La giovanissima scrittrice di Lugansk, Faina Savenkova, che i lettori di Contropiano già conoscono, ha compiuto dodici anni il 31 ottobre e ci ha regalato un altro racconto, drammaticamente vivo, della cruda realtà del Donbass, vista con gli occhi di bambini costretti a crescere sotto le bombe dei nazisti ucraini; con gli occhi di bambini costretti a veder morire, sotto quelle bombe, altri bambini.
Non c’è bisogno di tante parole. Quelle, le possiamo lasciare a chi i nazisti li difende. Ascoltiamo Faina.
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Ogni uomo sa che qualsiasi guerra ha sempre un inizio e una fine. Ma le date ufficiali rimangono spesso null’altro che freddi numeri, senza emozione, nella memoria di coloro che hanno vissuto quegli eventi.
Quando è iniziata la guerra in Donbass per ciascuno di noi? Per quanto non abbia chiesto in giro, ognuno ha una risposta diversa. Nel 2014 si verificarono molti avvenimenti, diventati per ognuno quella linea di confine tra prima e dopo.
Io ho fiducia nell’umanità. Voglio credere in essa. Così come i miei genitori. Noi non viviamo in un mondo immaginario; no. Solo, c’è una differenza tra quello che vediamo e quello che vogliamo.
Anche i miei cari volevano credere che quanto accadeva non fosse che una casualità mostruosa. In fondo, possono davvero le persone essere così crudeli e spietate? Possono. E noi lo sappiamo; e, ugualmente, continuiamo a sperare che gli uomini siano capaci di ravvedersi. Se no, perché viviamo? È solo una speranza ingenua, che in alcun modo giustifica i crimini. Non lo so.
Probabilmente, si trattava solo della convinzione che nulla di tutto questo potesse accadere al nostro tempo, nella nostra Patria. Sembrava tutto un incubo senza senso. Non poteva accadere tutto questo. Non dovrebbe accadere che il proprio esercito distrugga il suo stesso popolo. E, però, succede; comunque.
Penso che la vera comprensione del fatto che sia cominciata la guerra, sopravvenga quando ti abitui alla morte. Allora essa comincia anche per ogni singolo individuo, non solo per lo Stato.
Per me, quella data è stata il secondo giorno di giugno del 2014. Ricordo che era un lunedì; io e mio fratello ci eravamo ammalati e si doveva andare dal medico. La vita di tutti i giorni è scandita minuto per minuto, anche se non ce ne rendiamo conto: tanti minuti per arrivare alla fermata del tram, tanto tempo per il viaggio. Orario delle corse del tram, grafico di ricevimento del pediatra, tempo di attesa approssimativo…
Naturalmente, il mal di gola è fastidioso, ma non è fatale, e se si mette una maschera, si può andare persino in biblioteca a prendere i libri della lista scolastica per le letture estive. Tutti programmi, questi, che possono cambiare a seconda delle circostanze.
I nostri, cambiarono perché mio fratello maggiore ebbe paura e, quel giorno, dal dottore ci andai io soltanto; e sempre io non ebbi voglia di andare fino alla biblioteca per prendere i libri, che in ogni caso non sarei riuscita a leggere; forse solo a guardare le figure.
Se mio fratello non avesse avuto paura, oppure se la mamma non avesse dato importanza ai suoi timori, allora, al momento del bombardamento, saremmo stati proprio in quel giardinetto di fronte all’Amministrazione regionale di Lugansk, contro il quale venne portato l’attacco aereo. E ora mi rendo conto che, probabilmente, io e la mamma siamo vive solo grazie a mio fratello.
Ricordo come mi misi a piangere, per il terribile boato che echeggiò per tutta la città. Ricordo che tutte le linee cellulari erano saltate e non potevamo telefonare alla nonna, che lavorava nel teatro sull’altro lato della strada in cui si era consumata la tragedia. E poi ricordo anche di come il nostro insegnante ci raccontasse degli avvenimenti del due di giugno.
Dietro l’edificio dell’Amministrazione, c’era infatti il giardino d’infanzia e quel giorno, dopo il bombardamento, le educatrici, all’ingresso, accoglievano le madri, accorse con gli occhi annebbiati dalle lacrime, con una sola frase: “Sono tutti vivi!!!”. E le madri non avevano più bisogno d’altro.
La guerra, è quando, il primo di giugno, tutto il mondo festeggia la Giornata della difesa dei bambini, e già il due di giugno, la parola più importante, più necessaria, che i genitori possano udire, è semplice e breve: “Vivi”.
E poi, già una settimana dopo, ecco che muore il primo bambino, sotto i colpi delle artiglierie. Polina Solodkaja, di Slavjansk. Aveva sei anni; aveva la mia età. Avrebbe potuto diventare medico, oppure insegnante, o artista. Quello che vi pare. E invece, lei rimane per sempre la prima nell’elenco dei bambini uccisi; vittime di questa guerra.
E la cosa più terribile in tutto questo, è la parola “elenco”. E quello continua a riempirsi ancora oggi. È una verità scomoda, certo; ma non ci se ne può dimenticare. E in ogni caso non ci si riesce, anche se si volesse.
A Lugansk c’è un memoriale, dedicato ai bambini morti sotto i bombardamenti. Ce n’è uno anche a Donetsk. In piedi, di fronte a esso, gli adulti non trovano ancora le parole; stanno in silenzio; gli occhi abbassati. E, davvero, non c’è niente che si possa dire. Il mondo festeggia la Giornata della difesa dei bambini; e, però, non riesce a difenderci.
Un’altra volta ho scritto che i bambini della guerra sono silenziosi, perché gli adulti non li sentono. Per ora è così. Ma io ho fiducia che tutto questo cambierà. Un giorno vedremo la pace anche nella nostra terra.
Noi, bambini che abbiamo vissuto la guerra, cresceremo. E allora, cercheremo di fermare tutto questo orrore; cercheremo di fare quello che non sono riusciti a fare i grandi, perché la Giornata della difesa dei bambini smetta di essere soltanto una data e si trasformi in una festa vera.
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