, pagare le tasse, retribuire adeguatamente i lavoratori e le lavoratrici, rispettare l’ambiente e le decisioni dei nativi, e non contaminare i nostri territori.

Il Pcv e altre forze della sinistra, dicono però che si tratta di un artifizio per svendere le risorse del paese, e che si sta facendo una svolta moderata che cancella il progetto di Chavez. Questo discorso sta disorientando la solidarietà internazionale: perché – dicono molti compagni – dobbiamo difendere un progetto socialdemocratico quando lo stiamo combattendo nei paesi capitalisti dove ha fatto tanti danni? Puoi spiegarci in concreto perché non è così?

Non ci siamo mai sottratti al dibattito e non lo faremo neanche questa volta. Il progetto di legge è stato discusso a fondo in diverse commissioni, e anche emendato, per essere presentato all’approvazione dell’Assemblea Nazionale Costituente (ANC), questo giovedì. Una volta approvato, l’Esecutivo ha deciso di presentarlo al Consiglio di Stato affinché questo organismo solleciti il parere della Sala Costituzionale del Tribunal Supremo de Justicia (TSJ) sul carattere costituzionale della Legge anti-bloqueo.

Rispettiamo tutti i partiti di sinistra, ma non siamo disposti a farci ricattare da un discorso demagogico a fini elettorali, carente di proposte e di alternative concrete. Nessun rivoluzionario o rivoluzionaria può credere che si vada a una sospensione della Costituzione o che il presidente Maduro abbia fatto un autogolpe, cancellata l’eredità di Chavez e sia diventato improvvisamente un dittatore. Questo è il discorso della destra, che peraltro ci accusa di essere dei comunisti che mangiano i bambini, non può essere assunto dai compagni in modo strumentale, neanche a fini elettorali.

Non ci sottraiamo al dibattito, franco e aperto, ma non possiamo accettare che si dica ai compagni all’estero che Maduro da un giorno all’altro si è trasformato in un reazionario neoliberista che privatizza il paese, o in un accomodante socialdemocratico. Stiamo ancora aspettando che questi compagni facciano proposte concrete per portar fuori il paese da questa drammatica situazione, perché le espropriazioni e la politica dello scontro frontale, non bastano.

Da dove prendiamo le risorse per rafforzare il sistema sanitario gratuito, per costruire le case popolari, per finanziare l’educazione pubblica gratuita e di qualità?

Al contrario, noi proponiamo una svolta tattica che consenta di salvare il modello e di avanzare, attrezzandoci a resistere a un sistema di sanzioni che forse potrà essere leggermente ammorbidito, e ce lo auguriamo, ma che non subirà modifiche di sostanza, qualunque sia il risultato delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti il 3 di novembre. Le politiche sanzionatorie, negli USA, sono un elemento strutturale bipartisan, inerente agli interessi del complesso militare-industriale.

Presentando il progetto di legge anti-bloqueo, il presidente Maduro, pur ribadendo la disponibilità al dialogo anche con gli Stati Uniti qualora cessino le sanzioni e si rispetti la nostra sovranità, lo ha detto chiaramente: dall’imperialismo non c’è da aspettarsi niente, dobbiamo continuare a lottare e a difenderci, anche sui terreni che non abbiamo scelto.

Un esempio è la battaglia giuridica per il recupero del nostro oro e delle nostre imprese all’estero, come stiamo facendo nei tribunali inglesi in questo momento. Una Corte d’appello ha stabilito che il nostro oro non può essere consegnato nelle mani dell’”autoproclamato” Juan Guaidó e che il governo britannico deve chiarire la sua postura.

Questo consente, una volta di più, di evidenziare il lato grottesco di questi veri e propri tentativi di rapina e di pirateria internazionale, perché è evidente che per qualunque tipo di operazione, sia di natura commerciale che diplomatica, si deve far capo al governo del presidente Maduro e non alle costruzioni artificiali.

Le nostre battaglie continuano per recuperare l’impresa Citgo, o per difendere i diritti umani nei tribunali internazionali, denunciando le sanzioni come delitti di lesa umanità. È una lotta che non riguarda solo il Venezuela, ma il recupero della legalità e della giustizia internazionale.

 * da L’Antidiplomatico

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