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Come la bandiera israeliana è diventata simbolo dei nazionalisti bianchi

Quando a migliaia si sono ritrovati a Washington il 6 di gennaio per il fatidico rally a sostegno di Donald Trump che sarebbe finito con l’assalto al Campidoglio degli Stati Uniti, si è vista nella folla una bandiera israeliana vicino alle bandiere che inneggiavano alla cospirazione QAnon, al movimento della milizia del 3% e ad altre popolari cause della destra.

La bibbia dice se benedici Israele, sarai benedetto”, spiegava il manifestante che brandiva la bandiera, ripetendo un versetto caro al movimento Sionista Cristiano. “Perciò siamo una nazione che sostiene Israele”.

Più tardi, la bandiera è stata notata proprio fuori dall’edificio del Campidoglio durante l’assedio, mentre un altro manifestante mascherato esibiva una bandiera israeliana in bianco e nero cucita sulla sua tenuta paramilitare di fianco a una bandiera della “sottile linea blu” pro-polizia.

Non è la prima volta che la bandiera israeliana compare negli Stati Uniti in una manifestazione della destra che apparentemente non ha niente a che fare con la politica del Medio Oriente. La bandiera sventolava vicino a quella Confederata a una manifestazione neo-Confederata in Arkansas e alle finestre di abitazioni private da Manhattan a Gerusalemme; è stata avvistata a una parata “Straight Pride” (orgoglio non gay/eterosessuale n.d.t) a Boston e in una carovana di auto pro Trump.

Se la presidenza Trump è ormai finita, i movimenti di destra che hanno contribuito a darle una fisionomia e che hanno assediato il Campidoglio – con la loro cultura di cospirazionismo, lamentele, xenofobia, ricerca di un capro espiatorio, violenza giustizialista – non sono destinati a dissolversi presto.

Per i gruppi di destra negli Stati Uniti, Israele è diventato un simbolo di un insieme di valori, una visione del mondo che, se a volte si radica in un sostegno concreto a Israele e alla sua politica, spesso va oltre ogni riferimento a una realtà geopolitica e assume una vita propria. In realtà molte componenti della destra americana usano lo stato ebraico come uno schermo su cui proiettare le proprie fantasie di sciovinismo nazionalista, redenzione cristiana, orgoglio bianco e cospirazionismo antisemita.

In realtà nessuno di questi ruoli risulta positivo per gli ebrei, per i palestinesi o per la prospettiva di una pace giusta in Medio Oriente. E’ ben noto che Israele gode di un forte sostegno non solo nella destra americana, ma in tutto lo spettro di numerosi soggetti politici grazie a interessi geopolitici strategici, interessi economici del complesso industriale militare e ad altri fattori.

“(Israele) è il migliore investimento da tre miliardi che facciamo,” ricordava l’allora senatore Joe Biden nel 1986, spiegando che “se non ci fosse un Israele, gli Stati Uniti dovrebbero inventarlo per proteggere i propri interessi nella regione.”

La “relazione speciale” tra gli Stati Uniti e Israele è esaltata dai capi di entrambi i paesi, che inneggiano a presunti valori condivisi “giudeo cristiani” propri dell’eccezionalismo dei pionieri e dei coloni, della libertà e della democrazia.

Tuttavia, per le forze in ascesa del populismo di destra negli Stati Uniti e in tutto il mondo, il sostegno a Israele assume una intensità speciale. Israele è celebrato come il difensore in prima linea della civiltà occidentale nella sua crociata contro il radicalismo islamico. E’ visto come una nazione che incarna il braccio forte del militarismo xenofobo e del maschilismo militarizzato che respinge impunemente l’Altro etnico-religioso, espandendo il proprio territorio e proteggendo il proprio patrimonio culturale con la fiera sfida di un coro di sdegno “liberale”.

Israele e la destra americana condividono un “desiderio”, come dice la scrittrice palestinese Nada Elia, “di stabilire e mantenere una società omogenea che si colloca come superiore, più avanzata di quegli ‘altri’ collocati, purtroppo, nel mucchio, come una ‘minaccia demografica’ da arginare con muri sui confini e con più dure leggi sulla immigrazione.

Un solido legame conservatore Israelo-americano, guidato da intellettuali come Yoram Hazony, da think tank come PragerU e fondazioni come il Tikvah Fund, impegnato a tessere le lodi di Israele come una specie di archetipo primordiale che incarna un ideale religioso nazionalista fondato sulla bibbia collocato nel cuore stesso dell’occidente.

In opposizione a un ordine mondiale “globalista”, fatto di confini aperti e omogenizzazione internazionale, l’idea di Israele significa per molti, nella destra estrema globale, l’insistenza sull’idea che le nazioni forti conservino la propria sovranità, pattugliando i propri confini, difendendo la propria identità e rifiutando l’intromissione delle istituzioni internazionali e degli standard dei diritti umani.

(Orban e Netanyahu, buoni amici)

Il sionismo di destra ben si adatta alla convivenza con correnti sotterranee di antisemitismo. I leader dell’estrema destra – dal primo ministro Netanyahu e suo figlio Yair all’ungherese Viktor Orban e all’americano Donald Trump – demonizzano noti nemici come George Soros e i “globalisti”, con il loro consunto antisemitismo in quanto esponenti di un programma liberale sovversivo di frontiere aperte, cosmopolitismo e giustizia razziale.

Evocando la metafora della “doppia lealtà”, Trump spesso dà l’impressione di considerare i suoi sostenitori ebrei americani soprattutto come dei filo-israeliani o addirittura come israeliani temporaneamente emigrati, nel disprezzo per gli ebrei americani liberal considerati “traditori” di Israele.

Per milioni di cristiani di destra, intanto, una adorazione quasi fanatica per Israele si colora di allucinate visioni di una apocalittica fine del mondo in cui lo stato ebraico è travolto in una guerra devastante e gli ebrei coinvolti sono costretti da un Cristo risorto a convertirsi o morire, il tutto mentre i cristiani fedeli trionfanti sono assunti in cielo.

Come molti hanno notato, questo Sionismo Cristiano filosemita porta con sè correnti sotterranee di antigiudaismo, accentuate dalla crescente tendenza di molti credenti ad avvolgersi in panni e in iconografie religiose ebraiche.

La mattina del golpe del 6 gennaio, per esempio, un gruppo di leader cristiani di destra ha organizzato una “marcia di Jerico” – il nome stesso evoca il racconto biblico di un gruppo di guerrieri che cinge d’assedio le mura di una città – nelle vie di Washington, chiamando i partecipanti a “pregare, marciare, digiunare e manifestare per l’integrità delle elezioni”, come racconta una versione nascosta del sito del gruppo.

Più tardi, uno dei rivoltosi, forse impersonando un antico guerriero biblico, suonava uno Shofar, un corno di montone vuoto che viene suonato in importanti occasioni ebraiche, dalle finestre distrutte del Campidoglio.

Non abbastanza orgogliosi

Attraverso le correnti radicali della destra americana, l’appoggio a Israele è sempre più mescolato con un aperto antisemitismo, creando così una complessa ambivalenza. Per i variegati gruppi che costituiscono il movimento della milizia americana – nutrito da una miscela di paranoia da Secondo Emendamento (il diritto di possedere armi n.d.t.), cospirazioni della tirannia del “Nuovo Ordine Mondiale”, libertarismo antigovernativo e supino sostegno a Trump-Israele è spesso oggetto di rispetto in quanto società iper militarizzata, alleata degli Stati Uniti nella battaglia cosmica contro questo o quel “Altro” totalitario e demoniaco.

Un governo mondiale sta per arrivare presto in un paese a te vicino…America”, ha proclamato un commentatore in un incontro per soli iscritti al forum del movimento della milizia del 3% e l’unica cosa che li può fermare è “noi il popolo degli Stati Uniti e di Israele.

Dato il profondo antisemitismo che sta sotto queste cospirazioni, tuttavia, non è garantito che lo stato ebraico finirà per stare dalla parte dei buoni e virtuosi. “Israele, la cabala dei banchieri e del Deep State (dello stato profondo n.d.t.) sono il nemico tentacolare del nostro spirito americano di libertà”, “imo” (in my opinion/secondo me,n.d.t.), dichiara un altro membro dello stesso forum.

Una ambivalenza simile è quella esibita dai Proud Boys (organizzazione di soli maschi dell’estrema destra. n.d.t.) una fratellanza misogina, famigerata, nell’era Trump, per ingaggiare battaglie di strada contro gli “antifa”, abbreviazione di antifascista per descrivere gli attivisti di sinistra che si scontrano con i neo nazi e i suprematisti bianchi nelle manifestazioni.

Da una parte gli appelli bellicosi allo “sciovinismo occidentale” si adattano bene con l’ipermaschilità israeliana e una branca israeliana dei Proud Boys, formatasi nel 2018, divenne presto un simbolo del gruppo per sottolineare la propria immagine di diversità.

Un sito dei Proud Boys ospitava un articolo di un Proud Boy israeliano che collegava la difesa del diritto alle armi negli Stati Uniti alla cultura del Sionismo. “L’autoconservazione è ciò che ci ha portato qui” (noi israeliani) afferma “Basato in Israele”, un soprannome che si riferisce nello slang dell’estrema destra alla approvazione per i non bianchi che professano idee reazionarie. “E’ quel che ha creato l’ovest e l’America, in tutta la sua gloria”, aggiunge.

Nello stesso tempo, molti nazionalisti bianchi si sono spostati sul terreno dei Proud Boys e tra loro, come vedremo, l’antisemitismo e l’anti-Sionismo tendono a regnare sovrani. In un caso recente, un nazionalista bianco di nome Kyle Chapman affermava di essere a capo della scissione di una fazione dei Proud Boys usando il termine ebraico per indicare i non-ebrei e rivendicando di “combattere contro i criminali sionisti che vogliono distruggere la nostra civiltà.”

Un popolare canale non ufficiale dei Proud Boys, sulla app di messaggistica Telegram, nello stesso tempo, pubblica numerosi post che denunciano “le guerre a causa di Israele nel medio oriente” che, sostiene, sono sostenute da politici per “israel first”che sono traditori degli Stati Uniti.

Per il fondatore dei Proud Boys, Gavin Mcinnes, nel frattempo, i rozzi stereotipi di condanna degli ebrei israeliani servono da accessori potenti dello sciovinismo sionista. In un video del 2017 girato durante un viaggio in Israele, Mcinnes sbeffeggiò la “piagnucolosa paura paranoide del nazismo” (mentre flirtava con i negazionisti dell’olocasuto) e definiva la lingua ebraica una “lingua sputata”.

Nello stesso tempo affermava che il suo “più grosso problema con Israele era che non sono abbastanza orgogliosi. Devono smettere di scusarsi e dire ‘questa è la nostra terra’. Ne abbiamo diritto, oh, e amiamo il nostro muro.

Sionismo antisemita

Il movimento nazionalista bianco, contemporaneamente, è profondamente diviso sulla “questione di Israele”, che per loro è permeata di antisemitismo dalle fondamenta. La maggior parte dei nazionalisti bianchi sostiene che la diaspora ebrea è la forza trainante dietro il “genocidio bianco”, la “grande sostituzione” della razza bianca e che gli ebrei hanno da tempo architettato l’immigrazione non bianca, i movimenti di liberazione dei neri, la libertà sessuale e di genere, il relativismo culturale e una quantità di manifestazioni “anti-bianche”compreso l’appoggio neoconservatore a Israele, per raggiungere questo obiettivo.

Nello stesso tempo c’è chi prende Israele come un invidiabile esempio di successo nella creazione da parte di un popolo deprivato del proprio stato etnico – uno stato che continua inesorabilmente a difendere la propria parte in un conflitto etnico.

Il noto nazionalista bianco Richard Spencer si è definito alla televisione israeliana come “sionista bianco” e ha descritto quello stato etnico bianco desiderato per tanto tempo come un “Altneuland – un paese vecchio e nuovo” prendendo a prestito una frase di Theodor Herzl, considerato il fondatore del moderno sionismo politico.

Ho grande ammirazione per la legge dello stato nazione di Israele“, disse nel 2018, “Gli ebrei sono ancora una volta all’avanguardia nel ripensare politica e sovranità per il futuro, mostrando la via agli europei”.

Lo scrittore di estrema destra Bronze Age Pervert, in una discussione sulle influenze del nazionalismo europeo sul primo progetto sionista, notava simpateticamente che Israele è “uno stato creato per la sopravvivenza di una razza… La sua fondazione spirituale e la ragione della sua esistenza sono un socialismo nazionale nel bene e nel male… Il nazionalismo israeliano e il nazionalismo bianco sono la stessa cosa.

Molti nazionalisti bianchi desiderano un mondo in cui ogni “razza” occupi un proprio stato etnico omogeneo. In questo schema il sionismo rappresenta la diretta applicazione di questo principio dell’“etnopluralismo alla razza ebraica”, una soluzione che permetterebbe agli Stati Uniti e all’Europa di liberarsi della propria popolazione ebraica indesiderata.

Non mi oppongo all’esistenza di Israele”, spiega il nazionalista bianco Greg Johnson con agghiacciante precisione, “mi oppongo alla diaspora ebraica negli Stati Uniti e nelle altre società bianche. Vorrei vedere i bianchi del mondo spezzare il potere della diaspora ebraica e mandare gli ebrei in Israele dove dovranno imparare ad essere una nazione normale.

Pur esprimendo una ammirazione riluttante per l’idea di Israele, i nazionalisti bianchi disapprovano l’appoggio a Israele da parte degli Stati Uniti – un ostacolo fondamentale al loro isolazionismo da “America first” e un sintomo eclatante, per loro, della forza “sinistra” di un potere ebraico che esercita il controllo sotto copertura sulla politica estera degli Stati Uniti.

Deridendo il movimento MAGA (Make America Great Again (fai di nuovo grande l’ America n.d.t.) storpiandolo in “MIGA” – make Israel Great Again – in molti denunciano la cabala ebraica sleale e neoconservatrice per avere sovvertito dall’interno il GOP (partito repubblicano, Great Old Party,Grande Vecchio Partito,n.d.t. ) trasformandolo, nelle parole di Johnsonin un mezzo per promuovere gli interessi ebraici nel mondo, soprattutto nel Medio Oriente.

L’adorazione per Israele da parte dei conservatori, spiega altrove Johnson, “è solo una forma sublimata di nazionalismo razziale bianco…Quindi lasciamo gli ebrei al loro nazionalismo razziale e teniamoci il nostro, invece.”

Anche se sottolineano la propria affinità con l’idea di Israele, i nazionalisti bianchi detestano gli Ebrei Sionisti che, con una “doppiezza tipicamente ebrea“, “condannano i bianchi solo perchè osano pensare l’argomento (l’etnonazionalismo)”, come afferma uno scrittore sul sito nazionalista bianco Counter-Currents,”mentre permettono agli ebrei non solo di esprimere il desiderio di un proprio stato etnico, ma di averlo”.

Sotto gli slogan ironici dell’estrema destra come “aprire i confini per Israele” serpeggia l’accusa che gli ebrei mantengano di proposito questo doppio standard, con lo scopo di garantire la sopravvivenza della propria tribù mentre promuovono “il genocidio bianco” in occidente.

Infine, sono numerosi i nazionalisti bianchi che rinunciano ad ogni pretesa di appoggio ad Israele e lo demonizzano con virulenti accenti antisemiti e antisionisti. Israele diventa per loro il centro nevralgico del demoniaco “potere Ebraico” mondiale con l’oppressione dei palestinesi a testimoniare le eterne caratteristiche ebraiche di tribalismo, dominazione e aggressività.

Mentre il mondo intero è diventato un campo di prigionia all’aperto sotto gli oligarchi ebrei”, ha scritto il nazionalista bianco Matthew Heimbach, “la Palestina è un campo di prigionia all’aperto. Mentre il mondo intero è sottoposto alla macchina finanziaria ebraica, Israele blocca e ispeziona tutto ciò che entra e esce dalla Palestina.

In questi circoli fioriscono le teorie cospiratorie che attribuiscono a Israele e al Mossad la responsabilità dell’11 settembre, dell’esplosione del porto di Beirut e di una serie di altri eventi insieme alla condanna del ZOG, Zionist Occupation Government, ”una denominazione vecchia di decenni per indicare il governo degli Stati Uniti che dimostra che per questa gente il termine sionismo è semplicemente un significante per ‘ebraismo internazionale‘”.

Nonostante il risentimento dei nazionalisti bianchi, è probabile che le destre americane e israeliane rimangano profondamente collegate, e che la bandiera israeliana continuerà a comparire regolarmente alle manifestazioni di ogni genere della destra.

Questo non significa per niente, tuttavia, che la destra filo israeliana abbia un reale rispetto per gli ebrei. Se smettessero di trattare Israele come uno schermo su cui proiettare ogni tipo di ideologia reazionaria, sarebbero costretti a fare i conti con la reale umanità e l’esperienza vissuta degli ebrei israeliani e dei palestinesi e ad affrontare la realtà concreta della occupazione in atto, dell’apartheid e dell’esproprio. In realtà. questa resa dei conti è un passo necessario per una pace giusta e duratura per tutti coloro che vivono tra il fiume e il mare.

 * Ben Lorber lavora al Political Research Associates, un think tank progressista, come ricercatore analista specializzato sui temi dell’ anti-semitismo e del nazionalismo bianco. Vive a Boston, i suoi blog si trovano a www.doikayat.com e fa musica popolare Yiddish per soundcloud.com/lev-basar

da palestinaculturaliberta.org, traduzione a cura di Gabriella Rossetti, da: https://www.972mag.com/israeli-flag-white-nationalism-symbol/

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