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Il colpo di coda di Trump sul Medio Oriente

Sono passati più di otto anni da quando l’ultimo scienziato nucleare è stato ucciso in Iran. L’assassinio di Mohsen Fakhrizadeh la settimana scorsa, dopo qualche anno, è l’attentato più importante e significativo.

Non c’è dubbio che se l’Iran avesse scelto nei prossimi mesi di riprendere l’attivazione del programma nucleare, Fakhrizadeh sarebbe stato l’uomo principale per portare a termine la missione. Fino al suo assassinio, era l’uomo responsabile della conservazione delle capacità e delle conoscenze iraniane, nel campo nucleare.

Ed era considerato il padre del programma nucleare iraniano. Si parla di una probabile escalation regionale, cogliendo l’attimo di fine mandato di Trump, per ostacolare il nuovo padrone della Casa Bianca, e contrastare o ritardare il ritorno americano e le altre potenze all’accordo nucleare con l’Iran, che, in pratica, ha congelato, per molti anni il programma nucleare militare iraniano, fino all’arrivo del presidente Trump.

Ma i servizi di intelligence in Occidente avevano il sospetto che dietro le quinte ci fossero persone e personalità adeguatamente qualificate che si occupano quotidianamente di questo problema. Tra questi, Fakhrizadeh era forse, il più importante, fra i molti scienziati nucleari di talento in Iran.

Ma uno scienziato che ha comprovate capacità di gestione operativa e che gode anche di un rapporto diretto con il vertice della leadership spirituale in Iran, era solo uno: Fakhrizadeh. Come Qassem Soleimani, che gli americani hanno ucciso in Iraq all’inizio dell’anno, anche Fakhrizadeh è una delle figure fondamentali più per la sicurezza in Iran che per il suo lavoro ufficiale e il suo grado.

Non si esclude “la lunga mano” di Israele, e la sua capacità di colpire in profondità l’Iran. Come altre serie di obbiettivi colpiti in passato. Ed è molto probabile che non sarà l’ultimo, finché le reazioni di Teheran continueranno, ad essere limitate a minacce e intimidazioni circa la scelta del momento e del luogo appropriati per tradurre il grido popolare di “vendetta” in risposta concreta!

La guerra di Israele contro l’Iran si è intensificata sotto l’amministrazione Trump, come mai prima d’ora, e spesso in coordinamento con essa o con il suo benestare. Con questa connivenza hanno avuto luogo attacchi senza sosta contro obiettivi iraniani e “alleati” in Siria, una guerra “cyber” contro strutture economiche e militari, assassini di studiosi e scienziati.

È stato incoraggiato dalle operazioni americane della stessa natura, che sono culminate quest’anno con l’assassinio di Qassem Suleiman e Abu Mahdi Al-Muhandis, e in questi giorni continua ad espandersi l’elenco di sanzioni statunitensi alle persone e alle istituzioni appoggiate dall’Iran. Quello che è successo in Iran, non è scollegato da quello sta accadendo in Siria e in Medio Oriente.

Anche la grave crisi economica in Iran, gli effetti dell’epidemia di Coronavirus e le sanzioni occidentali che l’hanno indebolito. Tuttavia, l’eliminazione di ieri ha cambiato le regole del gioco e ha alzato il livello di tensione nella regione.

Il primo problema che dovrebbe preoccupare Teheran è l’inadeguatezza della sua intelligence, che non ha la tecnologia di tracciamento e spionaggio di cui dispone Israele in questo campo. Questa carenza sarebbe stata compensata dall’opportunità e “la possibilità” di Teheran a sferrare un attacco militare contro Israele nella sua profondità, direttamente o attraverso i suoi alleati in Libano, Gaza o Siria … ma Teheran deve fare i conti con un “vincolo” geografico-tecnologico che rende impossibile una simile ipotesi. Parlando di “alleati”, non è previsto che qualcuno di loro si “offra” per reagire a nome di Teheran.

La dichiarazione di Hezbollah, che sta annegando nei “corridoi” della politica interna libanese, ha lasciato la palla nel campo di Teheran, e Hamas e jihad sono impegnati a mantenere la Hudna/tregua con Israele, soprattutto il primo.

Più che altro, in Iraq, le Forze di Mobilitazione Popolare, Hashd non sono neanche riuscite a vendicarsi degli attacchi israeliani a cui sono state sottoposte all’interno dei confini del proprio Paese, figuriamoci se possono vendicare l’Iran. Tantomeno nello Yemen agli Houthi (sciiti), che stanno combattendo la sua battaglia con la “coalizione” e i suoi alleati “in prima linea”, con scarse capacità militari e di sicurezza disponibili.

Il secondo problema dell’Iran è di natura politica, in quanto sa che un attacco contro Israele innescherà una risposta militare americana diretta, forse molto dolorosa e diffusa, ed è questo che Teheran cerca di evitare, almeno fino al 20 gennaio prossimo.

Sembra che il presidente americano “sconfitto” nelle elezioni interne abbia bisogno di fare un atto eclatante, o ottenere una “vittoria abbagliante” all’estero, non solo per mantenersi “presente” nelle menti dei suoi sostenitori, ma anche per tenersi una porta aperta per mettere alla prova il suo futuro … Trump sembra un “lupo ferito” e sta diventando più pericoloso, in patria per la democrazia e all’estero per un colpo di coda prima del 20 gennaio 2021 che possa condizionare la politica del suo successore.

Pertanto, le opzioni dell’Iran sembrano essere molto limitate, per non dire inesistenti … Non è in grado di compiere un atto di “intelligence” come quello appena portato a termine da Israele, né è disposto, né ha alcun interesse, ad aprire la porta a una massiccia escalation militare, che potrebbe portare Washington a fare ciò che Trump, e quel che resta della sua amministrazione, desidera.

Quest’ultimo è stato chiaro ieri, quando ha “twittato” minacciando che toccare l’incolumità o la vita di qualsiasi soldato americano sarebbe un motivo sufficiente per provocare una devastante reazione americana contro Teheran.

Ciò che conta per l’Iran, oggi più che mai, è che i prossimi due mesi passino, con il minor numero di perdite possibile, senza battaglie o scontri militari su larga scala, nella speranza che i suoi rapporti con gli Stati Uniti guidati da Joe Biden aprano una nuova pagina. È questa la principale scommessa iraniana, che porta alla convinzione che Teheran inghiottirà la perdita del “padre del suo programma nucleare”, come ha inghiottito, forse, la speranza di un suo “ruolo regionale” all’inizio dell’anno.

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