Negli Stati Uniti potrebbe ancora non essere finita. Donald Trump afferma di essere fiducioso sui ricorsi contro i risultati elettorali e sta intensificando la sua offensiva legale con un nuovo ricorso nel Michigan. In Michigan l’obiettivo di Trump è impedire la certificazione del risultato del 3 novembre che lo vede sotto di 148.000 voti rispetto a Biden.
“Al momento ci troviamo al livello delle corti distrettuali”, ha dichiarato la portavoce di Trump, McEnany nel corso di una serie di interviste televisive. “Staremo a vedere come si pronunceranno in Pennsylvania, e nelle cause in arrivo in Michigan e altrove. E penso che a questo punto nessuno possa avanzare previsioni”, ha affermato McEnany annunciando che la campagna di Trump si prepara a sottoporre alla magistratura 234 pagine di dichiarazioni giurate relative a presunte irregolarità nei conteggi dei voti nel Michigan.
Intanto in Georgia il segretario di Stato, il repubblicano Brad Raffensperger, ha ordinato il riconteggio a mano dei voti. Biden in questo Stato è avanti di appena 14.000 voti rispetto a Trump. Il riconteggio riguarda solo le schede per le presidenziali e non quelle per i 2 seggi al Senato che saranno decisi al ballottaggio il prossimo 5 gennaio e che decideranno il controllo del Senato.
Anche senza Georgia, North Carolina e Arizona (che però è ancora in sospeso), Joe Biden avrebbe comunque 279 grandi elettori su 538, cioè 9 in più rispetto alla soglia minima necessaria per l’elezione alla Casa Bianca. Ma questo è possibile solo se verranno confermate le vittorie di Biden in Michigan, Wisconsin e Pennsylvania, che portano in dote rispettivamente 16, 10 e 20 Grandi Elettori. E nel mirino dell’offensiva legale di Trump ci sono proprio gli Stati che gli servono per restare alla Casa Bianca e negare l’investitura presidenziale a Biden.
Trump ad esempio contesta che in Pennsylvania siano stati conteggiati anche i voti per posta arrivati fino a 3 giorni dopo l’Election Day e di come la scadenza sia stata progressivamente allungata a ridosso del voto. Il caso è già finito alla Corte Suprema, con il giudice conservatore Samuel Alito che ha ordinato un conteggio separato delle schede arrivate dopo il 3 novembre.
“La Corte Suprema potrebbe bocciare l’estensione della scadenza al 6 novembre decisa dalla Pennsylvania – avverte il costituzionalista John Yoo – e quindi ordinare allo Stato di rifiutare ogni scheda arrivata dopo l’Election Day”.
Lunedì scorso, dieci stati in mano ai Repubblicani ( Alabama, Arkansas, Florida, Kentucky, Louisiana, Mississippi, Missouri, South Carolina, South Dakota e Texas) hanno depositato una memoria legale sottolineando l’importanza di tutelare l’autorità costituzionale degli Stati in materia di elezioni. “La decisione della Corte Suprema della Pennsylvania travalica la sua responsabilità costituzionale – scrivono – invade l’autorità della legislatura della Pennsylvania e viola la clausola (della Costituzione) sulle elezioni”.
La interdizione legale messa in campo da Trump potrebbe non incidere sul risultato elettorale ma sembra puntare dritto alla Corte Suprema, lo stesso organismo che 20 anni assegnò la presidenza a George W. Bush che aveva contestato la vittoria di Al Gore in Florida.
Insomma negli Stati Uniti la partita presidenziale potrebbe rivelarsi ancora, se non aperta, piena di ostacoli e di inciampi legali. Ma il contesto è tale che una accentuazione dello stallo e la delegittimazione del risultato elettorale potrebbe innescare una reazione nella società piena di imprevisti.
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