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Insurrezione a Capitol Hill: cronaca di una notte da guerra civile

Quello che si è svolto ieri pomeriggio a Washington, nella sede del Congresso USA a Capitol Hill, è probabilmente il primo atto di una tragedia annunciata da tempo.

In sintesi, la cronaca ci racconta di migliaia di sostenitori del Presidente uscente Trump, che sono accorsi ad una vera e propria chiamata alle armi di “The Donald”, che aveva già fatto qualche mese fa, quando dichiarò di essere stato derubato del risultato elettorale.

La manifestazione però, rinfocolata da dichiarazioni irresponsabili dell’ex presidente, è degenerata al punto tale che i “Trumpiani”, che non sono dei semplici sostenitori del GOP, il Grand Old Party – come viene denominato in gergo il Partito Repubblicano – ma circa la metà di un America profonda e dimenticata dalle élites e dalla finanza, che cova rabbia sociale da decenni, si è da subito trasformata in un vero e proprio attacco alla sede del Congresso, dove si stava svolgendo la ratifica ufficiale della legittimazione a governare del neo presidente eletto Joe Biden.

Risultato: decine di arresti e feriti, anche molto gravi, una manifestante uccisa da un colpo di pistola, esploso dalle forze dell’ordine che difendevano il Congresso o da fuoco amico, il coprifuoco decretato subito dopo da Nancy Pelosi e l’intervento della Guardia Nazionale a supporto delle forze di polizia “ordinarie” che riuscivano a mantenere i dimostranti con estrema difficoltà. Altri 3 morti ci sono stati poi nei dintorni del Congresso, dopo l’intervento della Guardia Nazionale.

I seguaci di Trump, aiutati da milizie armate di estrema destra, fra cui si distinguono da tempo i “Proud Boys” di cui abbiamo già parlato in precedenza, sono riusciti ad entrare, armati nella sede del Congresso. Fonti attendibili riferiscono di aver dovuto mettere al sicuro i risultati elettorali, dei quali erano alla ricerca nel tentativo di inquinare le prove della legittimità delle elezioni. Le stesse fonti parlano addirittura di due ordigni disinnescati.

Questa dicevamo la cronaca più spiccia, ma il fatto in sé pone una serie di domande che mettono in crisi un modello, un modello che è sempre stato sbandierato come “il più grande esempio di democrazia del pianeta”.

I media americani mainstream e le stesse istituzioni a stelle e strisce hanno parlato di “insurrection”, termine che noi traduciamo con “insurrezione”, “rivolta”, ma che per gli americani vuol dire proprio ribaltamento delle condizioni di democrazia.

L’Europa, si è sperticata in semplici analogie con il golpe cileno ai danni del Presidente Allende o spagnolo di Tejero, ma qui è una parte del popolo (circa il 50%, nelle urne), che ha dato man forte ad un leader che considera il proprio salvatore.

Per ora le forze armate sembrano escluse dal coinvolgimento nel crescente conglitoo politico-sociale, anche se a qualcuno non può non tornare a mente come le forze dell’ordine americane usino gestire le dimostrazioni degli Antifà o del BLM USA: il modello è Tolleranza Zero, è inequivocabile.

Questi dimostranti invece sono riusciti ad entrare in una sede del Governo, ad occupare addirittura gli uffici dei membri del Congresso, per la prima volta nella storia del paese sono state esibite armi all’interno della principale sede del potere politico, il Congresso, con il palese aiuto perlomeno di una parte dei poliziotti schierati a difesa del palazzo…

Scegliete: o questo è il suicidio di una democrazia che si rivela improvvisamente molto fragile, il classico gigante dai piedi di argilla, o il carisma di un criminale come Donald Trump ha valicato un confine, ha tracimato.

Altre manifestazioni, infatti, nella notte italiana si sono svolte ad Atlanta, in Georgia, dove il segretario di Stato, il repubblicano Brad Raffensperger, è stato evacuato in estrema emergenza dalla sua sede di lavoro. Lo stesso è accaduto a Phoenix, a Santa Fè e anche nella tristemente nota Salem, dove vennero bruciate per l’ultima volta le cosiddette “streghe”. Nello stato della Virginia infine, è stato dichiarato lo stato d’emergenza.

Si è trattato dunque di un’iniziativa di grandi dimensioni, su gran parte del territorio nazionale, con qualcosa di somigliante ad un “comando centrale” che raccoglie e concretizza il messaggio di Trump. Non una locale esplosione di rabbia per una sconfitta elettorale e nemmeno solo il concentramento di questa rabbia nella sola capitale.

Ma la tracimazione del “pensiero Trumpista” va ben oltre i confini degli Stati Uniti d’America.

Tempo fa, su questo stesso giornale, mettevamo in guardia riguardo i pericoli del “Trumpismo”, ben più pericoloso del “Waspismo”, di chiara matrice anglosassone e molto meno “esportabile”, anche nella nostra “vecchia e cara Europa”.

I fatti che sono successi ieri a Washington, potrebbero essere i prodromi di qualcos’altro.

I segnali ci sono tutti, soprattutto nelle società capitalistiche occidentali, dove la pandemia da Covid-19 colpisce e continua a colpire duramente, dividendo popoli e strati sociali sempre più impoveriti.

Ma rimaniamo sul pezzo, e negli USA.

Donald Trump è stato alternativamente chiamato mitomane, affetto da monomania come il capitano Achab, negazionista, stretto amico e finanziatore delle sette evangeliche. Sì, probabilmente è anche questo, ma non solo.

Al momento sembra il creatore di un mondo parallelo a quello reale, un mondo somigliante in qualche modo a quello descritto da Philip Roth nel suo celebre romanzo “Il complotto contro l’America” : i suoi seguaci non vestono mascherine anti-covid perché il virus non esiste ed è stato creato in laboratorio dai cinesi; la stampa e le televisioni distribuiscono solo “fake news”, non alcune, tutte le testate (durante l’attacco a Capitol Hill è state distrutta la postazione della Associated Press ed è stata aggredita anche la troupe Rai); le elezioni sono state una frode, negando anche l’evidenza del suo stesso partito che ha sempre dichiarato il contrario.

Questa è la sua sfida, la trasformazione del mondo reale, sogno o incubo già vagheggiato da altri nel secolo breve. Proprio negli stessi anni ’20, ma cento anni fa; ed una sfida del genere, non conosce confini nazionali, e questo è  un pericolo.

Come pensa di attuarla?

Un’ipotesi potrebbe essere quella di fare man bassa dei suoi seguaci nel GOP, che non sono la maggioranza ma non sono pochi, rinforzare i rapporti con parti del Libertarian Party, che ne guadagnerebbe in visibilità, e mantenere viva la stretta collaborazione con le frange ed i gruppi “Wasp” e di estrema destra che gli sono sempre stati fedeli.

Una sorta di “terza via” di destra, a dirla breve. 

A corollario, Nancy Pelosi – nuovamente eletta speaker del Congresso – ha fatto riprendere i lavori interrotti a Capitol Hill dopo che i parlamentari erano stati evacuati dai servizi segreti. Il vicepresidente, Mike Pence, rivela che l’intervento della Guardia Nazionale lo ha autorizzato lui stesso dopo il diniego di Trump, aprendo di fatto alla possibilità che venga invocato il 25° emendamento, il che equivarrebbe a rimuovere immediatamente “The Orange”, che potrebbe a quel punto essere perseguito per avere messo il paese in pericolo.

Pochi giorni fa Enrique Tarrio, il leader dei Proud Boys, (di origine cubana, ferocemente anticastrista) arrestato per possesso di armi prima della manifestazione pro-Trump, rilasciando un’intervista ci fa sapere che “c’è chi pensa che una volta che Trump sarà fuori dalla Casa Bianca sarà finita. Non capiscono che Trump non è più una persona, è un movimento”.

E The Donald per tutta risposta indice un’altra giornata pro domo sua il giorno dell’insediamento di Joe Biden, il 20 gennaio. In un tweet emesso in tarda serata, ora di Washington D.C., invita a “ricordare questo giorno per sempre”.

Ci saranno sorprese, d’ora in avanti…

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